Aborto chimico

Aborto chimico sempre più diffuso, eppure il mondo tace sul dramma del post-aborto…

tristezza

di Ida Giangrande

In tempi di emergenza sanitaria per alcuni è doveroso garantire l’aborto chimico snellendo le pratiche in modo che diventi sempre più facile. Ma chi pensa alle madri?

In Italia, ma anche in molte altre parti del mondo, abortire è facile come bere un bicchier d’acqua e, al contempo, sembra diventare sempre più difficile nascere. In particolare ora come ora che, grazie all’emergenza coronavirus, il timore di accedere ai servizi ospedalieri, lascia intravedere nuovi orizzonti per l’aborto chimico. È indicativo l’esempio del Consiglio regionale della Toscana dove è spuntata già da qualche giorno, una proposta di risoluzione (firmata da consiglieri della Sinistra e del Pd e approvata a maggioranza anche con i voti di M5s e Iv) che chiede di “continuare a garantire il diritto all’interruzione volontaria della gravidanza, anche nella fase dell’emergenza e del post emergenza Covd-19”. Servizio questo che come ben sappiamo, non è mai stato sospeso negli ospedali a causa dell’emergenza sanitaria. 

L’atto di indirizzo impegna la Giunta a realizzare la “riorganizzazione e riqualificazione della rete dei consultori e a implementare pratiche e modelli innovativi” garantendo l’aborto farmacologico nei poliambulatori e nei consultori. L’atto invita la Giunta anche ad assicurare, nei presidi ospedalieri, “almeno il 50% del personale medico e sanitario non obiettore”. I firmatari chiedono inoltre che si avvii una “fase di sperimentazione che preveda l’allungamento della tempistica limite” dell’interruzione volontaria della gravidanza farmacologica fino alle nove settimane. 

La reazione del mondo pro-life non si è fatta attendere. “Una proposta che renderebbe sempre più sole le donne davanti a questa scelta dolorosa, in contrasto con la stessa legge 194” replica Massimo Gandolfini, leader del Family Day. Duro anche il deputato di Fratelli d’Italia Giovanni Donzelli: “Con la scusa del coronavirus, la sinistra in Toscana vuole estendere ed agevolare la possibilità di abortire in modo farmacologico e chirurgico senza spendere una sola parola per offrire alle donne una alternativa. Ci impegneremo con tutte le nostre forze per contrastare questa risoluzione ideologica”.

In un paese che si dice democratico anche io voglio dire la mia. Spero con tutto il cuore che la risoluzione sia respinta, lo dico da madre, da cittadina ma, soprattutto, la dico da donna. Una pratica come l’aborto non scivola mai sulla pelle come acqua su un impermeabile. Nessuna madre abortisce il proprio figlio a cuor leggero neanche se si tratta di una ragazzina che non ha alcuna consapevolezza. Nel mio lavoro e anzi, grazie al mio lavoro, ho incontrato centinaia di donne che lo testimoniano. In particolare ne ricordo una. 

Era rimasta incinta in seguito a una relazione clandestina con un uomo sposato. Come nel più classico dei copioni, appresa la notizia della gravidanza, lui è sparito lasciandole una cospicua somma di denaro con cui abortire e dopo magari fare un bel viaggetto “consolatore” in qualche posto esotico. La donna, di cui non posso fare il nome, non ha avuto il supporto di nessuno. In un attimo amici e parenti erano tutti spariti. Ha abortito. Da sola. Lo ha fatto pensando che sarebbe stata la soluzione migliore per tutti, ma non è andata così. Quell’intervento le ha procurato una ferita nell’anima che continuava ad infettarsi giorno dopo giorno. Per troppo tempo ha covato in silenzio un dolore acuto che guaiva in fondo alla sua coscienza in maniera inquietante. Anni di terapia sono serviti a poco o a nulla, c’è stato bisogno di un cammino spirituale intenso per imparare a perdonarsi e ad elaborare il lutto. Storie come questa non ce le raccontano in televisione. Non le troveremo mai nel salottino pomeridiano di Barbara D’Urso, sarebbe controproducente per il mondo pro-choice, lesivo per quanti spingono le donne a credere di poter sopprimere la voce del proprio grembo e poi proseguire con la propria vita come se non fosse accaduto nulla. In un contesto come questo rendere più facile la pratica dell’IVG diffondendo a buon mercato l’aborto chimico non fa altro che gettare spirito sul fuoco. 

Leggi anche: Paola Bonzi: “Siamo tutti responsabili se una donna è costretta ad abortire per motivi economici”

Mi guardo intorno costernata e confusa. In giro non si fa altro che parlare di diritti della donna eppure si tace sull’aspetto più oscuro e orribile dell’interruzione volontaria di gravidanza: il post-aborto. Un vero e proprio dramma che, secondo gli ultimi studi, coinvolgerebbe circa il 62% delle donne che hanno effettuato un aborto volontario. Se non volete credere alle mie parole, cosa giusta e santa, invito chiunque leggerà questo articolo a fare qualche piccola ricerca sulla sindrome del post-aborto. In questa situazione mi viene da urlare: “Fermate la giostra io voglio scendere!”. Non posso credere che la morte di un essere umano, il più piccolo e indifeso, sia un diritto da garantire e sostenere per altri. Non posso credere che si possa abortire tanto semplicemente e in modalità sempre più facili e rischiose fino a determinare un cordone proto-sanitario che ne assicuri l’esecuzione. Parlo in modo particolare delle mansioni di consultori e poli-ambulatori estese anche a interventi di interruzione della gravidanza secondo la risoluzione. Sono invece persuasa che come sostengono medici e specialisti, l’aborto lascia sul tappeto due vite, quella del bambino e quella della mamma. Sarebbe dunque opportuno pensarci bene prima di parlare di aborto chimico, “fai da te”, domestico come una comune pratica di automedicazione. In queste circostanze mi vengono in mente le parole che Paola Bonzi, fondatrice del Cav della Clinica Mangiagalli di Milano, mi regalava durante i nostri colloqui telefonici. Quanta passione metteva nella sua missione! Quanta fiducia aveva nella vita! Era convinta che alle donne basta poco per convincersi a non farlo. “Le mamme lo sanno che quello lì è il loro figlio” mi diceva. E in una delle ultime telefonate che ho avuto il privilegio di farle mi ha detto: “Ho ascoltato centinaia di donne, cara Ida, molte alla fine hanno fatto nascere il proprio figlio e nessuna è mai tornata da me a dirmi di essersi pentita”.




Aiutaci a continuare la nostra missione: contagiare la famiglia della buona notizia

Cari lettori di Punto Famiglia,
stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).

CONTINUA A LEGGERE



ANNUNCIO


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Per commentare bisogna accettare l'informativa sulla privacy.