Dalla separazione, alla riconciliazione

di Giovanna Abbagnara

L’associazione Famiglie Separate Cristiane in Italia.

Ho tre figli, ormai grandi, sono sposato da 31 anni: da 15 anni sono separato.

Gli ultimi anni di matrimonio sono stati molto duri, ma questo dolore, mio malgrado, malgrado le mie resistenze, mi ha plasmato e mi ha molto aiutato a vivere questi momenti….  questo dolore mi ha fatto crescere spiritualmente ed umanamente”. Con queste parole Ernesto Emanuele, presidente dell’Associazione Famiglie Separate Cristiane sintetizza la sua esperienza di vita. Un’esperienza, quella di Emanuele, che dà voce ad un dato inquietante in Italia quello relativo alle separazioni. In 33 anni dall’approvazione della nuova legge sulla separazione si sono separate più di 2 milioni di coppie di sposi (cioè 4 milioni di persone) con circa 1,5 milioni di bambini coinvolti. Una cifra enorme, numeri che accendono i riflettori su un dramma che cresce di proporzioni ogni giorno e che ci deve spingere a porci come comunità cristiana la domanda: cosa abbiamo fatto per questa moltitudine di persone? Secondo l’ultima indagine Istat, nel 2005 abbiamo avuto in Italia 82.291 separazioni e 47.036 divorzi. Entrambi i fenomeni sono fortemente aumentati nell’ultimo decennio: rispetto al 1995 le separazioni hanno avuto un incremento del 57,3% mentre i divorzi del 74%! Dietro ogni numero c’è una storia, una storia di una famiglia che ad un certo punto, dopo pochi o molti anni di matrimonio, deve affrontare un dolore lacerante.

Inutile porre davanti ragioni più o meno giuste, inutile addurre spiegazioni valide, dietro ogni separazione consensuale o non, c’è un dolore: il dolore di chi decide o di chi subisce, il dolore dei figli, costretti ad “adeguarsi” a questa decisione. Racconta Emanuele: “Ogni volta che tornavo a casa, facevo tanti buoni propositi, ma spesso, dopo qualche minuto, constatavo il mio fallimento, la mia incapacità a continuare ad amare, ma malgrado ciò, era importante dare un nome ad ogni fallimento. Ogni giorno dovevo raschiare le incrostazioni di odio che si generavano in me: per molto tempo, e a volte ancora adesso, ho iniziato a pregare la sera con la frase: “Togli, Signore, dal mio cuore, ogni odio, ogni rancore”. Ci sono molti modi per vivere questa sofferenza, Emanuele ha chiesto al Signore di rendere feconda questa sua esperienza: “Una frase del Vangelo mi aveva colpito in quel periodo: “Non siete voi che avete scelto me, ma sono Io che ho scelto Voi”, mi sentivo scelto mediante quel dolore! Con questo dolore sono lentamente stato capace di parlare agli altri, cosa cui non ero mai riuscito, ed è stato bellissimo a volte accorgermi quasi di non essere io a parlare, ma questo dolore in me”.

Emanuele ricorda in modo limpido il giorno in cui si è recato in Tribunale con sua moglie per “regolarizzare” il suo stato di separato: “Mi preparai all’udienza di separazione facendo il proposito di continuare, malgrado tutto, ad amare, e parafrasando una frase sentita pensai: “domani posso essere o Emanuele o Gesù ”. Però anche quel giorno non fu facile… e non vi riuscii per niente, così come non fu facile negli anni che seguirono. Ho vissuto questi anni, la mia vita di separato, con Lui, ho cercato di abbandonarmi al Suo amore, tante volte mi sono sentito preso in braccio da Lui”. L’esperienza di Emanuele mette in risalto un dato che più volte si cerca di nascondere: la fede è un dono immenso che aiuta a vivere ogni dolore come offerta. La preoccupazione più grande in questi anni è stata sicuramente quella per i figli.

Quando si è separato, i suoi tre figli, come quasi nel 100% dei casi nei tribunali italiani, sono rimasti a vivere con sua moglie, ed Emanuele dovette uscire subito di casa con poche cose dentro una borsa. In modo particolare ricorda un episodio del primo anno dalla separazione: “La prima Pasqua dopo la separazione, i figli erano con me, e cercavo di valorizzare, facendo un poco di violenza su me stesso, le sorprese delle uova di Pasqua che mia moglie aveva loro regalato. Mio figlio maggiore di 14 anni, che aveva notato questo mio atteggiamento, mi disse: “Tu fai questo per valorizzare le cose che fa la mamma”. Io gli risposi che era necessario continuare ad amare anche quando ciò ci costa sacrificio, e gli dissi fissandolo negli occhi: “Pensa quanto mi costa!” E continuare ad amare negli anni che seguirono non fu né semplice né facile, soprattutto quando mi pareva facessero male ai miei figli, ma rimaneva almeno la mia volontà di essere sempre disponibile ad amare e a perdonare”. Sembrano parole irreali quelle di Emanuele, così diverse da quelle che siamo abituati a sentire nei talk show televisivi, nelle notizie di violenze tra le mura domestiche che quotidianamente ci rimandano i Tg nazionali. Ancora una volta la fede trasfigura l’umano specie nelle relazioni dove a prima vista sembra prevalere la conservazione a qualsiasi costo del proprio io.

Da questa esperienza è nata insieme ad alcuni amici nel 1998 a Milano, l’Associazione Famiglie Separate Cristiane, i cui membri potrebbero anche definirsi “Separati alla ricerca di Dio”. Annota Emanuele agli inizi di quell’esperienza: “Avevo immaginato una famiglia unita, bella, aperta ai prossimi, una vita diversa, altri svaghi, altri prossimi che avrei magari scelto io con cura, secondo le mie “attitudini migliori”: ho sentito invece che dovevo dare attenzione a chi è “separato”. Da alcuni anni mi occupo dei separati, i prossimi che non ho scelto io, ma che Lui mi ha messo accanto; condividere con loro le loro ansie, la loro solitudine…, dare un poco di speranza.”

All’interno dell’Associazione, gli aspetti formali ed organizzativi, anche se necessari per le attività di assistenza psicologica, orientamento legale, sensibilizzazione e promozione di una diversa cultura della famiglia (che veda entrambi i genitori coinvolti nell’educazione dei figli), sono tuttavia secondari rispetto all’esperienza di persone che si riuniscono per pregare, cercando come cosa fondamentale, che in ogni momento si realizzi la promessa di Gesù “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Mt 18, 20). Il primo obiettivo che l’associazione si propone è quello dell’accoglienza piena e incondizionata, libera da pregiudizi sia per i separati che mantengono la fedeltà al sacramento del matrimonio, sia per quelli che hanno iniziato una nuova unione. Spiega Emanuele che: “il cammino di condivisione che si propone attraverso i nostri incontri, mira a ricostruire quel fondamentale tessuto di relazioni e rapporti umani e sociali spesso allentato, in alcuni casi distrutto dalle vicende della separazione. La condivisione e lo scambio di esperienze riguarda i rapporti con i figli, le nostre difficoltà, speranze, sentimenti, talvolta pesi che sembrano schiacciare: cerchiamo di non fermarci alla croce, ma di fare intravedere, dietro la croce, la luce del Risorto”.  I membri dell’Associazione si sentono fortemente inseriti nel tessuto ecclesiale, si definiscono testimoni di disunità che si è creata nelle loro famiglie, ma sono convinti che questa sofferenza, profondamente vissuta e non rigettata, sia una ricchezza per la Chiesa che non deve venire dispersa. Non dunque motivo di lontananza, ma come una realtà da condividere, da ascoltare.




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