31 agosto 2020

31 Agosto 2020

A.A.A, cercasi formatori della coscienza

di Giovanna Abbagnara

Londra – Joanne Rowling, la creatrice della celebre saga di Harry Potter ha deciso, di fronte al fiume inarrestabile di critiche nei confronti delle opinioni espresse sulla sessualità dei trans, di restituire il prestigioso Premio ‘Ripple of Hope’ assegnatole l’anno scorso dall’Associazione Robert F. Kennedy per i diritti umani. La decisione della Rowling, annunciata dalla stessa scrittrice sul proprio sito, è arrivata dopo che la presidente dell’associazione, Kerry Kennedy – figlia del più celebre Robert F. Kennedy – ha affermato che le controverse affermazioni della Rowling secondo cui il sesso è assegnato alla nascita avevano “sminuito l’identità delle persone trans e non binarie”.  “Sento di non avere altra scelta che restituire il premio Ripple of Hope che mi è stato conferito lo scorso anno”, ha scritto. “Sono profondamente rattristata dal fatto che Kerry Kennedy si sia sentita obbligata ad adottare questa posizione, ma nessun premio o onorificenza, indipendentemente dalla mia ammirazione per la persona a cui il premio è intitolato, significa così tanto per me da perdere il diritto di seguire i dettami della mia coscienza”, ha aggiunto la scrittrice.

La controversia sui commenti della Rowling sulle persone trans è iniziata nel dicembre 2019, quando l’autrice di ‘Harry Potter’ ha offerto il suo sostegno a un ricercatore che era stato licenziato per aver twittato che “gli uomini non possono trasformarsi in donne”. Ma le polemiche si sono riaccese nel giugno scorso quando Rowling ha ritwittato un articolo che utilizzava la frase “persone che hanno le mestruazioni” per definire le donne. Rowling, rispondendo ai commenti polemici, ha poi aggiunto che “cancellare il concetto di sesso rimuove la capacità di molti di discutere in modo significativo le proprie vite”.

Riprendo volentieri questa affermazione della Rowling: “il diritto di seguire i dettami della mia coscienza” perché mi sembra una parola chiave. Oggi la coscienza è la grande assente dal dibattito pubblico, sostituita dalla più aperta e accettata “libertà di fare ciò che più mi piace”. In questo ultimo caso la libertà è legata alle emozioni, al piacere, alla superficie. “Ciò che sento” è appunto il principio che sta alla base della cultura gender. Definirsi e definire una persona in base a come si percepisce ignorando completamente la legge naturale fissa e immutabile, per la quale ciascuno di noi nasce maschio o femmina ed ha la propria sessualità biologica definita attraverso il sesso genetico e il sesso gonadico. Una coscienza invece ben formata, quando cioè è certa, retta e veritiera, “formula i suoi giudizi seguendo la ragione, in conformità al vero bene voluto dalla sapienza del Creatore” (CCC, 1783). Seguire la legge naturale significa non seguire i propri istinti, ma la ragione. E la ragione non crea la legge, ma la riconosce nel creato.

L’ideologia del gender teorizza il capovolgimento e la negazione della normalità e della legge naturale spianando la strada, come ben sottolineava il filosofo del Diritto Mario Palmaro (1968-2014), a qualsivoglia capriccio individuale: «Quando una civiltà rifiuta di accettare l’esistenza del diritto naturale il giudizio diventa impossibile; qualunque giudizio morale diventa impossibile; la coscienza è cieca. (…) rotti gli argini della verità oggettiva, tutto diventa possibile, magari in nome della “coscienza individuale” o del “bene che ognuno ritiene tale a suo giudizio”. La società è così ridotta a una landa desolata, battuta dal vento gelido del relativismo». Uno spettacolo a cui da anni assistiamo e le vittime di questo modo di pensare purtroppo sono i nostri giovani costretti a conformarsi al pensiero dominante. Chi forma le loro coscienze? Chi annuncia loro la verità sull’uomo? Se mancano i testimoni, manca anche l’alternativa. 


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