Fecondazione assistita
Brigitte Nielsen: “Ci provo fino all’ultimo embrione rimasto, qualcuno deve pur vincerla questa lotteria”. E non importa quanti embrioni saranno sacrificati?
di Ida Giangrande
Brigitte Nielsen voleva un figlio all’età di 54 anni. L’età? Affari suoi, dice e ci sembra giusto, ma parlare di fecondazione assistita come di un terno al lotto è davvero un torto alla vita.
Londra – Lei è Brigitte Nielsen, alcuni la ricorderanno come la moglie di Silvester Stallone, altri come la strega nera di Fantaghirò una fiaba per bambini piuttosto datata. All’età di 54 anni, la biondissima attrice danese dalle forme giunoniche, stringe tra le braccia la sua bambina, Frida, avuta dopo un faticoso ed estenuate percorso di fecondazione assistita.
“È stato duro, logorante e complicato”, ha confessato al Guardian che l’ha intervistata. L’attrice, da tempo residente negli Stati Uniti, è sposata dal 2005 con il produttore italiano Mattia Dessi. “Servono un sacco di soldi e fatica, soprattutto a quest’età. Gli ormoni reagiscono in maniera diversa a seconda di ogni donna e quando ti senti dire al telefono mi dispiace ne esci distrutta. Ma io non ho mai mollato. Avevo solo il 2,5% di possibilità, almeno così mi avevano detto i medici, che mi avevano messo subito in guardia: aspetta almeno ventisette settimane prima di dirlo ad amici e parenti. Il rischio era troppo elevato”.
Così ha fatto Brigitte. Non l’ha detto a nessuno, nemmeno a sua madre, fino al settimo mese, quando oramai la sua piccola Frida aveva il 98 per cento di possibilità di sopravvivere al parto. “Qualcuno mi ha detto che sarei stata ridicola a fare una cosa del genere alla mia età, ma questi sono affari miei”, ha spiegato sempre al Guardian: “Pensate agli uomini che hanno figli a cinquanta, sessanta, settant’anni. Jeff Goldblum ha concepito il suo secondo figlio poco tempo fa, a 64 anni. E allora?”.
La Nielsen, già quattro figli Julian (di 34 anni), Killian (28), Douglas (25) e Raoul (23) avuti da precedenti relazioni, voleva un altro bambino a tutti i costi. In casi come questo, quando cioè il desiderio di maternità è appoggiato dalla possibilità economica, cose come l’orologio biologico sembrano essere poca roba, opzioni superabili, meccanismi perfettibili.
Ancora la Nielsen: “Mi sono sempre detta: ci provo fino all’ultimo embrione rimasto, qualcuno deve pur vincerla questa lotteria”. Una lotteria. E infatti Brigitte ha sicuramente vinto, ma possiamo dire lo stesso degli embrioni che, invece, non ce l’hanno fatta?
L’embrione è vita umana. Non lo dice la Chiesa, non è un’opinione personale, ma un fatto scientifico appurato e certificato.
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Si tratta di un essere umano piccolissimo che viene crioconservato, venduto, svenduto e usato per la ricerca. “Uno di noi” con una sola differenza, non ha diritti umani riconosciuti e tutelati, ma solo un dovere: soddisfare l’esigenza di genitorialità degli adulti, di quanti respirano già al di là dell’utero materno.
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La fecondazione assistita? Uno dei mercati più fiorenti dell’economia mondiale. Basti pensare che ogni anno oltre 70mila coppie ricorrono alla PMA. Il dato, fornito dall’Istituto Superiore di Sanità, risale al 2014. Posso ragionevolmente pensare che oggi le cose siano sensibilmente peggiorate. Il business globale da 9,3 miliardi di dollari potrebbe raggiungere i 21,6 miliardi nel 2020. Lo afferma un nuovo studio sull’inseminazione artificiale pubblicato su “Research and Markets“, l’istituto leader a livello internazionale per quanto riguarda le ricerche di mercato e l’analisi dei dati di mercato.
L’Italia? È uno dei Paesi europei con il maggior numero di centri di riproduzione assistita in Europa: 356 per la precisione che sviluppano un giro di affari che potenzialmente, oscilla tra i 2 e i 9 milioni di euro per ciascun centro. Peccato che per ogni bimbo che nasce ce ne sono almeno due che vengono soppressi, annullati, cancellati, in una sola parola? Abortiti e dopo essere stati chiamati alla vita a comando.
Ma tutto va bene: se occhio non vede cuore non duole. Possiamo continuare a cantare vittoria come ha fatto la Nielsen che dice di “aver lottato fino all’ultimo embrione”. Chissà, mi chiedo, quanto deve aver lottato lui per non morire.
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