Scuola

L’ultima campanella, i ricordi di una prof e …

di Elisabetta Cafaro

La maturità volge al termine, per molti studenti è il momento dell’ultima campanella, ma quella che sembra una fine in realtà è solo l’inizio. Scrive la giovane Anastasia: “Il futuro comincia proprio adesso e avrà il colore che dipingeremo. Se somiglierà a un fiore sarà di certo un girasole e sapremo sempre dove voltarci. Non è la fine. Questo è solo l'inizio”.

Aprendo un cassetto della mia antica scrivania, trovo tra le tante cianfrusaglie un pacchetto chiuso con cura in una bustina. Sorrido pensando a come è ben tenuto e a come negli anni sia stato custode di un piccolo mondo, di una piccola storia: la mia. Lo apro non senza un pizzico d’emozione, all’interno ci sono i miei diari scolastici, le pagelle, la coccarda rossa della festa del Mak Π 100. Qualche foto un po’ sbiadita dal tempo, il primo libretto universitario con il numero di matricola e il vestito che indossai a quella festa tanto attesa 100 giorni prima che finisse l’anno scolastico.

“Personalità”, il nome del mio diario scolastico preferito. Riaprire dopo 35 anni un diario della scuola, uno tra i tanti, preso a caso, significa in un attimo ritrovare intatti i sogni della ragazzina che ero.

Le frasi delle canzoni di Jglesias che mi piacevano tanto e l’immagine di John Travolta che faceva sognare noi adolescenti di quella generazione con la sua “Febbre del sabato sera”. Accarezzo con il cuore la dedica di Adele, la mia amica di banco: “Ricordati che l’amore è come un campo di fiori…devi cogliere i suoi momenti migliori, uno alla volta. Con affetto Adele”.

Riscopro in una frase sul mio diario tutto il mio amore per Leopardi: “Tutta la vita è senza mutamento, in fondo alla via c’è l’oblio, l’amore è legato al tradimento”. Leopardi con il suo pessimismo e la sua malinconica ricerca di senso attivava in me l’innata protezione materna, sentivo tutta la sua sofferenza, fragilità e sensibilità. Era capace di trasportarmi con le sue poesie nell’infinito spaziale e in quello temporale.

Tra l’orario delle lezioni, le pagine dei capitoli di Dante da studiare, l’Eneide, il latino e I Promessi Sposi, a caratteri cubitali leggo i nomi dei miei compagni di classe. Mi lascio andare ai ricordi, chiudo gli occhi e comprendo che il tempo in realtà non esiste è solo un’invenzione dell’uomo se, basta così poco per ritrovarmi di nuovo nella mia V C del liceo scientifico. Quella classe che ancora oggi è parte della mia, anzi, della nostra vita e della nostra storia.

Nella nostra V C non è mai suonata l’ultima campanella. Oggi come ieri la nostra classe “vive” in una chat di WhatsApp. Due dei nostri amici ci hanno lasciato prematuramente e questo ci ha insegnato a volerci ancora più bene, ad aiutarci con più consapevolezza ed energia. Ad essere una piccola famiglia che si sostiene a vicenda e condivide gioia e dolori. Spesso ci rivediamo per una cena o solo per un caffè e, tra qualche ruga in più, qualche problema, una risata, si maschera la malinconia e si ritrova la forza acerba di quegli anni dove il tutto era niente. Davvero come ben comprese Leopardi: “Chi ha il coraggio di ridere è padrone del mondo”.

I miei pensieri s’intrecciano come in un gioco alle parole che mi scrive Giulia, una mia alunna dell’ultimo anno. Non “vede l’ora” di lasciare il liceo, di aprire quella porta al suono dell’ultima campanella per dire: “È finita!”.

Come in un flash di una istantanea rivedo i sorrisi raggianti e le grida di gioia contagiosa, coinvolgente dei miei ragazzi. Il suono tanto atteso. L’ultima campanella. Gli occhi si riempiono di lacrime, un misto di gioia salata. Volano in aria libri e quaderni. Sembra che non ci sia niente di più bello che il pensiero di intraprendere finalmente dopo cinque lunghi anni la strada verso la libertà. Un percorso scolastico è giunto alla fine. Ma ogni fine ha sempre un nuovo inizio.

“Non mi sembra vero, – scrive ancora Giulia, – sono emozionata, felice, ma stranamente anche un po’ triste di lasciare i miei compagni di classe. Questi compagni con cui ogni giorno ho diviso ansie, paure, preoccupazioni. Questi compagni che considero come la mia seconda famiglia. Mentalmente come in un film in bianco e nero ripercorro questi anni, mentre guardo il soffitto nella mia cameretta. Sono stati anni ricchi di risate, lacrime, amori, discussioni, delusioni e speranze. Sembra solo ieri che iniziavamo il liceo, tante le paure, le attese, è stato un periodo di vita non sempre facile, dove, non senza difficoltà, abbiamo maturato conoscenze nuove, costruendo il nostro passaporto per il futuro, quello che trasforma gli specchi in finestre”.

Amo passare ore a guardare i fiori, alcuni sembrano sorridere altri hanno un’espressione triste, pensierosa e diffidente, altri ancora sono semplici, onesti e retti, come il girasole dalla faccia larga.

Sofia, un’altra mia alunna, scrive: “La notte prima degli esami in casa si spengono le luci si attacca il ventilatore ma non si dorme. Gli amici in chat ti tengono compagnia fino all’alba e diluiscono la paura. La cosa più importante è che tutto abbia fine”. “Abbiamo voglia di volgere lo sguardo verso il futuro – dice Anastasia – e di credere alla bellezza dei propri sogni. Un futuro che comincia proprio adesso, avrà il colore che dipingeremo, se somiglierà a un fiore sarà di certo un girasole e sapremo sempre dove voltarci. Non è la fine. Questo è solo l’inizio”.

Mentre chiudo i miei diari scolastici nel cassetto dei ricordi, prego per voi ragazzi e mentalmente vi ringrazio per questo soffio di giovinezza che ogni volta riesco a ritrovare nelle vostre parole. Siate aquiloni che si innalzano verso i propri sogni di felicità, ma ricordate che bisogna essere appesi a un filo per volare in alto.




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