Genitori e figli
Perché non allontanare i bambini dalle gabbie dorate dei clan?
di Michela Giordano
Cosa fare quando la povertà in cui vivono molti bambini è un fatto di valori? È giusto allontanare i figli dai genitori se questi sono boss di organizzazioni criminali? Essere liberi significa avere la possibilità di scegliere se commettere un errore oppure no.
“Togliamo i figli ai boss”, ha tuonato, pochi mesi fa, il Consiglio superiore della Magistratura: togliere i figli minorenni ai componenti di clan mafiosi, che li indottrinano rendendoli partecipi dei loro affari illeciti. La sollecitazione al legislatore è quella di intervenire sul codice penale, introducendo la pena accessoria della decadenza dalla potestà genitoriale per i condannati per i reati associativi di tipo mafioso, quando coinvolgano i loro figli.
La delibera ha preso le mosse dalle esperienze dei tribunali per i minorenni del Sud (in testa Reggio Calabria, Napoli e Catania), i quali, di fronte a famiglie mafiose che inserivano sin da piccoli i propri figli nelle dinamiche criminali dei clan, hanno adottato provvedimenti di decadenza o limitazione della potestà genitoriale e hanno allontanato i minori da quell’ambiente ad alto rischio per il loro sviluppo psico-fisico, affidandoli a strutture poste al di fuori della regione di provenienza. Sentenze coraggiose, non accompagnate a pieno dal sostegno dello Stato.
La legge lascia molto spazio all’interpretazione: l’allontanamento di un minore dal proprio nucleo familiare viene stabilito, dopo un percorso segnato dal contributo di esperti multidisciplinari, quando i genitori non siano in grado di rispondere ai bisogni di crescita del proprio figlio, lo costringano a vivere esperienze non adatte all’età o non gli assicurino trascuratezza fisica, mancata copertura sanitaria, maltrattamenti. Spetta ai servizi sociali monitorare e segnalare all’autorità giudiziaria.
Nel caso di famiglie mafiose, però, raramente i figli sono trascurati. Almeno dal punto di vista economico. Tutt’altro. Vestono abiti firmati, hanno camerette degne di palazzi reali e giochi finanche di materiali preziosi, eppure, in tanta opulenza, quanta povertà di valori. Mi chiedo: perché non allontaniamo quei bambini dalle gabbie dorate in cui vivono? Prigioni non fisiche, ma di cultura, prospettive, opportunità. Tra molti omissis e pochissimi dettagli, il procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero de Raho, ha recentemente raccontato della 17enne figlia di uno dei più potenti “capi” della ‘ndrangheta. È stata allontanata dalla famiglia e trasferita a Milano, in ambiente protetto, per realizzare il suo sogno, disegnare moda lontana dalla cappa opprimente di casa sua. Dopo un anno, non è più voluta rientrare.
Allora dico: togliamo i figli ai boss e alle mogli dei boss che non trovano il coraggio di scelte diverse. I giudici lo hanno fatto con il neonato frutto dell’amore malato di quei due giovani finiti in carcere per aver sfregiato con l’acido alcuni ragazzi. Sarà adottata, l’innocente creatura, che merita una chance di vita normale, nella quale scegliere di commettere errori e non commettere errori per non aver avuto scelta. Un altro mondo è possibile se cominciamo dai bambini. L’interrogativo è: “Saremo, poi, noi disponibili all’accoglienza di questi bambini”.
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