Madre coraggio
Donare la vita per un figlio. Non chiamatele eroine, sono solo madri
di Ida Giangrande
Nel giorno della festa della donna, come non parlare di maternità? Come non parlare di tutte coloro che hanno dato la vita per dare alla luce i propri figli e di quelle che la spendono per aiutare altre madri? Da Paola Bonzi a Flora Gualdani, il nostro cielo è costellato di stelle.
Per la società di oggi è una fonte di reddito, per le industrie della moda è fonte di nuove idee, per le organizzazioni criminali è fonte di soldi sporchi, dal sesso alla maternità. Nelle nostre città, in quella parte del pianeta che si sente civilizzato, c’è spesso, troppo spesso, qualcuno che si nasconde nell’ombra e che attende bramoso di abusare della sua capacità di accoglienza. E mentre alcuni si divertono ancora a giocare sulle parti del suo corpo postando immagini di seni nudi e sederi bene in vista, qualcuno è riuscito a convincerla che emancipazione non vuol dire solo libertà di scegliere quale lavoro fare o chi sposare, ma anche quando o se uccidere il proprio figlio.
Nel giorno in cui si parla di donne, vorrei evitare parole in circolo, nessuna statistica, nessuna percentuale. Vorrei lasciare invece che fossero i fatti a parlare, le storie comuni di persone comuni che hanno mostrato fin dove si può spingere il coraggio di una donna.
Due storie. La prima viene da lontano. Lei è Suzanne Mazzola, un’insegnante di sostegno di Tamarac in Florida, scomparsa nel 2015 dopo aver dato alla luce il suo quarto figlio Owen. Era consapevole dei rischi che correva quando ha accettato di portare avanti la gravidanza. La donna soffriva di placenta accreta, un difetto di aderenza della placenta che può provocare un’emorragia interna dopo il parto, ma l’aborto, per la famiglia Mazzola, non è mai stato concepito come una possibilità. La donna, come prevedibile, ha iniziato ad avere serie difficoltà subito dopo il taglio cesareo e nonostante gli sforzi di 15 medici impegnati in sala parto, Suzanne è deceduta poco dopo aver dato alla luce il suo piccolo.
Il bambino si chiama Owen Gabriel Mazzola è forte e sano. Al momento del parto pesava circa 3 kg. “Owen – ha detto la zia di Suzanne, Janet – significa piccolo guerriero, mentre Gabriel per noi è Dio, la nostra forza”.
Dall’altro lato del globo, precisamente nella nostra Italia dove il tasso di natalità è al collasso, troviamo Elena Furlan. Trentasei anni, padovana, mentre faceva una delle ecografie per la sua gravidanza alle prime settimane, i medici si accorsero di un tumore che stava coinvolgendo l’utero. Sarebbe stato più facile abortite, tutti le dicevano che non sarebbe riuscita a portare a termine la gestazione ma lei ce l’ha messa tutta. Andava a fare le ecografie e quando vedeva la sua piccola muoversi attraverso il monitor continuava a dire ai medici: “Come faccio a uccidere questa creatura? No, la mia bambina deve vivere”. Ed è stato così. Maria Vittoria, una bambina bellissima e sana è venuta al mondo, mentre la sua mamma lo abbandonava.
Suzanne ed Elena sono solo due delle donne che nel mondo hanno speso e spendono ogni giorno la loro vita nel sacrificio silenzioso a servizio dei figli e della famiglia. Due nomi scritti sulle lastre d’oro che solcano la via della santità tracciata da Santa Gianna Beretta Molla e da Chiara Corbella Petrillo. In un’epoca dove la maternità è vissuta come un peso da assumersi ad obtorto collo, come indicava l’ex ministro Livia Turco in una sua recente dichiarazione, forse le loro storie non faranno notizia, ma mi piace pensare che la maternità è donna per eccellenza e che nella festa della donna non si può non parlarne. Allo stesso modo la mia gratitudine più profonda, da donna a donna, va a quante si ergono come bastioni d’angolo in difesa della dignità delle madri e dei figli che portano in grembo. Paola Bonzi, fondatrice del Cav della Mangiagalli di Milano, Flora Gualdani, fondatrice di Casa Bettlemme, Gianna Jessen e la sua storia ai limiti della realtà. Grazie a tutte voi che difendete la femminilità senza inutili rivendicazioni di potere e slogan politici. Grazie al vostro cuore di madre che sa accudire e accogliere come solo una donna può fare.
Ti potrebbe interessare: Ti ho visto nel buio
Aiutaci a continuare la nostra missione: contagiare la famiglia della buona notizia
Cari lettori di Punto Famiglia,
stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).
Lascia un commento