Una firma per donare futuro

di Maria Manzo

In occasione della III Settimana del diritto alla famiglia che si svolgerà dal 12 al 19 maggio, la Federazione Progetto Famiglia e la rivista Punto Famiglia lanciano una raccolta di firme a sostegno di una Petizione “per il diritto dei minori a crescere in famiglia”, per chiedere alle Amministrazioni Regionali, specie quelle competenti per i territori più in difficoltà, un rinnovato impegno nella costruzione di un valido sistema di servizi di sostegno alle famiglie e di protezione dell’infanzia. Ne abbiamo parlato con Marco Giordano, presidente nazionale di Progetto Famiglia.
Perché una Petizione?
Da anni assistiamo alla progressiva riduzione della spesa pubblica per il sociale. Tra il 2006 e il 2013 lo stanziamento statale nel welfare si è ridotto del 97%, determinando la progressiva erosione del sistema di protezione sociale: servizi discontinui, sottodimensionati rispetto ai bisogni, operatori precari, insufficienza degli strumenti di intervento: la tutela sociale di famiglie e minori diviene sempre più inadeguata, tardiva, inefficace. Carenti sia gli interventi di prevenzione del disagio familiare che quelli di “cura e riabilitazione sociale” per il superamento dei problemi. Il territorio nazionale si mostra a macchia di leopardo, con poche zone di eccellenza, vaste aree mediocremente servite e numerosi territori quasi del tutto sguarniti. Ecco il perché di questa proposta che spero possa trovare il consenso in tanti che hanno a cuore il futuro dei nostri figli.

Nonostante la legge del 1983 sancisce il diritto di tutti i bambini a crescere in un contesto familiare, permane tutt’oggi la tendenza ad assistere i minori. Perché?
Un’ importante indagine presentata dal Ministero delle Lavoro e delle Politiche Sociali il 22 marzo 2012 ha evidenziato una situazione secondo la quale per i ragazzi che per vari motivi non possono stare con il proprio nucleo familiare, si favorisce l’inserimento nei servizi residenziali, mentre resta ancora minoritario l’ affido presso una famiglia. Tale situazione rappresenta una oggettiva disapplicazione del prioritario ricorso all’affidamento sancito dalla legge stessa. Altri indicatori che evidenziano la ridotta capacità del sistema di welfare italiano nel tutelare questi minori, sono: la frammentarietà che caratterizza molti interventi di accoglienza, tant’è che il 40% dei minori “fuori famiglia” ha alle spalle una pregressa esperienza di affidamento o di inserimento in un servizio residenziale; l’elevata incidenza degli allontanamenti coatti disposti dai Tribunali per i Minorenni, rispetto a quelli attivati dai Servizi Sociali in accordo con le famiglie dei minori; la forte incidenza dei provvedimenti d’urgenza, che evidenzia la difficoltà di monitoraggio e di prevenzione del disagio familiare e minorile; l’importante percentuale degli affidamenti residenziali di lunga durata, indice della ridotta capacità di lavorare al recupero della famiglia di origine e della scarsa attivazione dei servizi sociali su problematiche lievi e medie che richiederebbero interventi più brevi o part-time.

In questo scenario cosa proponete?
Occorrerebbero: intensi interventi di sostegno alle famiglie in difficoltà, al fine di prevenire gli allontanamenti; efficaci iniziative di promozione della pratica dell’affidamento familiare; adeguati percorsi di progettazione, monitoraggio e sostegno dei singoli casi di affidamento, etc. Tutto questo richiederebbe significativi e crescenti investimenti capaci di assicurare: la presenza di adeguati servizi per la famiglia e di servizi per l’affidamento familiare; la previsione di validi progetti che favoriscano il superamento dei problemi che hanno determinato gli allontanamenti dei minori; l’accompagnamento sociale e psicopedagogico dei vari attori coinvolti; la regia efficace degli operatori e degli interventi.
Le Regioni cosa fanno per favorire questo approccio?
Nell’arco dei trent’anni di attuazione della legislazione nazionale in materia di affidamento si è evidenziato quanto la capacità di garantire la tutela del diritto dei minori a crescere in una famiglia dipenda molto dalle scelte dei decisori locali, in particolari dei comuni, singoli o associati. La facoltà di orientare tali scelte verso l’attivazione di interventi e servizi stabili, adeguati e continuativi, è – per via del mutamento del quadro normativo generale – sempre più demandata alle Regioni. Già la legge 184/83 assegnava alle Regioni una serie di precise competenze in materia di promozione e regolamentazione dell’affidamento familiare. Nell’ultimo ventennio varie norme hanno accentuato il ruolo delle Regioni nel campo sociale, fino ad arrivare alla ridistribuzione di competenze operata dalla riforma del titolo V della Costituzione che ha definitivamente assegnato alla Regioni una specifica potestà legislativa in materia sociale e quindi anche nel campo dell’affidamento familiare.

Proviamo a fare una classifica delle Regioni meno virtuose..
In particolare otto regioni italiane, che simbolicamente definiamo “regioni fuori famiglia”, mostrano standard molto inferiori alla già mediocre media nazionale. Si tratta di Basilicata, Calabria, Campania, Lazio, Puglia, Sicilia, Abruzzo e Molise, e cioè, praticamente, tutto il Sud Italia e parte del Centro. In particolare, Campania, Basilicata, Abruzzo e Molise mostrano un pessimo rapporto tra il numero dei minori inseriti nei servizi residenziali e quello dei minori in affido eterofamiliare, di oltre il 60% superiore alla media nazionale. Anche la Sicilia e il Lazio (rispettivamente superiori del 50% e del 30% alla media nazionale) appaiono in seria difficoltà.

La Petizione che lei propone intende far fronte a questa disomogeneità? In che modo?
Attraverso questa Petizione, si chiede alle Regioni d’Italia (per il tramite della Conferenza permanente delle Regioni e delle Province Autonome), e con speciale intensità alle Regioni Basilicata, Calabria, Campania, Lazio, Puglia, Sicilia, Abruzzo e Molise, di recepire le sette urgenti misure: sancire il diritto a crescere in famiglia; assicurare l’esigibilità del diritto a crescere in famiglia; assicurare un assetto adeguato dei servizi per la famiglia e l’infanzia, tra cui i servizi per l’affido, e riconoscere il ruolo delle associazioni familiari; promuovere l’affidamento familiare; attivare sostegni mirati alle famiglie in crisi, agli affidamenti familiari e alle adozioni difficili;  monitorare i minori fuori famiglia; definire standard minimi nazionali delle comunità per minori.

Maria Manzo




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