Povertà

Rottura dei legami familiari e tasso di istruzione basso: le ragioni della povertà in Italia

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A cura della Redazione

Sono più di 5 milioni i poveri in Italia. I soggetti più colpiti, minori e giovani. Tra i fattori scatenanti, il basso tasso di istruzione e la rottura dei legami familiari. Lo dice la Caritas nel Rapporto 2018 su povertà e politiche di contrasto.

Il numero dei poveri assoluti in Italia “continua ad aumentare” e oggi supera i 5 milioni un vero e proprio “esercito”. Lo sottolinea la Caritas nel Rapporto 2018 su povertà e politiche di contrasto.

“Dagli anni pre-crisi ad oggi il numero dei poveri è aumentato del 182%, un dato che dà il senso dello stravolgimento” causato dalla crisi. “Esiste uno zoccolo durò di disagio che assume connotati molto simili a quelli esistenti prima della crisi economica del 2007-2008 con la sola differenza che oggi il fenomeno è sicuramente esteso a più soggetti”. Tra gli individui in povertà assoluta i minorenni sono un milione 208mila (il 12,1% del totale) e i giovani, nella fascia 18-34 anni, 1 milione 112mila (il 10,4%). “Oggi quasi un povero su due è minore o giovane”.

Sono 197.332 le persone che nel 2017 si sono rivolte a un Centro Caritas; il 42,2% è di nazionalità italiana, l’età media degli utenti è 44 anni ma i giovani tra i 18 e i 34 anni rappresentano la classe più numerosa (25,1%) mentre i pensionati costituiscono il 15,6%. Le storie di povertà intercettate nei Centri di ascolto “risultano più complesse, croniche e multidimensionali”, si legge nel Rapporto 2018. Il 42,6% delle persone incontrate da Caritas nel 2017 sono nuovi utenti ma è “in aumento la quota di chi vive situazioni di fragilità da 5 anni e più (22,6%)”. Nel 2017 si evidenzia l’incremento delle persone senza dimora e delle storie connotate da un minor capitale relazionale (famiglie uni-personali). “Il fatto che ancora oggi la rottura dei legami familiari possa costituire un fattore scatenante nell’entrata in uno stato di povertà e di bisogno”.

Don Francesco Soddu, direttore di Caritas Italiana, commenta: “Come cristiani abbiamo qualche difficoltà a pensare che si possa abolire la povertà, ma sappiamo che ogni storia riconsegnata alla sua dignità e alla sua libertà rende migliore il nostro Paese, ci rende migliori. La povertà non è solo mancanza di reddito o lavoro: è isolamento, fragilità, paura del futuro. Dare una risposta unidimensionale a un problema multidimensionale, sarebbe una semplificazione” che rischia di vanificare ogni impegno finanziario.

L’istruzione continua ad essere tra i fattori che più influiscono sulla condizione di povertà. L’Italia ha fatto dei passi in avanti ma si colloca ancora al penultimo posto in Europa per presenza di laureati, solo prima della Romania. Il 14% dei ragazzi in Italia abbandona precocemente gli studi e l’Italia nella classifica europea si colloca al quarto posto (dopo Malta, Spagna e Romania). Oltre i due terzi delle persone che si rivolgono alla Caritas ha un titolo di studio pari o inferiore alla licenza media (il 68,3%); tra gli italiani questa condizione riguarda il 77,4% degli utenti. “La povertà educativa – afferma ancora don Soddu – è un fenomeno principalmente ereditario nel nostro Paese, che a sua volta favorisce la trasmissione intergenerazionale della povertà economica. I dati nazionali dei centri di ascolto, oltre a confermare una forte correlazione tra livelli di istruzione e povertà economica, dimostrano anche una associazione tra livelli di istruzione e cronicità della povertà”.

Anche “la rottura dei legami familiari può costituire un fattore decisivo per l’entrata in una condizione di povertà”. Ed è in crescita per la stessa ragione anche il numero dei senza fissa dimora: “La situazione risulta particolarmente preoccupante perché le deprivazioni materiali attivano spesso dei circoli viziosi che tramandano di generazione in generazione le situazioni di svantaggio”. Il Rapporto denuncia un rilevante aumento delle storie di solitudine mentre diminuiscono le situazioni di chi sperimenta una stabilità relazionale data da un’unione coniugale. I disoccupati ascoltati nel 2017 rappresentano il 63,8%; tra gli stranieri la percentuale sale al 67,4%. Nell’analisi dei bisogni di chi si rivolge ai centri di ascolto prevalgono i casi di povertà economica (78,4%), seguiti dai problemi di occupazione (54,0%) e dai problemi abitativi (26,7%), in aumento rispetto al 2016; all’interno di questa categoria si nota un evidente incremento, dal 44,3% al 52,5%, della situazione di chi è privo di un’abitazione. Alle difficoltà di ordine materiale seguono altre forme di vulnerabilità che in molti casi si associano alle prime: problemi familiari (14,2%), difficoltà legate alla salut (12,8%) o alle migrazioni (12,5%). Il 4,2% si è invece rivolto ai centri per problematiche di tipo non economico (malattia mentale, separazione, morte di un congiunto, difficoltà nell’assistenza di familiari, problemi di giustizia). Nel 2017 sono stati realizzati circa 2 milioni 600mila interventi, in lieve diminuzione rispetto al 2016.

 




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