CORRISPONDENZA FAMILIARE

di don Silvio Longobardi

Abbiamo imparato qualcosa? Pensieri e riflessioni sull’anno del Covid…

28 Dicembre 2020

mondo mascherina

L’anno sta per finire, ma cosa resterà di quello che abbiamo vissuto? Don Silvio: “Qualcuno ha definito il vaccino una luce di speranza. In realtà è solo un segno di quell’intelligenza che Dio ha dato all’uomo per affrontare e rispondere in modo adeguato ai problemi della storia. Un’altra è la speranza che noi coltiviamo, anzi un Altro: è Gesù Cristo la luce che sorge dall’alto”.

Siamo alla fine di un anno interamente segnato dal Covid-19, per alcuni è l’annus horribilis, un anno da cancellare, “il peggiore anno di sempre” secondo la rivista Time. Lo sguardo del credente non si ferma alla cronaca e non resta impigliato nella rete delle emozioni. Dio è sempre all’opera e scrive diritto anche sulle righe storpiate dall’insipienza umana. È legittimo perciò chiederci se e cosa abbiamo imparato dagli eventi che hanno accompagnato gli ultimi dodici mesi e avranno ricadute durevoli anche nei prossimi anni. Ho cercato di raccogliere le parole principali, senza alcuna pretesa di esaustività, solo per consegnare pensieri e suscitare, come spero, altre riflessioni. 

1. Scienza 

Uso questa parola in senso lato, mettendo insieme tutti coloro che hanno combattuto una dura battaglia contro un nemico quanto mai subdolo e pericoloso: dagli operatori sanitari ai ricercatori che in pochi mesi hanno individuato un vaccino capace di contrastare il virus. In particolare faccio riferimento a quest’ultima categoria. Mai come in questo periodo la ricerca scientifica è salita sul trono ed ha mostrato tutte le sue capacità. E mentre virologi, veri o presunti, sentenziavano sui vari canali televisivi, i ricercatori lavoravano duro per preparare a tempi di record un farmaco adeguato alla lotta. La scienza è l’espressione più nobile della conoscenza e dell’intelligenza umana, può e deve contribuire a migliorare le condizioni della vita sociale. Il ruolo crescente della scienza non deve creare attese esagerate, non deve diventare un idolo, è solo uno strumento da usare con prudenza e sapienza. 

2. Morte

La diffusione del virus ha suscitato un’incontrollata paura nei confronti della morte ma non ha alimentato una vera riflessione sul senso e sulla caducità della vita. Anche la Chiesa, che avrebbe avuto molto da dire su questo punto, è apparsa piuttosto silente, anzi ha contribuito ad alimentare quelle paure istintive che non hanno certo aiutato i credenti ad esprimere con semplicità e fierezza la propria fede nella beata eternità. La morte è apparsa sempre, solo come una nemica. Un magistero più coraggioso avrebbe dovuto parlare di “sorella morte” o comunque ricordare che nella storia non mancano – e non mancheranno mai – eventi drammatici che ricordano la fragilità della vita e impongono una seria riflessione su quel che davvero conta.

3. Libertà 

La pandemia ci ha fatto scoprire che la libertà non deve essere confusa con l’arbitrio, anzi ha bisogno di essere esercitata in un contesto regolato da una precisa normativa. Non sappiamo come, quando e da chi il virus è stato generato ma sappiamo che l’arbitrio e l’incoscienza hanno contribuito a diffonderlo in ogni angolo del pianeta. L’uso indiscriminato della libertà si rivela di fatto un abuso che conduce l’umanità all’autodistruzione. L’insistenza sulle regole da seguire – e l’uso dell’autorità per farle rispettare – ricorda a tutti che ci sono parametri necessari e muri che non possono essere abbattuti. Nel corso dell’anno abbiamo meglio compreso che la libertà ha i suoi limiti. Questa scoperta, necessaria per custodire la salute fisica, dovrebbe trovare coerente applicazione anche in ambito morale ma… i difensori ad oltranza della libertà innalzano subito il muro dell’autodeterminazione. In questo caso la libertà non si tocca in nessun caso, anche se genera morte. Non è questo lo slogan di chi promuove la libertà di fare uso di droga o di vendere il proprio corpo o di fare quel che gli pare?

4. Conversione 

Nel corso dell’anno ho sentito tante parole, ho visto una Chiesa allineata con le legittime preoccupazioni dell’autorità civile ma non ho udito, se non raramente, quelle parole che appartengono al vocabolario della fede. I cristiani dovrebbero essere abituati ad affrontare le prove della vita, fa parte del loro codice genetico. La prova è per noi il tempo della preghiera e della testimonianza, il tempo in cui siamo chiamati a cercare l’essenziale. È il tempo della conversione, cioè quello in cui abbandoniamo i tanti idoli della vita e riconosciamo che uno solo è il Signore della storia. E dinanzi a Lui ci inginocchiamo. Negli avvenimenti più tragici della storia Dio nasconde gli appelli più decisivi. L’autorità civile fa appello alla responsabilità. È legittimo, anzi doveroso. La Chiesa chiede altro, domanda la conversione del cuore perché sa che questo è l’indispensabile punto di partenza per attuare un vero rinnovamento sociale. 

5. Fede 

La pandemia ha messo a dura prova la società civile, in ogni suo ambito: dalla politica alla sanità. Anche la fede è stata messa alla prova e non mi pare che abbia sempre dato quella che l’apostolo Paolo chiama “la bella testimonianza” (1Tm 6,13). Nei mesi passati mi ha impressionato non poco constatare con quanta facilità i battezzati hanno rinunciato alla Messa e con quanta leggerezza tanti Pastori non si sono affatto preoccupati di dare ai fedeli Colui che è per noi il “Pane della vita”, cioè la sorgente della vita stessa. Una rinuncia come questa è talmente grave che dovrebbe essere vissuta e presentata come una mancanza che causa dolore e priva di un Bene essenziale. E invece è stato percepito come un atto di responsabilità che ha dato – e ancora dà – il permesso di criticare coloro che invece hanno fatto di tutto per non mancare all’appuntamento eucaristico e custodire la vita liturgica.

6. Dignità dell’ammalato 

Uno degli aspetti più gravi di questo periodo è l’estrema solitudine dell’ammalato. Si è parlato tanto di solidarietà e poi, nel momento in cui la persona ha più bisogno di sentire la forza dei legami affettivi, si trova improvvisamente solo, circondato da operatori sanitari che spesso si limitano solo a fare il proprio mestiere, dimenticando che l’uomo non ha solo bisogno di farmaci. Pochi uomini di Chiesa hanno avuto il coraggio di criticare un approccio sanitario che ha privilegiato esclusivamente i parametri tecnici, calpestando tutti gli altri valori. Lo ha fatto ad esempio il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato, affermando che nel corso della pandemia sono stati “negati alcuni bisogni fondamentali” della persona umana, “ostacolando la prossimità dei familiari e l’accompagnamento spirituale dei malati e dei moribondi”. Forse c’erano altre modalità ma non c’era tempo né voglia di metterle in atto. 

7. Speranza 

Qualcuno ha definito il vaccino una luce di speranza. In realtà è solo un segno di quell’intelligenza che Dio ha dato all’uomo per affrontare e rispondere in modo adeguato ai problemi della storia. Un’altra è la speranza che noi coltiviamo, anzi un Altro: è Gesù Cristo la luce che sorge dall’alto, il suo venire e restare in mezzo a noi è segno della speranza ed è l’incrollabile certezza di cui abbiamo bisogno per non dare ad altri quel potere che appartiene solo a Dio. Il vaccino può liberarci dal virus ma non dal male che inquina il cuore dell’uomo. La scienza può fare del bene ma viene anche utilizzata per costruire strumenti di morte. L’uomo che ripone la sua speranza nelle proprie forze, costruisce la casa su pilastri troppo fragili per resistere alle tempeste della storia. Nel tempo in cui tutto si offusca abbiamo bisogno di ricordare, a noi stessi e al mondo, che una sola è la speranza e si chiama Gesù Cristo. 

8. Solidarietà

Nel tempo della pandemia abbiamo scoperto che la solidarietà non è solo un bene ma è la premessa per realizzare nella storia il bene comune. Una sorta di vaccino morale. In questi mesi tante volte, non solo dal Papa ma anche da tante voci della cultura che si ammanta di laicità, ho sentito dire che da soli si perde, insieme si vince. Se unico è il destino dell’umanità, la frammentazione e, peggio ancora, la competizione non determina la vittoria di qualcuno ma finisce per danneggiare tutti. La solidarietà è una parola che da sempre appartiene al vocabolario della fede e viene non solo predicata ma anche praticata da quanti si riconoscono discepoli di Gesù. Facciamo bene a invocarla e facciamo ancora meglio a creare le condizioni per un dialogo fecondo tra le diverse componenti della società. A condizione però di non dimenticare che un’esaltazione acritica della solidarietà fa il gioco di quella cultura che mette Dio fuori gioco. Chi esalta solo i valori umani, di fatto annuncia che siamo entrati in una fase della storia in cui l’uomo può fare a meno di Dio. La Chiesa non può confondersi con il Governo mondiale di salute pubblica, ha il dovere di ricordare che senza la fede in Gesù Cristo non siamo capaci di perseguire sempre e comunque il bene di tutti. 

9. Vaccino 

Siamo tutti contenti che in pochi mesi sia stato trovato un vaccino. Anzi, più di un vaccino. Mi pare un buon segno di quella capacità intellettiva che appartiene alla natura umana. Ringraziamo tutti quelli che si sono adoperati per raggiungere questo traguardo. La gratitudine però non deve chiudere gli occhi sulla realtà e non deve zittire lo spirito critico. Le aziende farmaceutiche non lo hanno fatto per amore dell’umanità. Questo è certo. Se avessero a cuore il bene comune, avrebbero già trovato un vaccino per la malaria che ogni anno nel mondo fa 450mila vittime. Avete letto bene: 450mila vittime e la maggior parte sono bambini. Come mai non si trova un vaccino per questa patologia? Non so darvi la risposta ma posso dire con certezza che non è un mistero della fede…

10. Profezia 

La Chiesa vive nel mondo ma non appartiene al mondo, ha una parola diversa che non si confonde mai con quella del mondo, tanto più in un’epoca come questa. Nel tempo della crisi abbiamo bisogno di profeti che ci aiutano a leggere l’oggi della storia nella luce di Dio, uomini e donne che, in nome della fede, ci insegnano a guardare più lontano, non si limitano a ripetere le parole delle autorità civili né tantomeno amplificano ingenue rassicurazioni. Abbiamo bisogno di uomini che non ripetono quello che l’uomo può comprendere con il buon senso ma sanno parlare con la voce di Dio e insegnano ad elevare lo sguardo. Abbiamo bisogno di profeti che sanno anche mostrare i pericoli che si nascondono dietro quei progetti che sono vestiti con abiti di luce sfolgorante. Abbiamo bisogno di uomini che non hanno paura di dire che senza Dio tutto è perduto, con Dio tutto è possibile.

L’anno solare si chiude con la celebrazione del Natale. La gioia che l’angelo annuncia a Maria risuona oggi in un mondo ancora attraversato dalla paura. Eppure è proprio quel Bambino che dona una certezza che vince ogni paura. Senza di Lui la vita potrebbe apparire come un insieme di eventi casuali, un gioco inutile, una roulette russa dove si nasce e si muore per caso. È Lui che veste tutto di luce. Il nuovo anno è alle porte. Ripartiamo con Lui.




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stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).

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Silvio Longobardi

Silvio Longobardi, presbitero della Diocesi di Nocera Inferiore-Sarno, è l’ispiratore del movimento ecclesiale Fraternità di Emmaus. Esperto di pastorale familiare, da più di trent’anni accompagna coppie di sposi a vivere in pienezza la loro vocazione. Autore di numerose pubblicazioni di spiritualità coniugale, cura per il magazine Punto Famiglia la rubrica “Corrispondenza familiare”.

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