30 settembre 2020

30 Settembre 2020

Famiglie sempre più povere e quel pacco necessario

di Giovanna Abbagnara

Qual è l’immagine dell’Italia che emerge dopo il coronavirus e il conseguente lockdown? Un Paese più povero e un crescente tasso di disuguaglianze. Nel mondo del lavoro, i primi ad essere colpiti sono stati i precari, i lavoratori autonomi e le famiglie giovani con figli. Oggi sono i dati Istat a confermarcelo: 840 mila disoccupati in più rispetto ad un anno fa e quasi tutti nei servizi. È difficile non immaginare un peggioramento della situazione anche in vista del prossimo sblocco dei licenziamenti.

In questo quadro che già appare molto complicato, le famiglie più povere faticano non solo a sbarcare il lunario a fine mese ma il lockdown ha messo in evidenza forti differenze per quanto riguarda l’accesso agli strumenti digitali resi sempre più importanti dalle norme di sicurezza e dalla chiusura delle scuole. Una famiglia della mia città con cinque figli, quattro dei quali in età scolare, ha fatto i salti mortali per assicurare a ciascuno l’accesso alla DAD! Come si può pretendere che ciascun figlio abbia il proprio computer per poter studiare quando in casa c’è un solo stipendio e la mamma pur volendo non può lavorare perché deve accudire cinque figli?

La situazione è davvero difficile e spesso non è mai semplice individuare le varie necessità perché si fa fatica a prima vista a definire povere alcune famiglie. Hanno una grande dignità e si sforzano di conservare un’apparenza di “normalità” scegliendo però ogni giorno se mangiare o acquistare medicine. Fare una visita medica oppure comprare quella maglietta a un figlio che la desidera da tempo.

Un lavoro silenzioso ma decisamente essenziale lo hanno compiuto e lo compiono ogni giorno i volontari del Terzo Settore e in modo particolare delle Associazioni legate al Banco alimentare. Sono loro gli occhi puntati sul territorio e le esigenze delle famiglie più povere. Quando la paura costringeva tutti a restare al sicuro nelle proprie case, si sono organizzati e nel rispetto di tutte le norme sanitarie, hanno continuato a confezionare e far arrivare i pacchi alle famiglie. Non si tratta di assistenzialismo. I volontari pongono al centro del loro agire la persona. Basta conoscere il loro motto per rendersene conto: “condividere i bisogni per condividere il senso della vita”.

Il lavoro del Banco alimentare deve essere sostenuto. È la misura di una coscienza civica di un Paese. Attraverso la sua azione, alimenti ancora buoni vengono salvati e non diventano rifiuti. Donando le eccedenze, le aziende restituiscono loro un valore economico. E se da un lato contengono i propri costi di stoccaggio e di smaltimento, dall’altro offrono un contributo in alimenti fondamentale per chi è in difficoltà.

Il pacco poi diventa un modo per entrare nelle case e spesso spezzare il filo della solitudine e della emarginazione. Vengono fuori povertà materiali ed educative, disagi psicologici e precarietà lavorative. Certo il Terzo Settore non può dare tutte le risposte ai bisogni ma crea quell’alleanza significativa che permette ad una famiglia emarginata di sentirsi parte di una comunità più grande. Una comunità prossima e solidale. Un Paese dalle emergenze dovrebbe imparare soprattutto questo.


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