Didattica a distanza

di Miriam Incurvati, psicologa

La Scuola ha riaperto ma i ragazzi scioperano: cosa vogliono dirci?

28 Gennaio 2021

studiare

Molti studenti dei licei hanno messo in atto uno sciopero. Fanno sentire la loro voce con telecamere oscurate, proseguendo in didattica a distanza anche quando la scuola si dice pronta a fare altro. Mi sono chiesta cosa significhi questo gesto? Cosa vogliono denunciare? Preferiscono forse la didattica a distanza?

Nella nostra società del fare, le mie giornate si snodano tra numerosi slalom. Corro a fare la spesa, corro (anzi più propriamente cammino) per sgranchirmi le gambe e rilassare la mente, corro a portare e a prendere i figli a scuola (i miei sono piccoli, fortunatamente gli istituti con i primi gradi scolastici rimangono aperti), corro allo studio a cercare di fare al meglio il mio lavoro. Tutto questo intervallato, ovviamente, dallo scorrere della mano sullo schermo del telefonino. Come gran parte dei figli di questo tempo vivo al ritmo di messaggi, telefonate, email e social. C’è un gran da fare. Ed è così che mi sono imbattuta in un post, o per meglio dire vari post, di un amico professore. Da giorni rimugino, su quel che sta accadendo ai nostri giovani. I suoi racconti sono una fotografia preziosa, provengono dall’osservatorio speciale di chi, da dentro, vive la situazione precaria della Scuola italiana. Sono stati per me, quindi, una ricchezza. È in quel momento che ho deciso di condividerli con voi. Perché possano aiutarci a leggere la complessità e a orientare il nostro riflettere. 

«Dialogando coi miei studenti sullo sciopero didattico che stanno intentando mi sono reso conto che dentro le varie molle contingenti che hanno contribuito a scatenarlo (riaprire in sicurezza, trasporti non affollati ecc.) si annida un motivo meno chiaro ma più radicale: un bene più grande per loro. Me ne ha fatto accorgere un ragazzo che mi ha detto: “Io sciopero per mia nonna, perché le voglio bene e non voglio attaccarle il virus sapendo che non lo supererà”. Per questo stesso motivo non sono praticamente uscito di casa in questi mesi. Nonostante quello che sembra, i ragazzi sono mossi dalla ricerca del bene. Mi sono commosso. In fondo, per noi è poi così diverso? Gliel’ho fatto notare, camminando passo passo con loro e svestendo i panni di chi la sa. Poi ho domandato (a loro e a me): “Siete sicuri che questo sia il modo più adatto con cui vi prendete cura del vostro bene?”.

 

Ho fatto lezione. Alla fine dell’ora hanno aperto le videocamere, si sono fatti vedere in viso e mi hanno detto: “Prof, lei ci tiene veramente a noi”. Piantarello solito. L’età. Però ho pensato: se a un nulla patentato come me può accadere tutto questo, che potrebbe combinare ogni singolo docente se solo riscoprisse chi è?».

Vi ho riportato integralmente le parole del mio amico. Non è un insegnante qualunque, lo avrete capito, è uno di quei prof che rimane nel cuore di quelli che si spendono, anima e corpo, per le menti e i cuori dei ragazzi che gli vengono affidati. Le sue parole mi hanno permesso di fermarmi un attimo a pensare. Allora, ho deciso di condividere con voi queste riflessioni. Come attori educativi noi dobbiamo chiederci cosa sta succedendo nella comunità giovanile, ma soprattutto nelle nostre case, nelle loro silenziose stanze. 

Ha parlato per mesi la politica della paura. Sono stati rintanati in casa, i primi sacrificati sul patibolo delle norme. Eppure, la situazione era difficile, lo stato di emergenza porta inevitabilmente con sé delle vittime. Ora proviamo a riaprire le loro scuole come se nulla fosse… e loro, però, non ci stanno. Molti studenti dei licei hanno messo in atto uno sciopero. Fanno sentire la loro voce con telecamere oscurate, proseguendo in didattica a distanza anche quando la scuola si dice pronta a fare altro. Mi sono chiesta cosa significhi questo gesto? Cosa vogliono denunciare? Preferiscono forse la didattica a distanza?

Eppure i numeri parlano chiaro. L’Ordine degli Psicologi, ad esempio, ha consegnato nei mesi scorsi, alla ministra Azzolina, i risultati di un’indagine sugli studenti tra i 14 e i 19 anni: il 63% degli intervistati preferisce la scuola in presenza alla didattica a distanza.  “Ascoltare le opinioni dei giovani, i loro vissuti, è importante. In questo caso i dati dell’indagine ci consegnano uno scenario molto chiaro: la didattica a distanza non attutisce i danni dell’impossibilità di andare a scuola e porta soprattutto stress, noia, fatica”, ha spiegato il Presidente del Cnop (Consiglio Nazionale Ordine degli Psicologi), David Lazzari. 

Allora forse, la loro opposizione non è per difendere la scuola a distanza. Risuona pesante, al riguardo, il nuovo significato che tra gli studenti vien dato all’acronimo DAD: Dimenticati A Domicilio. Tutto questo sembra rimandare piuttosto ad un senso di smarrimento, di isolamento, di abbondo direi. Ma forse addirittura ad una ricerca. Gli abbiamo detto per mesi: “Non andate in giro, dovete difendere i nonni a casa, i genitori anziani, siate responsabili”. E ora loro lo fanno. Sentono incollata quella missione. Buona, dunque, l’intuizione del prof di cui vi ho parlato: sono spinti da un bene più grande. Inoltre, appare evidente che vogliono dire la loro opinione. Non sono burattini nelle nostre mani, ma sono il futuro che desidera già iniziare a parlare. 

Mi sono chiesta cosa possiamo fare noi adulti? Innanzitutto, sembra banale, ma lo considero il presupposto di base: dobbiamo stargli vicino. Sono adolescenti che vanno verso la maturità, ma che hanno bisogno ancora di un adulto guida, di qualcuno che li accompagni nell’affrontare le sfide della crescita. A volte sembra presentarsi uno scenario triste: sono in casa con le lezioni a distanza, ma si sentono totalmente soli e frustrati; sono fisicamente vicini a noi eppure affettivamente isolati. Crescere non vuol dire imparare a stare da soli. Sigel (2014) nel suo libro La mente adolescente infatti parla di interdipendenza, nessuno ce la fa da solo: “Nel corso dell’esistenza, passiamo dalla dipendenza dalle cure altrui, tipica dell’infanzia, al progressivo allontanamento dai genitori e dalle altre persone adulte a favore di un avvicinamento ai coetanei nell’adolescenza, per arrivare col tempo a imparare sia a dare sia a ricevere aiuto dagli altri. È questo che intendiamo con interdipendenza”. Anche contro il Covid, ce la faremo se ci uniremo insieme. 

Essere guida significa, poi, dialogare, osservare, cogliere i segnali, discutere, mettere limiti, perdonare. Possiamo aiutarli a sviluppare il senso critico. Insomma, a ragionare e a dire la loro. Forse dall’esterno si sentono messi da parte. Si percepiscono passivi, nei confronti di decisioni subite. Ma noi dal di dentro, nel nostro piccolo, nelle nostre case (ormai così rivalutate dai frequenti lockdown) possiamo provare a farli sentire attivi e partecipi. Fateli parlare, aiutateli a ragionare, permettetegli di prendere decisioni anche se in piccoli ambiti personali, e lasciateli confrontarsi con le conseguenze delle loro azioni. Che ognuno faccia dunque il suo, secondo il proprio ruolo; l’insegnante, l’adolescente, il genitore. Tutti possiamo contribuire a costruire una società dell’inclusione, dove ognuno ha diritto a dire la sua e a cercare il suo bene, dove ognuno si sente parte del tutto.




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