CORRISPONDENZA FAMILIARE

di don Silvio Longobardi

E se provassimo a interrompere una partita? L’ipocrisia al potere

23 Aprile 2020

Povero don Lino, messo alla berlina da giornalisti che Gianpaolo Pansa avrebbe definito “pennivendoli”, multato dal Comune e lapidato dall’opinione pubblica. E tutto questo solo per aver celebrato una Messa alla presenza di 14 (quattordici) persone, sette in più di quello che ha stabilito un decreto che, in quanto a buon senso, lascia molto a desiderare.

Provate a immaginare se, nel corso di una partita di calcio, ad un certo punto alcuni carabinieri entrano in campo per notificare un reato all’arbitro o ad uno dei giocatori. Ci sarebbe un’indignazione generale. Per giorni e giorni quotidiani e talk show avrebbero discusso e alla fine l’Arma avrebbe dovuto chiedere scusa, riconoscendo che s’era trattato di uno spiacevole eccesso di zelo. Se non riuscite ad immaginare questa scena, non vi preoccupate. Una cosa di questo genere non accadrà mai! 

Quello che invece è accaduto e forse accadrà ancora, tante e tante volte, è la plateale e ingiustificata interruzione di una Messa al fine di notificare una multa al povero prete. Il fatto che in quel momento fosse intento a celebrare la divina liturgia – per i credenti uno spazio in cui l’uomo s’incontra con Dio – non interessava affatto al solerte carabiniere. Anzi, ai suoi occhi quel prete cercava solo una scusa per nascondersi e non rispondere delle sue malefatte. Ecco la scena: da una parte un prete anziano, consumato dagli anni e dalla carità versata a piene mani per soccorrere i più deboli; e dall’altra un giovane gendarme, orgoglioso della sua divisa e desideroso di far vincere la giustizia. Ad ogni costo e in tutti modi. Solo che in questo caso a vincere è solo l’ignoranza. 

Una vicenda tristissima che mostra, ammesso che ce ne sia bisogno, che il potere ormai esce allo scoperto. Se non ci fossero i video a testimoniare i fatti, oggi avremmo una versione ufficiale più accomodante e ben diversa da quello che è effettivamente avvenuto. Il potere ama nascondersi sotto il velo della menzogna. E invece quel video, girato da uno dei presenti, mostra il modus operandi e l’arroganza dell’uomo in divisa che, imperterrito, chiede più volte al sacerdote di interrompere l’azione liturgica. È una scena emblematica, degna di una rappresentazione teatrale. Quell’uomo sembra dire: Dio può attendere. Immagine di uno Stato che invade anche gli spazi più personali e pretende di imporre a colpi di legge le sue priorità. 

L’insistenza del militare nasce dalla convinzione che sia proprio la Messa il corpo del reato, ai suoi occhi interrompere quell’azione significa spegnere il focolaio del contagio. È un giovane, non sa cos’è la guerra e probabilmente non ha avuto il tempo di leggere i racconti di quelli che la guerra l’hanno combattuta per davvero. Non sa che in quelle circostanze drammatiche, in cui “si sta come d’autunno / sugli alberi le foglie” (Ungaretti), il prete e la Messa rappresentavano un conforto e una luce di speranza. Non sa quanti cappellani militari sono morti in guerra per restare fino all’ultimo accanto ai soldati e consegnare loro il Pane della vita eterna. Non sa niente di tutto questo. 

Povero don Lino, messo alla berlina da giornalisti che Gianpaolo Pansa avrebbe definito “pennivendoli”, multato dal Comune e lapidato dall’opinione pubblica. E tutto questo solo per aver celebrato una Messa alla presenza di 14 (quattordici) persone, sette in più di quello che ha stabilito un decreto che, in quanto a buon senso, lascia molto a desiderare. In effetti, non si capisce perché mai 14 persone, tutte con guanti e mascherine, raccolte secondo le regole del distanziamento sociale, in una chiesa di 300 mq, possano diventare fonte di contagio. Il buon senso c’entra poco. Dura lex sed lex. Il giovane carabiniere non sente ragioni, anche perché di ragione in questa vicenda c’è ben poco. Lui deve applicare con il massimo rigore quella normativa che ha stabilito per legge che la gente non ha bisogno di Messe. E dunque, se proprio il prete si ostina a celebrare, deve farlo da solo. Non potendo, non ancora, impedire al sacerdote di continuare, usa tutta la sua autorità per allontanare quei pochi fedeli. 

Povero don Lino, ho scritto. In realtà, dovrei dirgli: beato te, don Lino, fai parte di quella schiera – ahimè, mai troppo numerosa, meno ancora di questi tempi – che è pronta a soffrire a causa del Regno. Quelli che nostro Signore loda con queste parole: “Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli”. Dietrich Bonhoeffer, un teologo protestante morto in un lager nazista, commenta così: “Questa beatitudine dà energicamente torto a tutti quei cristiani assurdamente ansiosi che evitano con cura di soffrire per una giusta causa, buona e vera … Gesù prende a cuore la sorte di coloro che soffrono per una causa giusta; egli li prende sotto la sua protezione, se ne fa responsabile, li reclama come suoi”.

E cosa dire del vescovo di Cremona che, invece di denunciare l’evidente e sacrilego abuso di potere, ha preferito cavalcare l’onda della responsabilità civile, oggi di moda, e scaricare il suo prete? Meglio tacere, direbbe Dante. Certo, se io fossi stato al posto del povero don Lino avrei sentito penetrare nella carne la lama del tradimento, una ferita inferta proprio da quella Chiesa che ho sempre cercato di servire con amore e generosità. La cocente delusione della prima ora, il legittimo ribollire della rabbia, avrebbe poi lasciato il posto ad una più pacata riflessione: “In fondo, è per amore di Gesù che ho servito la Chiesa. Le incomprensioni mi riconducono a Lui, centro e cuore di ogni istante”. E così avrei ritrovato la pace. Sono certo che questo ha fatto don Lino. Ha l’età per sapere che soffrire per la Chiesa è un onore ma soffrire a causa della Chiesa è una grazia ancora più grande. È il privilegio che Dio concede agli uomini giusti.




Aiutaci a continuare la nostra missione: contagiare la famiglia della buona notizia

Cari lettori di Punto Famiglia,
stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).

CONTINUA A LEGGERE



ANNUNCIO


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Per commentare bisogna accettare l'informativa sulla privacy.