Disabilità
La scelta della scuola superiore: come la vive un alunno “speciale”?
di Margherita Lampitelli, insegnante
Scegliere la scuola secondaria di II grado rappresenta, per ogni adolescente, un momento delicato, in cui si gioca la qualità del proprio futuro scolastico e lavorativo. Come vive questo momento un alunno con disabilità che ha fatto sempre fatica ad accogliere e tenere il passo con le sfide? E, soprattutto, come aiutarlo a fare la scelta più giusta?
Dal 1 al 31 gennaio, tutti gli alunni che frequentano la III classe della scuola secondaria di primo grado sono chiamati a scegliere la scuola secondaria di II grado che frequenteranno per il prossimo anno scolastico.
La scelta della scuola superiore rappresenta per ogni adolescente un momento delicato, in cui si gioca la qualità del proprio futuro scolastico e lavorativo. Un momento delicato, soprattutto perché per la prima volta i nostri “cuccioli” iniziano a prendere coscienza delle scelte compiute per la propria vita.
L’ingresso nella scuola superiore rappresenta un cambiamento radicale rispetto ai precedenti cicli scolastici. Ci si separa dall’ambiente “familiare”, dove spesso hanno vissuto non solo per i 3 anni della scuola media, ma anche per i 5 della primaria e talvolta anche per i 3 dell’infanzia. Un totale di 11 anni in cui ogni angolo, ogni pezzo è rassicurante perché già conosciuto. Si apre per i ragazzi una realtà nuova, spesso lontano da casa, con regole e aspettative completamente diverse, un “salto”, una “nuova sfida”. Come vive questo momento un alunno con disabilità, il nostro alunno speciale che ha fatto sempre fatica ad accogliere e tenere il passo con le sfide? Per lui il passaggio diventa ancor più delicato, direi “critico” talvolta. Vengono meno quelle ritualità, quelle pratiche che lo hanno accompagnato nel tempo e che sono state percepite come “tutelanti”. Questo impone alla scuola, sia quella di provenienza che quella di arrivo, di attivare forme di continuità tra i due ordini, per rendere più agevole il passaggio. Alcune scuole medie hanno previsto la possibilità della presenza, nei primi giorni di lezione presso la scuola superiore, dell’insegnante di sostegno che ha seguito l’alunno negli anni precedenti. Ma il nodo cruciale resta la scelta della scuola superiore.
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Liceo? Istituto tecnico? Istituto Professionale? La domanda vera dei genitori è: “Cosa potrà fare mio figlio da grande?”; “Che ruolo avrà nella società?”; “Cosa sarà di lui?”. Quell’interrogativo che spinge molti genitori di alunni normodotati a riempirsi la bocca di progetti altisonanti, per i genitori di una persona con disabilità evoca vecchi fantasmi e paure. Le famiglie spesso sono lasciate sole in questo momento, mentre il processo di orientamento dovrebbe essere un percorso graduale che interessa l’alunno a partire dalla seconda media. Non può esaurirsi con un frettoloso “GLH di passaggio” nei giorni precedenti l’iscrizione.
Nel compiere la scelta è necessario stabilire delle priorità che si inquadrano nel progetto di vita già pensato e attuato rispetto all’alunno nella sua complessità. Se si è lavorato per la sua autonomia personale, si potrebbe valutare l’idea di una scuola vicina alla propria abitazione o ben collegata da bus o navetta, in modo da avviare il nostro “eroe” all’uso dei mezzi pubblici in modo progressivo.
Non meno importante è la prospettiva lavorativa che la scuola può offrire all’alunno, partendo dalle sue reali possibilità. La scelta di scuole con aspirazioni troppo ambiziose può avere il solo risultato di far sentire la persona inadeguata e attivare ulteriori meccanismi di chiusura e di inibizione rispetto al gruppo dei pari.
Chiediamoci sempre: “Cosa sarà in grado di fare mio figlio da grande?” A questa domanda la scuola e l’equipe degli specialisti, che ruotano intorno agli alunni speciali, dovrebbero poter fornire una visione più realistica e libera da emotività rispetto alle possibilità future della persona.
E ancora: “Cosa vuole fare da grande?”. Spesso noi genitori di figli speciali tendiamo a sottovalutare questa dimensione, che è fondamentale per motivare una persona ad impegnarsi e a dare il meglio di sé in quello che fa. Il rischio con i figli speciali (e forse non solo) potrebbe essere quello di non ascoltarne i bisogni profondi, concentrandosi più sulla medicalizzazione dei momenti di vita che sull’aiutarli a realizzare quello che loro desiderano. Come se, tutto sommato, fossero pensati sempre come bambini da guidare per mano, senza immaginarli mai capaci di prendere decisioni rispetto al proprio futuro (che parolona!).
Ascoltare le ragioni di un figlio disabile, le sue legittime aspirazioni, le sue speranze e attese per il futuro diventa la chiave di volta per aprirci ad un universo nuovo, un universo che forse conoscevamo, avevamo intravisto, ma che temevamo di cogliere. Una passione, un’attitudine possono attivare nuove energie nella persona, aumentare il senso di autoefficacia, una migliore percezione di sé, ed affrontare il passaggio verso la secondaria di II grado in modo più sicuro e sereno, al tempo stesso.
Attraverso gli open day nelle scuole i nostri alunni speciali potranno familiarizzare con gli spazi fisici della nuova scuola, e i genitori, dopo aver visionato il Piano triennale dell’offerta formativa (PTOF), potranno prendere contatti con i docenti referenti del sostegno per valutare in che modo la futura scuola intenda accogliere l’alunno e quale progettualità ipotizzerebbe per lui. Al di là di questi momenti formali, pensare a delle visite durante l’ultimo anno della scuola secondaria alla futura scuola superiore, coordinate dal docente di sostegno e dai docenti della nuova scuola, consentirebbe la creazione di un ambiente più familiare, con un inserimento più sereno. E mi permetto di suggerire che, qualora la scuola non si attivasse in merito, un genitore potrebbe chiedere al dirigente della futura scuola del figlio di rendere possibili queste visite, anche per poco tempo, per rompere il ghiaccio. L’attenzione a questi dettagli potrebbe consentire al nostro alunno speciale di sentirsi “a casa”, accolto, con la speranza che possa trovare, nel contesto classe, persone tranquille e disponibili a vedere nella diversità una “risorsa”. Potrebbe essere il primo passo per fare di questo il migliore dei mondi possibile.
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