14 novembre 2020
14 Novembre 2020
Abbiamo bisogno di capitani nella fede
Il giorno di san Valentino, dagli altoparlanti della nave Diamond Princess, partita il 20 gennaio dal porto di Yokohama per un viaggio di due settimane nel Mare cinese sudorientale e rimasta ferma al largo di Tokyo per quasi un mese a causa del coronavirus, il comandante Gennaro Arma declama l’inno alla carità di san Paolo. È un cattolico, credente. A bordo ci sono 2700 passeggeri e 1100 membri di equipaggio. Persone di tante culture e religioni diverse e più di 50 nazionalità. 712 contagiati dal virus, 7 le persone che non ce la faranno. Arma, napoletano, residente a sant’Agnello, una frazione vicino Sorrento, 25 anni di navigazione, deve gestire una situazione unica, senza precedenti.
Darà prova di lucidità e coraggio. Metterà in campo tutte le azioni necessarie per contrastare l’avanzata del virus. Pasti nelle cabine, possibilità di uscire solo un’ora al giorno per una passeggiata sui ponti. Difficile gestire 2700 persone, imbarcatesi per una vacanza e ritrovatesi confinate nella propria cabina, ma presto tutti si fidano di quell’uomo forte e buono messo al comando della nave. I suoi collaboratori sono fantastici, il capitano li definirà ‘i suoi gladiatori’. C’è un elemento che è emerso poco, pur nella vicenda che ha riguardato il mondo intero e cioè la fede rocciosa di quest’uomo che nella preghiera e nell’amore verso la moglie e i figli ha trovato conforto e consolazione: “Ho pregato un po’ di più in questo contesto, affinché potessi avere la forza di arrivare fino alla fine. La fede mi è stata di gran conforto, soprattutto la sera quando si ritornava in cabina. Stanchi, dopo una lunghissima giornata, dopo aver affrontato un sacco di difficoltà, potermi raccogliere nella preghiera è stato di grande aiuto e di supporto morale”.
Penso a lui in questi giorni di grande disorientamento. Penso ai cattolici francesi privati della partecipazione alla Santa Messa dopo il secondo lockdown, che secondo le disposizioni del presidente Macron durerà almeno fino al 1 dicembre. Il governo ha sancito un duro e rigido divieto indiscriminato di celebrare la Santa Messa. L’episcopato si sta facendo sentire per reclamare il diritto di culto ma l’istanza è stata respinta. Hanno ottenuto però in cambio l’apertura delle chiese per “meditare, pregare, adorare il Signore e ricevere i sacramenti come quello della Riconciliazione”. I vescovi sono riusciti anche ad ottenere la possibilità per i sacerdoti di continuare a ricevere i fedeli, e di andare a visitare chi si trova in condizioni di difficoltà. I fedeli intanto stanchi di aspettare hanno cominciato a riunirsi fuori dalle chiese e a manifestare pacificamente pregando e cantando. Da Nantes a Versailles, le piazze di tutto il Paese si sono riempite di cristiani in preghiera.
Qualcuno saluta l’iniziativa definendola illegale e irrispettosa verso questo tempo di crisi e di difficoltà. Io credo che sia soltanto la manifestazione sincera e urgente di una fede che pone nell’Eucaristia celebrata insieme l’appiglio di speranza certa. Abbiamo bisogno di capitani pieni di fede che lo riconoscono, uomini capaci di traghettare il cuore degli impauriti e dei disorientati verso lidi di speranza e di consolazione. Il dolore, la malattia, la morte vengono e ci ricordano la caducità della nostra vita. È tempo di ritornare a Dio. Di affidarci a Lui. Oggi più di ieri abbiamo bisogno di tenere spalancate le porte delle nostre chiese perché le persone possano trovare rifugio. Dobbiamo se possibile moltiplicare le celebrazioni per una sicurezza maggiore e andare ai crocicchi delle strade per invitare le persone a partecipare a Messa. Come Chiesa abbiamo la responsabilità di guidare e accompagnare coloro che sono turbati e disorientati di fronte a questa emergenza e noi sappiamo che, come ha scritto il cardinale Bassetti, presidente della Cei, in quella lettera bellissima, prima di essere spostato in terapia intensiva a causa del Covid: “l’Eucarestia, soprattutto in questo periodo così difficile, non può essere lasciata ai margini delle nostre esistenze ma dev’essere rimessa, con ancora più forza, al centro della vita dei cristiani”. È l’unico faro che può ricondurci in porto.
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stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).
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