15 febbraio 2021
15 Febbraio 2021
“L’amore non si combatte”: padre Giovanni Martinelli e la sua vita | 15 febbraio 2021
Un giornalista legge le agenzie secondo la sua sensibilità e in un certo qual modo secondo la vita e gli incontri che ha fatto nella sua esperienza lavorativa. Credo poco nei giornalisti tuttologi o in quelli che mantengono distanze con ciò che scrivono. Dico spesso ai miei collaboratori più stretti che si può fare opinione anche nel modo di scrivere una piccola notizia sul clima della prossima estate. La scrittura rivela sempre un tratto di noi. Come un quadro il pennello dell’artista o una scultura, lo scalpello dell’uomo che incide la pietra. Cosicché nello scegliere l’uno o l’altro argomento cerchiamo di seguire una linea editoriale ma le persone che incontriamo lasciano segni indelebili.
Io, per esempio, da quando ho conosciuto Mons. Giovanni Martinelli, francescano e vescovo di Tripoli, mi interesso sempre di ciò che accade in Libia. L’amore e la passione con cui mi parlava di quella terra mi è rimasta dentro come una fiammella sempre accesa. In questi giorni lo penso spesso. Mi ero ripromessa di andare a Verona sulla sua tomba a fargli visita in questo anno passato dalla sua morte avvenuta il 30 dicembre del 2019 ma la pandemia mi ha fatto posare la valigia da mesi. Ci sono incontri anche se brevi che lasciano una indomabile e salutare passione per il Regno di Dio che danno alla formazione personale delle spinte in avanti così forti che è difficile dimenticare. Nelle rare visite in cui ho goduto delle sue parole, lo ricordo così, la man che stringeva la croce pettorale, la voce calda e sicura, la ferma postura di chi ha vissuto una vita non semplice ma non si è mai arreso.
Quando incontri i grandi della storia, quando dinanzi hai la percezione di parlare con un uomo di Dio che non si è sottratto a nessun pericolo, né umiliazione pur di annunciare e testimoniare la bellezza del Vangelo, non puoi che ringraziare il Signore per questi incontri che profumano di vita. Quando arrivò in Libia, padre Giovanni trovò 150mila battezzati, nel 2015 ne erano rimasti neppure 300, perlopiù cristiani filippini. Ciò nonostante, non è mai voluto ritornare in Italia. Gli occhi si illuminavano quando parlava della sua Libia. Voleva tornare a lì quanto prima dopo che per la sua malattia fu portato in Italia. «Voglio morire lì», mi diceva fermo e sicuro «Non lascerò mai la Libia finché avrò respiro. Quella è la mia Chiesa». Ma non ha ricevuto questa consolazione umana perché è morto in Italia, piegato dalla malattia e quasi assente da tutto ciò che lo circondava. Un servo umile e abbassato come il suo Maestro. Sofferenze che certamente ha offerto a Dio per la sua Libia.
È incredibile quanto la storia personale di questo vescovo si sia intrecciata con quella travagliata della Libia. «Sono nato e vissuto nel mondo musulmano» mi raccontava padre Martinelli. Nel ‘37 i suoi genitori si recarono in Libia come coloniali e qui nel 1931 nel villaggio Breviglieri, oggi El Qadra, nasceva il piccolo Giovanni. «Spesso mi reco durante le feste musulmane a visitare i vecchi beduini nei villaggi vicino a Tripoli» mi raccontava il vescovo «e qui mi dicono che si ricordano di me quando ero bambino, perché mi hanno portato in braccio». Giovanni si nutriva dell’amore e della fede semplice e rocciosa dei suoi genitori. Cresceva respirando l’amicizia con un popolo di cui si sente pienamente parte. Aveva continuamente davanti agli occhi la testimonianza dei frati francescani. È questa la cornice in cui maturava la scelta di venire in Italia poco più che tredicenne per studiare e prepararsi a diventare frate. «L’ideale di Francesco mi affascinava e mi dicevo: “Papà è venuto in questa terra come colonialista, io voglio tornarci come Francesco, per annunciare e testimoniare il vangelo di Cristo”». Nel 1967 il dono della consacrazione presbiterale. Due anni dopo riceveva il permesso dall’ordine francescano per prepararsi alla missione, fu mandato a Roma per studiare. Nel 1971 finalmente la partenza, iniziava il suo ministero in Libia. Il paese è sconvolto dall’arrivo di Gheddafi. Per 42 anni convivono in quella terra martoriata.
Presto arrivò la chiamata episcopale e la consacrazione il 4 ottobre 1985. Il filone del suo nuovo ministero fu incontrare l’altro, farsi prossimo, costruire ponti di amicizia con il mondo arabo-musulmano. Il 13 aprile 1986, nel pieno della crisi tra gli Usa e la Libia, è arrestato a Bengasi dai soldati di Gheddafi. Nonostante questo doloroso episodio, non ha mai rinnegato la sua amicizia con il mondo arabo-musulmano. «La domanda che mi ponevo continuamente era: come sono capace con la ricchezza dell’amore di Gesù di incontrare l’altro? Non ho mai cercato di convertire nessuno, piuttosto ho chiesto a Dio di convertire me stesso e di donarmi degli amici nella fede». Ma come concretamente padre Martinelli ha fatto questo, in un contesto di un regime ostile? «Prima di tutto attraverso un grande rispetto della loro fede» mi diceva «San Francesco ci esorta ad andare per il mondo senza litigare, evitando le dispute, non giudicando gli altri ma con mitezza, pace e umiltà. In secondo luogo, attraverso le opere di carità. Il regime non ha mai contrastato la nostra assistenza ai malati e ai feriti negli ospedali. L’amore non si combatte».
“L’amore non si combatte”: le sue parole sono stampate nel mio cuore indelebili. Gli uomini di Dio con la loro vita continuano a scrivere il Vangelo. Sta a noi non dimenticarle e ricordarle non per celebrare gli uomini ma per mostrare quanto Dio opera in coloro che lo amano senza timore. Ricordare padre Martinelli è un dovere. Spero che si faccia qualcosa in più.
Vai all'archivio di "Con gli occhi della fede"
Aiutaci a continuare la nostra missione: contagiare la famiglia della buona notizia
Cari lettori di Punto Famiglia,
stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).
Lascia un commento