Passione di Cristo

Le sette parole di Gesù in croce per la famiglia

Quaresima

di Giovanna Abbagnara

Il Venerdì Santo è il giorno del silenzio di Dio e delle parole di Cristo sulla croce. Parole di perdono, parole di salvezza, parole di consegna che possiamo leggere nella nostra vita coniugale e familiare. Per non fermarci all’ora del dolore.

“Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”

Il dolore del Figlio dell’Uomo è vissuto in una delle più atroci persecuzioni: la derisione, il disprezzo degli altri, la certezza di non essere creduto, abbandonato dagli amici di sempre. Il Giusto viene trattato come un malfattore. Gesù sperimenta la solitudine più profonda. Deriso da chi ami, da colui per cui stai donando la tua vita.

Quante volte anche noi sperimentiamo il disprezzo e la derisione proprio dalle persone che amiamo. Proprio loro, il mio sposo, la mia sposa, i miei figli, i miei genitori, i fratelli e gli amici di sempre. Proprio loro fanno dei nostri sentimenti oggetto di scherno, proprio loro sono pronti a farci battaglia pur di contrastare i nostri sogni, proprio loro cercano di piegare i nostri progetti ai loro bisogni personali. Il dolore più grande è sentirsi incompresi da coloro per cui stai dando la tua vita. È un dolore sordo che consuma le energie e spesso è la ragione latente per tante separazioni coniugali. Lì dove la stima lascia il posto alla critica e la cura per l’altro lascia il posto all’indifferenza.

In mezzo a questo mare di dolore, quando le parole servono solo ad essere lanciate come pietre, dove l’amore viene lapidato pur di salvare le proprie ragioni, emerge una parola di luce. La prima parola pronunciata da Gesù dalla cattedra della Croce è “perdono”. L’indifferenza, gli scherni, le risate beffarde, gli sputi non hanno il potere di spegnere l’amore. E il perdono si erge come luce su un cumulo di macerie. “Anche l’amico in cui confidavo, anche lui ha alzato contro di me il suo calcagno” (Sal 41). “Ti perdono anche se mi hai tradito, ti perdono anche se ti sei preso gioco di me”. Quanta dolcezza in quelle parole di Gesù: “Padre perdona loro”. Cristo ci insegna il prezzo del perdono. È altissimo. Significa decentrarsi, farsi da parte, morire. Morire all’orgoglio perché l’altro si senta rinato e rigenerato dal lavacro del mio perdono. Il tradimento non è l’ultima parola. Perdono è invece la prima parola di una nuova vita, dove il dolore non scompare ma viene rivestito di una nuova armatura, quella che Cristo ci dona con la sua croce.

“Oggi con me sarai nel Paradiso”

Anche i malfattori si fanno largo sulla scena. Nessuno si cura di loro. Sono dei reietti. Dei morti che parlano. Il primo confonde la sua voce con quella del male intorno a lui: “Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!”. Come è facile lasciarsi cullare dalle voci del mondo. Confondiamo il nostro pensiero con quello degli altri. Il male ci schiavizza, ci imbruttisce e siamo pronti anche noi a lamentarci sempre di tutto e a inveire contro gli altri attribuendo loro la colpa delle nostre disgrazie, delle nostre difficoltà, del nostro non essere capaci di rialzarci dalla melma in cui siamo caduti. Il peccato all’inizio è dolce come il miele ma con il passare del tempo scava dentro una voragine in cui il male si accumula e ci allontana sempre di più dal Bene e dal Bello. Arriviamo a un punto di non ritorno. E quando pensiamo di essere oramai giunti alla fine, di aver toccato il fondo, di non avere nessuna altra speranza, ecco che girando per un attimo il volto incrociamo lo sguardo di Gesù. È lì. È lì insieme a noi. Ha mischiato il suo sangue al mio sangue di ladro e malfattore. Ha ricevuto le stesse frustrate e gli stessi miei sputi. È salito sulla croce con me. Non mi guarda dal basso. Non mi compatisce dall’alto. È accanto a noi, crocifisso anche lui.

In quante famiglie quando arriva il dolore, una malattia, la disabilità di un figlio, la morte di una persona cara sprofondiamo nella disperazione più nera e siamo pronti ad incolpare quel Dio che se ne sta inerme nell’alto dei cieli. E ci chiediamo: dov’è Dio? E ci chiedono: “dov’è il tuo Dio”? L’altro malfattore incrocia lo sguardo di Gesù e i suo occhi lo riconoscono. “Non ha fatto nulla di male”. Lo sguardo di Gesù lo risana, lo perdona, lo riabilita alla relazione, lo salva. Sì, lo salva!

Oggi sarai con me in Paradiso”. In quell’oggi c’è la salvezza. C’è la chiave per entrare nella vita eterna. “Oggi per questa casa è venuta la salvezza” (Lc 19,9). “Oggi, se udite la sua voce, non indurite i vostri cuori” (Eb 3,15). È l’oggi rivestito di fede che ci permette di custodire il sì coniugale. Se teniamo gli occhi fissi su Gesù, ogni giorno possiamo custodire lo sguardo per la persona amata, per i figli, per i fratelli, per la comunità che ci è stata affidata. Fin ad accorgerci che nelle difficoltà Egli non ci ha lasciati da soli. Ma è proprio lì, pronto a donarci la mano per condurci oltre la soglia della morte. I malfattori fanno scelte diverse. Uno sceglie il male, l’altro riconosce il Bene. E noi cosa scegliamo oggi?

 

“Donna ecco tuo figlio!… Ecco tua madre!”

Ed eccola la Madre ai piedi della croce. Il suo cuore è trafitto dal dolore più grande: vedere suo Figlio, il suo unico Figlio consegnato ingiustamente nelle mani di qualche politico di turno. Quale dolore più grande al mondo può esistere se non quello di vedere il proprio figlio torturato e condannato a morte a causa della verità? Il Cuore Immacolato di Maria in quell’ora subiva il suo dolore più grande. Accanto al Calvario del Figlio, c’è il Calvario di Maria. La via crucis di Gesù si intreccia con la via crucis di Maria.

Ma Ella non è sola, accanto alla Madre c’è Giovanni. Gesù dona a Maria una nuova maternità. Quella morte è già feconda, odora già di vita. Il dolore di Maria, la fedeltà di Giovanni, la consegna di Gesù. Pochi ingredienti per la nascita della Chiesa e tutto profuma di vita nuova.

Quante volte pensiamo di poter vivere le nostre difficoltà familiari o personali o comunitarie da soli, senza la Chiesa. Lontani dal grembo della madre che ci ha generati. Solo restando fedeli alle promesse a Dio, solo restando nell’obbedienza alla Chiesa possiamo conservare la serenità e restare nella pace. Quanti abbandoni potrebbero essere evitati se invece di ricercare sempre e soltanto le debolezze altrui si potesse ricorrere all’aiuto della nostra Madre celeste. Maria, Regina della Famiglia prega Gesù per noi.

“Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”

Ecco le tenebre avanzare e avvolgere il Redentore nella morsa della solitudine. Gesù sperimenta la notte. Dopo quella del tradimento, dopo quella della persecuzione, dopo quella del dolore che sconquassa il corpo, ecco arrivare la notte dell’abbandono, della solitudine più angosciosa. La notte oscura dell’assenza del Padre.

Dio è in silenzio. Ha abbandonato il suo Unico Figlio? È venuto meno alla sua promessa? Perché non interviene? È un grido che i miei orecchi conoscono bene. L’ho udito tante volte risuonare lungo i giorni della mia vita. Quando ho visto quella madre perdere il figlio malato di tumore, quando visto quella figlia perdere il padre troppo giovane. E poi ho incontrato il grido silenzioso di chi aveva perso il lavoro, la casa, la dignità. Il grido muto di chi ha paura di parlare, di chi vive anni nelle mura di casa dove si consuma una violenza inaudita, il grido dei nostri bambini, i nostri figli vittime di bullismo che hanno paura di parlare. In quel grido c’è il grido di ognuno di noi per le tante volte che la vita ci ha schiaffeggiato, ci ha inchiodato ad una croce e ci ha lasciato sanguinare indifferente al nostro dolore.

Dio non si fa sentire ma non è assente. È un Padre che ama follemente ognuno di noi. Ci ama al punto da immolare il suo Figlio, il suo Unico Figlio. È un silenzio ricco di amore, gravido di attesa. Quelle ore buie saranno il grembo dove fiorirà la vita nuova. Da quella notte sulla croce, da quelle tenebre nascerà un nuovo giorno e una nuova luce. Non dobbiamo dubitarne. Non dobbiamo lasciare a Satana la libertà di sedersi sul trono del nostro matrimonio barattando un po’ di serenità apparente, e cedendo al suo invito a scendere dalla croce. Gesù non è sceso. È rimasto su quella croce. Anche quando il dubbio lo assale, la solitudine lo sommerge. Dio non è un bugiardo. Il Padre non è un bugiardo.

Quando siamo tentati di buttare all’aria il nostro matrimonio, un’amicizia che mi ha deluso, un figlio che mi fa soffrire, la soluzione non è fuggire, ribellarsi, prendersela con Dio. Perché Gesù è nel nostro grido, è in quel dolore. È lì con noi nell’ora suprema della nostra offerta.

“Ho sete”

Tutta la vita di Gesù è percorsa da questo desiderio, dal pozzo di Sicar sino alla croce è consumato da questa arsura, la sua gola è come terra deserta, arida, fin sul patibolo, dove dice, mendicando, “Ho sete” (Gv 19,28). La sete che brucia Gesù è il desiderio di essere ricambiato nell’amore perché chi ama desidera essere riamato. Come Gesù continua a soffrire in ogni uomo che sente dolore ed è ingiustamente perseguitato ed umiliato così Cristo continua ad aver sete fino alla fine del mondo, sete di me, del mio amore. Ma cosa riceve in cambio? Ancora oggi l’aceto della nostra disperazione, il fiele della nostra dimenticanza, l’amarezza del non volerlo compagno ed amico, la freddezza del non accoglierlo come Maestro e Signore.

Quante richieste di amore restano disattese! A quanti appuntamenti manchiamo per paura o per superficialità. Lo sposo, la sposa hanno sete della nostra attenzione, e noi siamo mancanti, consegniamo loro l’aceto della nostra distrazione. I nostri giovani hanno sete di risposte. Quelle risposte vere e autentiche che danno senso alla loro vita. Il mondo ha sete di pace. Troppe immagini di morte violentano le nostre coscienze.  

Santa Teresa di Calcutta il 10 settembre 1946 a bordo di un piccolo treno che si inerpicava da Siliguri a Darjeeling, sentì nel suo cuore il grido di Gesù sulla croce: “Ho sete” e la chiamata a dare la vita a servizio dei poveri e dei reietti delle baraccopoli.

Anche noi dovremmo sentire questo grido ed estinguere la sete di Gesù che grida ancora oggi in tanti fratelli, per donare loro quell’acqua, quell’annuncio di speranza capace di lenire ogni arsura, ogni indifferenza, ogni dolore.

“Tutto è compiuto”

È il fiat del Cristo. L’ultimo, quello che in una parola riassume tutta la sua vita. Sì, perché Egli è venuto sulla terra per dare compimento al disegno del Padre. Si è lasciato umiliare “fino alla morte e alla morte di croce” perché il Padre potesse aprire con il chiavistello della croce la porta per entrare nella vita eterna. Tutto è compiuto! Spalancatevi porte del cielo! “Osanna al figlio di David, osanna al Redentor, apritevi porte antiche ed entri il Re della gloria”. Dalla Creazione a questo momento, tutta l’umanità attendeva queste parole. Quel primo respiro inalato nel corpo di Adamo viene, attraverso l’ultimo respiro di Gesù sulla croce riconsegnato finalmente all’umanità intera. La morte è stata sconfitta dalla morte di Gesù.

Sì, fratelli la vera morte non è quella del corpo ma quella del peccato. Il peccato ci porta lontano da Dio e lontano dalle persone che amiamo. Il peccato ci toglie l’aria, ci toglie quel respiro che ci permette di vivere, quel respiro che Cristo ci ha consegnato dal legno della croce. In quel respiro si è compiuta anche la nostra salvezza, la salvezza della nostra famiglia. Da lì possiamo sempre ogni volta ricominciare. Vogliamo dare pienezza al nostro matrimonio, vogliamo dare pienezza al nostra sacerdozio, alla nostra consacrazione, alla nostra vita? Ricominciamo da Cristo. In Lui tutto ogni giorno si compie sotto lo sguardo amorevole del Padre. In Lui tutto trova compimento e senso.

“Vado in cielo ad occuparmi di Maria e Davide, e tu rimani con il papà. Io da lì prego per voi”. È questa una frase che Chiara Corbella, una giovane ragazza romana di 28 anni, ha scritto al figlio Francesco prima di morire per un tumore scoperto al quinto mese di gravidanza. Una maternità affrontata con forza dopo la scelta di rimandare le cure alla nascita del bambino. Era la terza gravidanza di Chiara: Maria e Davide erano scomparsi poco dopo il parto. Poche ore prima di morire Enrico, lo sposo amato le chiede: “Chiara, amore mio, ma questa Croce è veramente dolce, come dice il Signore?”. Lei lo ha guardato, gli ha sorriso e con un filo di voce gli ha detto: “Sì, Enrico, è molto dolce”. “Così, tutta la famiglia” dice Enrico “noi non abbiamo visto morire Chiara serena: l’abbiamo vista morire felice, che è tutta un’altra cosa”.

“Padre nelle tue mani consegno il mio spirito”

L’ ultima parola è quella fiduciosa dell’abbandono. Gesù accetta di entrare nella condizione pienamente umana di chi subisce la morte. Lui aveva detto: “Per questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso, poiché ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla di nuovo” (Gv 10, 17-18). Ma in questo modo ci svela il segreto per fare della stessa morte un atto di amore e di fede. Da violenza subita la morte diventa atto di libertà, da furto accettato per forza diventa offerta. Morte e vita s’intrecciano, la morte diventa la porta della vita. Allo stesso modo, gioia e dolore si abbracciano, il dolore diventa la modalità in cui si esprime la gioia di donare. Questo è possibile solo se la vita è interamente vissuta come una instancabile offerta e con un desiderio di cambiare.

È quello che chiediamo anche per noi, per la nostra vita. Contemplare la morte di Gesù è vuota ritualità se non lascia nel cuore dell’uomo il desiderio di cambiare “portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo. Sempre infatti, noi che siamo vivi, veniamo esposti alla morte a causa di Gesù, perché anche la vita di Gesù sia manifesta nella nostra carne mortale” (2Cor 4, 10-11).

Abbiamo bisogno di consegnare anche noi le sofferenze e le fragilità delle nostre famiglie. Ci sentiamo tutti un po’ come Marta che alla morte del fratello Lazzaro corse incontro al Maestro e gli consegnò il suo dolore: “Se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto” (Gv 11,21). Il Signore è con noi, non dobbiamo aver paura di consegnare a Lui la nostra vita, perché Lui ce la ridona rivestita dell’abito nuovo, l’abito della festa, l’abito delle nozze di vita eterna.




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