18 dicembre 2020
18 Dicembre 2020
Dare un nome, salvare una persona dal nulla | 18 dicembre 2020
di Giovanna Abbagnara
Ci sono libri che ti accompagnano dolcemente nel viaggio interiore dei protagonisti, libri che provocano la parte emotiva di noi. Il loro successo è spesso speculare alla capacità di arrivare più in fondo possibile. Poi ci sono libri che contengono quasi in ogni frase una verità nuda e cruda. Libri che rispondono alla tensione interiore che ci portiamo dentro, che ci costringono a fare i conti con il senso di questa vita. Uno di questi è certamente il nuovo romanzo di Alessandro D’Avenia. Scrittore, docente, D’Avenia torna in libreria con “L’Appello” edito da Mondadori.
Omero Romeo è un professore di Scienze, cieco come il suo celebre omonimo greco, prende in carico una quinta di un Liceo scientifico, una classe di dieci ragazzi problematici con storie diverse e profonde. Storie che Omero cercherà di far emergere in tutta la loro pienezza e drammaticità. Per conoscerli meglio, fin dal primo giorno di scuola chiederà loro di alzarsi e pronunciar il loro nome, di definirsi, di raccontarsi, di parlare di sé. Nel nome di ciascuno di noi c’è una storia da narrare, una storia da vivere, un progetto da realizzare. Un vero e proprio rito non solo del primo giorno ma che si ripete nel corso dell’anno scolastico rivelando l’evolversi delle personalità dei ragazzi e facendo emergere i lati più nascosti e profondi.
E così Elena, Cesare detto Ruggine, Stella, Oscar, Caterina, Ettore, Elisa, Mattia e Aurora crescono e con loro anche il professore. Quello che sembra inizialmente un coro di voci stonate, si rivela invece un’orchestra guidata da un maestro, ognuno con la sua sinfonia e la sua unicità. Un po’ come la vita. Ognuno è chiamato a partecipare con le cose che sa fare, con il suo strumento, le sue capacità, il suo nome, il suo suono. Tutto questo è possibile se qualcuno si prende in carico la vita dell’altro. Nel caso del romanzo di D’Avenia è proprio Omero, il professore cieco che esortandoli a definirsi e toccando il loro volto per conoscerli meglio, prende in carico quel volto e quella vita per condurla a pienezza.
Il modo di fare del professore cieco suscita malumori sia nei genitori sia negli altri membri del corpo docente. La scuola è molto più concentrata a misurare le competenze degli allievi nelle diverse materie, a istruire i ragazzi non a interessarsi delle loro vite. E, ahimè anche i genitori spesso non sono interessati alla vita interiore dei loro figli: “Stai bene, hai quello di cui hai bisogno? Bene, voglio vedere i risultati”. I genitori si aspettano questo dai figli e dalla scuola pretendono che doni loro quelle nozioni che permetteranno ai loro figli di superare gli esami, ottenere un titolo di studio e infine trovarsi un lavoro. Il “maestro” Romeo prova compassione per questi genitori che “mossi da un misto di orgoglio e senso di colpa, vengono a fare un bilancio della loro vita, ascoltando il giudizio sulla loro discendenza, che purtroppo, o per fortuna, non risponde mai alle aspettative”. Ai genitori sfugge di mano il vero significato di educare, tirare fuori, provocarli alla vita.
È un romanzo pieno di provocazioni quello di D’Avenia. Ha da dire molto sia ai giovani che ai genitori e agli educatori. Intercetta una grande crisi ma non si limita solo a condannarla. Innesca mine di creatività, obbliga a rivedere modi di pensare e di fare. Costringe ad aprire gli occhi e a guardare la realtà attraverso un cieco. Attraverso gli occhi del cuore, attivando tutti gli altri sensi: l’udito, il tatto. La capacità cioè di andare oltre la scorza. Un libro da leggere e da meditare.
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1 risposta su “Dare un nome, salvare una persona dal nulla | 18 dicembre 2020”
Buongiorno. Grazie carissima Giovanna di questa rubrica e di tutto quello che fate. Tante volte noi sacerdoti siamo chiamati a consolare! Lo facciamo volentieri, animati dall’amore del Signore, anche se in quel momento soffre con le persone anche la nostra umanità. Oggi dico grazie a voi, a te (scusa se da anziano sacerdote negli anni, mi permetto di darti del tu) perchè sono tornato da poco dal cimitero, dove ho benedetto un piccolo corpicino dentro una bara bianca. Federico (ecco il perchè del mio grazie, è il suo nome, non è un nulla)è morto nel seno materno per infarto circa all’ottavo mese e ora in una celebrazione “serena nella speranza cella risurrezione” con i genitori (di cui avevo celebrato le nozze), la nonna materna (di cui avevo celebrato le nozze), della sorella della mamma (mia ex alunna alle medie e aiutata in un momento difficile della sua vita, ora ritornata più tranquilla)e qualche altro parente e amico… lo abbiamo affidato al Signore perchè lo accolga nel coro degli angeli. Ho cercato di aiutare i genitori che, pur avendo già un altro figlio, questo è stato un grande dono che ora continuerà a proteggerli dal paradiso per camminare in comunione con lui e con il Signore della vita. E se arriverà un altro figlio (sono coppia giovane) di dare un altro nome, perchè questo dono l’hanno già avuto, non è un “nulla”, è già tra le braccia del Signore e non possono caricarlo delle aspettative che loro potevano avere su questo. I progetti del Signore sono pieni di mistero, ma anche pieni di amore e di tenerezza. Un abbraccio a tutti voi che lavorate per questo servizio bello con l’augurio di un sereno, gioioso e Santo Natale. Don Gianni Regoli