Vita

Alabama: vietato l’aborto eccetto in caso di pericolo di vita della madre

di Gabriele Soliani

Il 14 maggio è stata approvata in Alabama, a maggioranza repubblicana, la legge HB 314 che vieta l’aborto anche nei casi di stupro e incesto. Unica eccezione possibile il pericolo di vita della madre. Dopo tante battaglie una legge che tutela anche il concepito e non solo la donna.

Molti articoli di giornali hanno definito “legge choc” quella votata a maggioranza assoluta nello Stato americano dell’Alabama sul divieto di aborto. Il 14 maggio è stata approvata in Alabama, a maggioranza repubblicana, la legge HB 314 che vieta l’aborto anche nei casi di stupro e incesto. Le eccezioni ammesse rimangono il serio rischio per la salute e la vita della madre, ma il pericolo dovrà essere documentato. Fuori da questi casi l’aborto viene punito come un reato di classe A (fino a 99 anni di carcere, madri escluse).

Si tratta quindi di una legge che potrebbe condurre a sfidare davanti alla Corte Suprema la “Roe contro Wade”, la legge che permette l’aborto in tutta l’America. A dire la verità Roe e Wade sono i cognomi delle parti finite davanti alla Corte Suprema americana nel 1973 e precisamente Jane Rone, ossia la donna che intendeva abortire, e l’avvocato Henry Menasco Wade, ovvero il rappresentante dello Stato del Texas. Prima della storica sentenza emanata dalla Corte Suprema nel caso Roe v. Wade l’aborto negli U.S.A. era disciplinato da ogni singolo stato attraverso una propria legislazione. In almeno una trentina di Stati era previsto come reato di common law, cioè non poteva essere praticato in nessun caso, mentre in tredici Stati era legale solo in caso di pericolo per la donna, stupro, incesto o malformazioni fetali; in tre Stati era legale solo in caso di stupro e di pericolo per la donna, e solo in quattro Stati poteva essere richiesto dalla donna.

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Jane Roe, in realtà, era un nome di fantasia scelto a fini processuali per tutelare la privacy della ricorrente, le cui vere generalità erano Norma McCorvey. Il caso si concluse con la celebre sentenza emessa il 22 gennaio 1973 dai giudici della Corte Suprema a maggioranza: sette a favore e due contrari. Pochi sanno, però, che Norma non abortì mai il bambino al centro del caso finito davanti alla Corte Suprema. Si pentì e, dopo aver confessato di essere stata strumentalizzata dalle lobby abortiste (la convinsero a mentire su un falso stupro), finì per riconoscere ciò che aveva fatto come «the biggest mistake of my life», il più grande errore della sua vita. Norma diventerà una delle più combattive e convincenti attiviste in difesa della vita fin dal concepimento e contro la pratica dell’aborto. 


Lo stupro e l’incesto sono quei casi gravi “limite” costantemente usati come grimaldello per far accettare l’aborto dall’opinione pubblica e dai potenti media. Le eccezioni ammesse in Alabama rimangono il serio rischio per la salute (fisica e non anche mentale, a meno che quest’ultimo pericolo non sia certificato da un secondo medico, psichiatra) e per la vita della madre, ma il quadro generale comunque non cambia. Il pericolo per la vita della madre dovrà infatti essere documentato, ma, una volta che lo fosse, si tratterebbe di una fattispecie totalmente diversa. Un conto è infatti premeditare e attuare la soppressione della vita nascente con l’aborto, un altro curare una madre in pericolo di vita secondo modalità che possano anche comportare la morte della creatura che la donna porta in grembo. Cambia tutto perché cambia l’intenzione e cambia l’oggetto dell’intervento. Occorre tener presente il concepito, che non ha mai nessun diritto, e tutelarlo invece di sopprimerlo per una legge che tutela solo la donna.




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