Giornata per la Vita

San Giuseppe, custode della vita nascente

Alla vigilia della Giornata per la Vita, don Silvio offre una interessante riflessione sul ruolo che san Giuseppe ha avuto nel custodire la vita di quel Bambino che gli era stato affidato da Dio. Come Giuseppe, fuggendo in Egitto, ha salvato la vita del Redentore così “anche noi siamo chiamati ad intervenire per esercitare una concreta paternità nei confronti di quei bambini che oggi sono minacciati da una cultura di morte”.

Cari amici,

in preparazione alla Giornata per la Vita che, da più di quarant’anni, viene celebrata la prima domenica di febbraio, vorrei invitarvi ad affidare alla custodia premurosa di san Giuseppe il nostro impegno per la vita. 

Nella Lettera Apostolica Patris Corde (2020) Papa Francesco presenta Giuseppe di Nazaret con queste parole: “Padre amato; Padre nella tenerezza; Padre nell’obbedienza; Padre nell’accoglienza; Padre dal coraggio creativo; Padre lavoratore; Padre nell’ombra”. La sua testimonianza ci incoraggia ad esercitare, con maggiore umiltà e una buona dose di determinazione, il ministero della paternità nei diversi ambiti dell’esperienza umana: a partire dalla vita domestica per approdare alla realtà sociale, passando attraverso la comunità ecclesiale. 

Vivere la paternità significa generare e custodire la vita dell’uomo, di ogni uomo. Questo ministero risplende in modo particolare nella famiglia ma trova una sua speciale attualizzazione anche nella vita ecclesiale sia attraverso la vocazione sacerdotale che mediante il ministero affidato ai catechisti che s’impegnano ad accompagnare i fratelli nella fede. È la stessa dinamica che dobbiamo attuare anche nella vita sociale, anche in questo ambito così vasto – e apparentemente anonimo – dobbiamo sentirci chiamati alla paternità, cioè a custodire la vita dei più piccoli, anche quella che non abbiamo generato, proprio come accade a Giuseppe, chiamato a diventare padre di un bambino che lui non ha generato nella carne. 

Nei Vangeli Giuseppe resta nell’ombra ma c’è una pagina luminosa e drammatica in cui emerge con chiarezza la sua paternità (Matteo 2,13-15). Vi invito a leggerla con attenzione. Stando al racconto biblico, la vita della giovane famiglia di Nazaret si trova improvvisamente immersa in una tempesta. Niente fa pensare al dramma che sta per abbattersi, Giuseppe non ha coscienza del pericolo che incombe, è l’angelo di Dio che lo sveglia e annuncia che la vita del bambino è seriamente minacciata. Una situazione che richiede risposte tempestive. Non c’è tempo da perdere, per questo gli dice: “Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre”. È necessario fuggire, cioè trovare un rifugio. Quella notte stessa, il giovane padre si mette in cammino. La vita è un bene prezioso e va custodita con la massima cura. 

La pagina evangelica non può essere letta semplicemente come il racconto una vicenda domestica, per quanto di altissimo valore, considerando che qui si parla della famiglia di Nazaret. A me sembra che sia posta sulla soglia della redenzione come primizia di quella battaglia per la vita che accompagna tutta la storia umana. Se il Figlio di Dio, entrando nel mondo, quand’è ancora una creatura innocente, è stato costretto a fuggire, non possiamo stupirci se nel corso dei secoli i deboli e gli innocenti vengono perseguitati e uccisi. Ci piaccia o no, dobbiamo riconoscere che c’è un Potere che odia la vita e contrasta Colui che è venuto per dare la vita. Un potere occulto che si serve di coloro che esercitano il potere nella storia degli uomini. Non facciamoci illusioni, se ci impegniamo a custodire la vita, dobbiamo combattere contro un potere che cercherà in ogni modo di impedirci di vivere la paternità. 

Come ha aperto gli occhi di Giuseppe, così il Signore dona ai suoi figli la consapevolezza che la vita di ogni uomo, a partire dal concepimento, deve essere custodita come un bene prezioso. Il primo e il più prezioso dei beni. È una luce che risplende nella coscienza di ogni uomo ma oggi appare offuscata da una cultura che pervicacemente vuole convincerci che non si tratta di un bambino ma di un grumo di cellule. Per custodire e promuovere la coscienza della dignità della vita fin dal concepimento, per evitare che venga impunemente calpestata, il Signore chiede alla sua Chiesa di essere una luce in mezzo ai popoli e chiama i battezzati ad essere profeti della vita

Come ha fatto Giuseppe anche noi siamo chiamati ad intervenire per esercitare una concreta paternità nei confronti di quei bambini che oggi sono minacciati da una cultura di morte. Dinanzi ad una situazione così drammatica non possiamo chiudere gli occhi ed è inutile cercare fragili giustificazioni. Abbiamo il dovere di fare tutta la nostra parte. Se occorre, proprio come Giuseppe, dobbiamo essere pronti a pagare un prezzo per difendere quel bambino in cui riconosciamo un’icona di quel Gesù che è stato perseguitato fin dalla più tenera età. 

Al di là di tutte le chiacchiere ideologiche, l’aborto è l’espressione di quella cultura che esalta a tal punto la libertà dell’individuo, e in particolare della donna, da negare il valore oggettivo e scientificamente inoppugnabile della vita umana. È difficile capire come siamo arrivati a questo, cioè come sia possibile proclamare un diritto la plateale soppressione della vita nel suo sorgere. Per quanto mi riguarda, credo che l’aborto sia una delle più evidenti espressioni della presenza diabolica nelle stanze del Potere, uno dei frutti più velenosi della sua opera. D’altra parte, l’Apocalisse ci consegna un’immagine drammatica di quella lotta che attraversa tutta la vicenda umana: “Il drago si pose davanti alla donna, che stava per partorire, in modo da divorare il bambino appena lo avesse partorito” (Ap 12,4). 

Permettetemi un’ultima considerazione. Per custodire quel Bambino che Dio aveva affidato alle sue cure, Giuseppe ha sperimentato la precarietà dell’esilio. La vita di quel bambino valeva più di tutti i sacrifici. Ce n’è abbastanza per proclamarlo custode della vita nascente. Alla sua intercessione affidiamo il nostro impegno per la vita. 




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Silvio Longobardi

Silvio Longobardi, presbitero della Diocesi di Nocera Inferiore-Sarno, è l’ispiratore del movimento ecclesiale Fraternità di Emmaus. Esperto di pastorale familiare, da più di trent’anni accompagna coppie di sposi a vivere in pienezza la loro vocazione. Autore di numerose pubblicazioni di spiritualità coniugale, cura per il magazine Punto Famiglia la rubrica “Corrispondenza familiare”.

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