Questione asili nido

Offerta insufficiente, costi altalenanti e grande divario fra Nord e Sud del Paese. Gli asili nido sono ancora al centro del dibattito.

Trentasei anni fa la legge 1044, istitutiva degli asili comunali, prevedeva 3800 nidi in tutta Italia già per il 1976. Ad oggi sono state superate, di poco, le tremila unità. Una risposta di carattere sperimentale alla domanda sociale ed educativa per la fascia di età 2-3 anni viene dall’Accordo tra il Ministro della Pubblica istruzione, il Ministro delle Politiche per la Famiglia, il Ministro della Solidarietà sociale, le Regioni, le Province Autonome di Trento e Bolzano, le Province, i Comuni e le Comunità montane, per la promozione di un’offerta educativa integrativa e sperimentale per i bambini dai due ai tre anni. A partire dal settembre 2007 la nuova offerta formativa,  denominata “Sezioni sperimentali aggregate alle scuole dell’infanzia”, è da intendersi come servizi socio-educativi integrativi alle attuali strutture dei nidi e delle scuole dell’infanzia, contribuisce a diffondere una cultura dell’infanzia attenta ai bisogni e alle potenzialità dei bambini da zero a sei anni, in coerenza con il principio della continuità educativa ed anche sulla base delle esperienze positive già avviate in numerosi territori e realtà, volte a migliorare i raccordi tra nido e scuola dell’infanzia. Intanto la questione asilo nido rimane: da nord a sud allarme: infinite liste di attesa, costi elevati (Lecco è la città più cara con i suoi 572 euro, mentre Roma risulta la più economica, il costo di una retta è di 146 euro), insegnanti precari…

Rispetto all’Europa, Italia divisa

Sotto il profilo dell’intervento statale va sottolineato il fatto che il numero dei nidi, ad oggi, è notevolmente aumentato rispetto a qualche anno fa, con piccoli comuni in grado di moltiplicare per quattro i posti rispetto alla media nazionale, asili ecocompatibili e strutture (anche private) all’avanguardia dal punto di vista educativo e organizzativo, come vale per l’esemplare ed eccellente esempio fornito dagli asili di Reggio Emilia, definiti dalNewsweek, nel 1991, i migliori del mondo. Tuttavia, per un problema, avvertito in maniera così capillare, in ogni angolo della nostra penisola e che è esploso in concomitanza con l’entrata sempre più massiccia e determinante della donne nel mondo del lavoro, va da sè che non può bastare qualche punta d’eccellenza, se poi il quadro generale è ancora ampiamente insoddisfacente. A parlare, a tal proposito sono i numeri: infatti, nonostante che nel nostro Paese i nidi sarebbero cresciuti del 62,4% in 5 anni, passando dai 3008 registrati nel 2000 ai 4885 di fine 2005 (ma si tenga conto  che molte strutture preesistevano e non erano ancora state registrate dai sistemi informativi delle varie regioni), la copertura media è passata dal 7,4%, ad un ancora risicato9,9% dell’utenza potenziale (cioè del totale dei bambini che potrebbero usufruirne). Ciò significa che su dieci mamme che potrebbero chiedere di poter usufruire di tali strutture, ammesso che abbiano un solo figlio a testa in età corrispondente (gua i ai gemelli quindi), solo una ha la fortuna di usufruirne, mentre le altre nove dovrebbero arrangiarsi diversamente. Il dato è molto preoccupante, specie se rapportato agli altri paesi della comunità europea, dove l’Italia si assesta solo all’undicesimo posto, addirittura surclassata dalla Danimarca, dove c’è una disponibilità di posti pari al 50% della domanda e da Svezia e Francia, che si assestano al 35-40% della domanda potenziale.

E le donne?

Si comprende bene, allora, che il dato non è tragico solo perchè la realtà del lavoro e sociale, che c’è in Italia, è tale da non dare alla citata proporzione la portata negativa che in effetti ha. In verità è ben noto che il mercato del lavoro per le donne, soprattutto al sud, è ancora in gran parte ingolfato, per non dire in lentissima crescita, che a volte coincide con una situazione di perenne stasi (solo il 22,5% delle donne in età lavorativa è occupata). Sicchè mancando il lavoro viene a mancare la causa prima del ricorso agli asili nido. Non ci si deve meravigliare più di tanto, allora, se la disponibilità media di posti, sopra citata, è solo il frutto di due opposte realtà, caratterizzate da differenze enormi: si va dal 24% dell’Emilia Romagna, all’1% della Puglia!

Come dire che lì dove ci sono maggiori opportunità di lavoro per le donne, lì si trovano anche i servizi accessori per poter permettere a queste ultime di usufruire di tali opportunità, senza costringerle all’odiosa e frustrante rinuncia ad essere mamme; lì dove invece, le porte del mondo del lavoro sono molto strette per il gentil sesso, ecco che anche i servizi ancillari latitano. Meno male, allora, che tale situazione di totale assenza di supporti, per le già poche mamme lavoratrici, è compensata dalla tenuta dei rapporti parentali, lì dove c’è, per fortuna, in molti casi, ancora la nonna che viene in soccorso!

Quali prospettive?

Ovviamente il problema degli asili nido non riguarda solo il loro numero ancora eccessivamente esiguo, bensì anche la qualità del servizio offerto, che in molti casi lascia a desiderare, sia dal punto di vista dell’igiene, che da quello dell’agibilità delle strutture, specie se private; per non parlare del costo, spesso proibitivo e non alla portata dei giovani genitori che accedono al servizio.

Alla luce di tale contingente situazione, qualcosa si sta movendo

Ci riferiamo in particolare allo stanziamento di 300 milioni di euro nel triennio 2007-2009 per una nuova rete di servizi alla prima infanzia. Tali risorse saranno destinate in particolare a finanziare un piano straordinario per i servizi socio-educativi nella prima infanzia, incluso un sistema integrato di asili nido e nuovi servizi territoriali, anche sui luoghi di lavoro, al fine di migliorare le opportunità di socializzazione e crescita dei più piccoli, restituire tempo alle famiglie e incoraggiare l’occupazione femminile. A ciò aggiungasi che il Parlamento ha finalmente posto mano ad una legge che dovrebbe riformare la materia (si consideri che l’ultimo testo in materia di asili nido data 1971). Stando ai lavori che si stanno svolgendo nella competente commissione parlamentare, è al vaglio una legge che dovrebbe disciplinare l’intero arco di età che va da 0 a 6 anni: nidi e le scuole materne faranno parte di un sistema integrato, di cui gli asili nido saranno considerati il primo livello educativo. Come prima conseguenza di ciò verranno stabiliti, per tutte le strutture,  i livelli essenziali delle prestazioni da offrire e una migliore trasparenza in ordine ai costi da affrontare.

Un popolo di “mammoni”

Un’analisi della citata materia, tuttavia, non può prescindere completamente dall’approccio problematico e ancora dubitativo che in alcuni casi le mamme italiane hanno nei confronti del nido, convinte come sono che allevare i figli, nei primi anni d’età, da sole, o con l’ausilio di figure parentali li ponga al riparo da possibili traumi pschici, che ne rallentano lo sviluppo e l’apprendimento. Sul punto, attente ricerche compiute in altri stati (Regno Unito, Germania, Svezia, Stati Uniti), sul benessere psico-fisico dei bambini che frequentano asili nido, concordano nell’individuare, tra i fattori importanti, la qualità degli asili, ma anche il tempo che ambedue i genitori dedicano ai bambini. Ebbene, dà da pensare il fatto che se  le donne italiane sono oggi quelle in Europa che dedicano più tempo al lavoro familiare, inclusa la cura dei figli, l’opposto vale per gli uomini, con ogni immaginabile e perniciosa conseguenza sull’equilibrato sviluppo dei figli. Va da sé che non bisogna lamentarsi, poi, se gli italiani vengono ancora etichettati come un popolo di “mammoni”.




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