Il diritto a non essere lasciati soli

di Anna Pisacane

Eutanasia e accanimento terapeutico, temi delicati, complessi e sempre attuali. Ne parliamo con il prof Francesco D’Agostino, a un anno dalla morte di Piergiorgio Welby.

Prof. D’Agostino, è trascorso un anno dalla morte di Welby.  Come si è evoluto in questi mesi secondo lei  il dibattito sull’eutanasia e l’accanimento terapeutico?

Ad un anno di distanza, la magistratura ha riconosciuto da una parte il pieno diritto di Welby di chiedere il distacco dal respiratore e dall’altra la non illiceità dell’azione del dott. Riccio che ha assecondato la richiesta di Welby. Credo che sul piano giuridico questi elementi siano consolidati. Resta aperto tutto il discorso etico sull’assistenza da prestare ai malati colpiti da patologie così gravi, come quella del povero Welby. Non c’è alcun dubbio che il primo dovere etico nei confronti di questi malati è quello di non abbandonarli e che la richiesta di morire o di essere lasciati morire, dettata da Welby, è davvero l’eccezione a fronte, invece, della richiesta di vivere che viene da tutti gli altri malati che vivono nella stessa situazione.

Il caso Welby ha avuto il merito di aprire una finestra sulla realtà di tanti che convivono con malattie estreme?

Da un lato abbiamo un aumento di consapevolezza per quel che riguarda il nostro dovere di non lasciare soli, di non abbandonare malati in situazioni così estreme, dall’altro c’è un’ulteriore qualificazione giuridica del diritto alla rinuncia alle cure che indubbiamente ha un rilievo costituzionale.

Assecondare il diritto a rifiutare le cure significa venire incontro ad una pretesa giuridicamente corretta ma con un comportamento moralmente povero. Noi sappiamo che molto spesso la formale e corretta esecuzione del diritto, realizza la giustizia, ma realizza la dimensione più povera, più fredda, più formale, meno eticamente convincente della giustizia stessa.

L’ultima sentenza della Cassazione riguardo Eluana Englaro in stato vegetativo risente di questi nuovi varchi aperti su tali questioni?

La sentenza riguardo il caso di Eluana è molto diversa, perché mette in gioco problemi significativamente diversi da quelli del caso Welby. Welby era capace di intendere e di volere, Eluana non lo è. Welby era tenuto in vita da una macchina molto sofisticata, Eluana è semplicemente tenuta in vita da un sondino che garantisce l’alimentazione.

Quali principi ha stabilito la sentenza?

La Cassazione ha stabilito in primis: il principio secondo il quale il malato ha diritto a rifiutare l’alimentazione (naturalmente questo diritto è facile a rispettarsi quando il malato è capace di intendere e di volere ed è, invece, impossibile in caso contrario).

La Cassazione ha posto successivamente il requisito di un’adeguata prova documentale sull’intenzione che avrebbe avuto il malato prima di entrare in coma, come fonte di testamento biologico verbale.

Una indicazione di difficilissima realizzazione pratica, vedremo la Corte di appello di Milano, alla quale la Cassazione ha rinviato il caso, quale atteggiamento assumerà. L’altro requisito posto dalla Cassazione per il trattamento dei malati in coma è quello dell’irreversibilità del coma, e noi sappiamo che in senso proprio non abbiamo alcun criterio medico per diagnosticare che un coma sia irreversibile, abbiamo solo dei criteri genericamente statistici.

C’è un limite oltre il quale non si può più sperare in un recupero cognitivo della persona in stato vegetativo?

Più passano gli anni meno diventa probabile il risveglio, però nella letteratura abbiamo, seppure rarissimi casi, di risvegli anche dopo dieci anni di coma. Per questo se si dovesse, prendere sul serio, alla lettera la sentenza della Cassazione, il requisito dell’irreversibilità del coma, oggi, non può avere applicazione concreta. Potrebbe averla forse in futuro, se si scoprissero indicatori diagnostici, certi delle reversibilità, oggi no, almeno che i giudici di merito non vogliano, interpretare in senso estensivo, la sentenza della cassazione e intendere coma irreversibile il coma permanente.

Alla cronaca balzano sempre questa situazioni molto estreme che un po’ sconvolgono la coscienza umana, ma, in realtà, le proposte di leggi circa il testamento biologico, sembrano riguardare fasce di malati più ampie….

Il discorso sul testamento biologico in Parlamento è di enorme complessità, perché ci sono otto disegni di legge tutti molto diversi tra di loro, per cui è quasi privo di senso cercare di indagare su quella che è la situazione parlamentare in questo momento. Ancor di più che, probabilmente, la crisi politica attuale fermerà i lavori parlamentari ed in ogni modo sono molto lontani dal poter prevedere quali tra i tanti disegni di legge potrebbe avere un futuro.

Il caso di Eluana è molto tragico, secondo lei cosa induce un genitore a chiedere la sospensione delle cure per il proprio figlio?

Sono situazioni così estreme, così rare, che dobbiamo limitarci a prenderne atto. Nessuno onestamente può mettersi psicologicamente nei panni di questi genitori che vivono una vicenda così terribile. Prendiamo atto semplicemente che secondo loro sarebbe giusto sospendere l’alimentazione. Io ritengo che casi di questo genere vadano valutati da persone con maggiore distacco, rispetto ai soggetti coinvolti .




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