9 gennaio 2021
9 Gennaio 2021
Dobbiamo ricostruire, rimarginare, curare, baciare… molte ferite senza aspettare la fine del Covid | 9 gennaio 2021
di Giovanna Abbagnara
Ieri l’ennesima tragedia: un medico di Cosenza si è tolto la vita. Era Lucio Marrocco, 56 anni, direttore di dipartimento dell’azienda ospedaliera della sua città e stava gestendo le azioni per la vaccinazione Covid. I giornali riportano di una sua eventuale depressione. Prima di lui ho letto altre notizie simili: l’imprenditore subissato dai debiti, il paziente con un disagio mentale che ‘esplode’ durante l’isolamento, il paziente Covid positivo che teme di morire o di contagiare i suoi cari e decide di farla finita… Storie di sofferenza, di dolore, che non possono lasciarci indifferenti. Da marzo a oggi in Italia si sono registrati 80 suicidi e 46 tentativi di suicidio, connessi in maniera diretta o indiretta al coronavirus.
Secondo Maurizio Pompili, Presidente del Convegno e Professore Ordinario di Psichiatria alla Sapienza Università di Roma: “in seguito a crisi imponenti o emergenze diffuse, il numero dei suicidi cresce: è già accaduto, ad esempio, durante la crisi economica del 2008 con un aumento in Italia del 12% dei suicidi maschi e rischia di accadere di nuovo per gli effetti della pandemia, secondo le nostre analisi potrebbe portare a un preoccupante incremento del numero di suicidi che nei soli Usa è stato stimato di 75.000 persone in più in dieci anni”.
Quali sono le principali cause? Il fattore economico gioca un ruolo importante certamente e anche una fragilità psichica ed emotiva ma non sono gli unici elementi determinanti: c’è lo stigma che pesa sui contagiati, il senso di esclusione, il dolore sociale oltre quello fisico, lo stress dovuto a orari di lavoro specie dei medici assurdi, la responsabilità, il veder morire tante persone sotto i propri occhi.
C’è poi un clima di terrore che i media alimentano continuamente con dati agghiaccianti e previsioni catastrofiche. “Occorre superare lo stigma e riferire i casi usando le parole giuste: va evitato l’effetto Werther, legato all’emulazione di un suicidio dopo averne vista la notizia tra i media, perché il ‘contagio’ tra i suicidi è stato riscontrato soprattutto tra i giovani, ma non è tacendo che ci si riesce” afferma ancora Pompili.
È fondamentale parlarne nel modo giusto senza enfatizzare, senza usare titoli o immagini drammatiche. Da tempo ho smesso di ascoltare i TG nazionali, limitandomi a leggere i giornali. Alcuni servizi sembrano costruiti ad hoc per infondere timore e seminare terrore. Cerco di evitare soprattutto se vedo in giro bambini a giocare. Sembrano impegnati in altro, in realtà hanno i radar sempre accesi.
Questa situazione così drammatica mi fa dire che non basta superare la crisi pandemica, per quello che sappiamo ci vorrà ancora un po’ di tempo. E non possiamo rimandare oltre. Dobbiamo assicurare che ci siano reti di salvataggio in grado di sostenere le persone più deboli e angosciate. Dobbiamo fare in modo che sentano la vicinanza, l’affetto, l’amore.
Sogno una Chiesa che faccia questo e insegni a farlo. Una Chiesa non chiusa nelle retrovie ma produttrice di speranza. Una Chiesa che si inventa mille modi per esserci e donarsi. Una Chiesa che sappia trasmettere la fede e l’arte di sperare contro ogni avversità. Una Chiesa che non si lasci condizionare dai bollettini medici e non parli come gli aggiornamenti governativi. Una Chiesa che ha fatto molto e che deve fare ancora di più per curare, baciare, benedire le ferite riconducendo a Dio il cuore dell’uomo smarrito e senza meta. C’è molto, molto da fare.
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