La Vita ha sempre ragione
intervista a cura di Anna Pisacane
A colloquio con Mons. Elio Sgreccia Presidente della Pontificia Accademia per la Vita.
Mons. Elio Sgreccia, Presidente della Pontificia Accademia per la Vita, è certamente una personalità del mondo ecclesiale e culturale, un eminente studioso che si è distinto soprattutto nel panorama della riflessione bioetica. Da più di dieci anni la sua attività s’intreccia con la Santa Sede: consacrato vescovo è stato dapprima segretario del Consiglio Pontificio della Famiglia, successivamente è stato nominato vice-presidente e infine presidente della Pontificia Accademia per la Vita, organismi questi ultimi creati da Giovanni Paolo II proprio per promuovere una riflessione culturale su temi fondamentali per la convivenza umana e che oggi appaiono particolarmente minacciati.
Mons. Sgreccia in questi anni non si è limitato a gestire con la competenza che tutti gli riconoscono questi organismi ma è intervenuto con tempestività su tutte le questioni bioetiche che hanno assurto l’onore della cronaca: da quella sull’identità dell’embrione (durante la campagna referendaria del 2005) a quella recentissima del caso Welby; è intervenuto anche per dissentire con alcune posizioni espresse dal card. Martini o per difendersi dall’accusa di ateismo del filosofo Emanuele Severino. Solo per citare alcuni interventi. Ma la lista sarebbe lunga. E come citare i numerosi libri che ha pubblicato in questi anni?
Noi di Punto Famiglia lo abbiamo intervistato a Pompei (NA) nel corso del X Convegno degli sposi cristiani promosso dalla diocesi che ha affrontato il tema: “La famiglia di fronte alle sfide attuali”.
Inizio con una domanda molto personale. Come si è trovato ad affrontare temi così vasti e complessi. Cosa l’ha spinta a interessarsi di bioetica, quando in Italia era ancora una disciplina sconosciuta?
Innanzitutto con i contatti che avuto sempre la fortuna di mantenere nella mia vita sacerdotale, poi con gli studi dei problemi della società. Io sono stato con i giovani che si preparavano al sacerdozio per 20 anni, poi con i giovani universitari e si sa i giovani sono un po’ le antenne, qualche volta i profeti. Ascoltando i loro problemi, riflettendo, pregando, ho cercato di dare delle risposte che potevano venire dalla saggezza della Chiesa.
Nel confronto culturale odierno emerge spesso la contrapposizione tra laici e cattolici, presentata dai media come una contrapposizione tra ragione e fede. Una lettura che lei ha sempre rifiutato. Tempo fa ha scritto un articolo sul Corriere un cui affermava: “Difendo la vita con Galileo”.
Si, perché è una trappola, è un modo per classificare i cattolici emarginandoli e dicendo voi siete fuori del mondo della ragione, voi siete della fede, come se questa fosse irrazionale e come se noi non ragionassimo mai. Questo non è vero, nella Chiesa si ragiona e si crede anche razionalmente, questa è una loro incomprensione. E, d’altra parte non dobbiamo lasciarci intrappolare da questa cosa perché mira a toglierci il dialogo con il mondo della ragione, perché se laico sta per mondo della ragione in quel mondo ci siamo anche noi.
Non è strano che un filosofo ateo come Emanuele Severino l’abbia accusata di usare poco la parola “Dio” nei suoi scritti?
In quel momento, quando rispondevo al senatore Amato non c’era bisogno di nominare Dio perché era sottinteso da tutte le parti, fu una sua battuta polemica questa, perché nello stesso articolo in cui diceva che io non nominavo Dio, citavo la Sacra Scrittura più di una volta, quindi è un modo sbrigativo per tentare di richiudermi la bocca, però non gli ho dato molto peso.
La Chiesa fa cultura alta, i convegni che organizza la Pontificia Accademia per la Vita sono frequentati da decine di studiosi di livello internazionale. Ma tutto questo arriva al popolo cattolico? In che modo diventa cibo commestibile per le nostre comunità ecclesiali? Non c’è forse una crescente frattura tra quella cultura che la Chiesa propone e le convinzioni che il cattolico medio riesce ad acquisire?
Io penso che un’idea quando è vera anche se detta in maniera alta prima o poi si fa apprezzare, anche perché si pensa che chi la intende la sappia divulgare. E poi io mi sforzo di portare queste cose anche a livello pastorale, e quindi, intendo trasmettere alla base la cultura della vita con tutte le sue ricchezze e delicatezze di problematiche, facendola entrare anche nelle sale parrocchiali. Si può.
Nell’enciclica Evangelium Vitae Giovanni Paolo II invita tutte le Conferenze episcopali nazionali a promuovere una giornata per la vita, come da tempo avviene in Italia (n. 85). Questo invito è stato raccolto? Non sarebbe meglio istituire una Giornata Mondiale per la vita, come esiste quella per la pace? Se ne parla da tempo ma finora non ha trovato accoglienza. Cosa ne pensa?
La data che si voleva proporre era quella del 25 marzo, giorno dell’Annunciazione, data che però se va bene per l’Europa non va bene per l’Africa, o viceversa. Allora ognuno ha voluto conservare la propria giornata nel luogo e nel tempo per se migliore e che assicura meglio una rispondenza con la gente del posto. Però io vedo che in alcune parti si fa addirittura una settimana per la vita e ultimamente anche la diocesi di Roma ha detto di voler fare la preparazione per gli sposi in un biennio di cammino e ci ha chiesto di aiutarli. Io ho incoraggiato questa cosa. È questione però di volontà e di farla bene altrimenti lascia il tempo che trova.
Non sono mancati in questi anni suoi interventi per confrontarsi a distanza con autorevoli personalità del mondo ecclesiale, come ad esempio il cardinale Martini. Agli occhi di un osservatore questo tipo di confronto mostra che nella Chiesa non c’è unanimità di giudizio e che in fondo molte cose sono opinabili. Non vede anche Lei questo rischio?
Il rischio c’è. Io ho confessato al Cardinale Martini che sull’esegesi biblica mi rivolgo a lui quando ho bisogno di capire, perché non posso pretendere di essere specialista in questo campo. Però su altri temi anche lui dovrebbe rivolgersi a chi ha competenza. Ad ognuno le sue competenze. D’altra parte io non volevo offendere ma solo venirgli incontro con molto rispetto nel fargli notare quello in cui mancava l’articolo. Nel testo il cardinale diceva “mi dicono che”, questo vuol dire che non era tanto il suo pensiero compiuto, quanto quello che rifletteva attorno. Questo aiuto fraterno mi sentivo in dovere di dargli e per rassicurare me stesso e la mia coscienza, ma anche chi senza conoscere poteva essere male informato.
La scienza si divide su quasi tutti i temi della bioetica. Autorevoli studiosi sono a favore di tesi che invece incontrano una fiera opposizione in altrettanti autorevoli studiosi. Tutto è ridotto a opinione. Non è questo il trionfo del relativismo?
No, perché il fatto che l’uno affermi e l’altro neghi, non vuol dire che tutti e due abbiano ragione. Se la verità esiste significa che va cercata ulteriormente. Questo fatto che esistano le divergenze obbliga ad andare più a fondo ma non consacra l’opinabilità della cosa. Vuol dire ragioniamo bene quando è così.
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