CORRISPONDENZA FAMILIARE
di don Silvio Longobardi
Asia Bibi, il dramma di una madre
5 Novembre 2018
La straziante vicenda di Asia Bibi è veramente conclusa? Evidentemente no. Folle di fondamentalisti chiedono la sua morte mentre lei è costretta a stare lontana da suo marito e dai suoi figli. Don Silvio: “Come può una religione che si presenta come culla di pace e di amore, generare tanto odio?”.
La vicenda di Asia Bibi non è ancora finita, nonostante l’assoluzione della Corta Suprema, non può ancora uscire dal suo Paese e, stando alle indiscrezioni, dovrà ritornare in carcere, in attesa di un ulteriore ricorso promosso da quei musulmani che invocano a gran voce la sua morte. Non si tratta di qualche sparuto gruppo di fondamentalisti ma di folle oceaniche che hanno invaso le strade delle principali città del Pakistan e hanno costretto il Governo a sospendere la sentenza. L’avvocato che per lunghi anni ha difeso Asia Bibi è scappato all’estero. Da anni il marito e i figli si trovano in Europa, per evitare rappresaglie. Una situazione paradossale che dà voce ai timori di chi vede l’islam sempre più prigioniero di movimenti che hanno fatto dell’intolleranza e della violenza la loro bandiera e che, proprio per questo, trovano ampio consenso nella comunità musulmana.
Leggi anche:
Asia Bibi, ordinato il suo rilascio immediato
Da quasi dieci anni Asia Bibi è in carcere, in isolamento, può incontrare solo il marito e i figli e, naturalmente, il suo avvocato. Una donna privata della libertà, uno sposo privato della moglie, una famiglia privata della madre. Tutto questo a causa di un banale litigio con due donne musulmane che la accusano di aver offeso il profeta Maometto. In realtà, all’origine di tutto il dramma c’è un semplice sorso d’acqua che la donna cristiana ha preso da una fonte riservata ai musulmani. Se anche fosse vera l’accusa, Asia non ha offeso nessuno, ha semplicemente dichiarato che Gesù è ben più grande di Maometto. Una semplice e doverosa manifestazione di fede. Normale in un Paese civile, imperdonabile in un Paese musulmano dove coloro che non si riconoscono nella religione di Allah, non possono manifestare la loro fede, non hanno diritto di cittadinanza, sono figli di un dio minore. Lo sanno bene i cristiani che vivono in Pakistan che in questi giorni vivono segregati in casa, hanno paura e sanno per esperienza che le minacce dei gruppi islamici non sono parole al vento.
In questi anni Asia Bibi è diventata l’obiettivo di un odio implacabile e umanamente inspiegabile. Tanto più grave se consideriamo che l’ostinata avversione, che diventa disprezzo della persona, è alimentata dalla fede religiosa.
Come può una religione che si presenta come culla di pace e di amore, generare tanto odio?
È una domanda che nessun giornalista si pone e, quel che è peggio, nessuno la pone a chi segue i dettami del Corano. Non mi pare di aver letto dichiarazioni ufficiali o ufficiose di gruppi e movimenti islamici che prendono le distanze da quello che avviene in quel grande Paese dell’estremo Oriente. Eppure non si tratta di una vicenda minore. Quegli stessi musulmani che sono così attenti e tempestivi a intervenire quando si sentono offesi, restano in silenzio dinanzi a questo dramma che si consuma da dieci anni. La cosa interessante – e tragica – è che nessuno li va a scovare e li costringe a prendere posizione. Provate a immaginare l’équipe delle Iene, capaci di fare tante bravate, intrufolarsi in una moschea o parlare con una telecamera nascosta con imam o responsabili di movimenti islamici. Niente di tutto questo. Rispetto o paura delle conseguenze? Temo che la seconda opzione sia di gran lunga quella più vera.
La vicenda di questa donna cristiana dovrebbe commuovere il mondo, suscitare una generale indignazione, chiedere e obbligare la comunità islamica a prendere posizione. Abbiamo il diritto di capire se questi movimenti che parlano in nome dell’islam sono occupanti abusivi oppure se interpretano correttamente la legge coranica. Vogliamo sapere se la loro posizione contrasta profondamente con i principi religiosi dell’islam oppure se rappresenta un’interpretazione fedele della religione musulmana. C’è un’autorità suprema che può rispondere al quesito oppure dobbiamo tenerci i nostri dubbi e temere che, in futuro, qualcuno possa avere l’ambizione o la pretesa di applicare rigorosamente la shaaria in ogni parte del mondo, Europa compresa.
Leggi anche:
“Fino a quando ce la farò, lotterò per impedire i matrimoni con spose bambine”
Non sappiamo come andrà a finire questa drammatica vicenda, quel che sappiamo con certezza è che Asia Bibi sta dando una bellissima testimonianza di fede, di carità. In tutti questi anni non ha mai avuto parole di odio nei confronti dei suoi accusatori, neppure il minimo risentimento. Ha sempre e solo detto di amare Gesù e di essere pronta a dare la vita per Lui. Una testimonianza limpida che ci fa arrossire pensando alla mediocrità della nostra fede. Questa donna è diventata, suo malgrado, icona di un cristianesimo che non cede alla brutale violenza di un Potere che si ammanta di religiosità ma che in realtà vuole annientare la libertà e la dignità della persona.
Non innalziamo muri ma non ci rassegniamo. Non alimentiamo ritorsioni ma continueremo a chiedere giustizia. Anche se il mondo che conta guarda da un’altra parte, anche se molti fanno finta di nulla, anche se gli stessi cristiani non capiscono che la vicenda di Asia Bibi è l’icona di una storia che riguarda tutti. La fede invita a trovare in Dio rifugio e forza. È questa la strada che vogliamo percorrere con maggiore determinazione.
don Silvio
Aiutaci a continuare la nostra missione: contagiare la famiglia della buona notizia
Cari lettori di Punto Famiglia,
stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).
Lascia un commento