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84.926 aborti nel 2016, ma il dato è davvero calato?

vita, ecografia, aborto

foto: @Phil Jones - Shutterstock.com

di Gabriele Soliani

Una relazione del Ministero della Salute ha fatto il punto della situazione sulle interruzioni volontarie di gravidanza in Italia per l’anno 2016. Nelle 129 pagine che la compongono si parla di diritto della donna, di controllo delle nascite, ma mai che si parli delle vere vittime: i 5.830.930 bambini abortiti, dietro i quali c’è sempre il volto deturpato di una madre.

Il 13 gennaio scorso il Ministero della Salute ha pubblicato la relazione sull’applicazione della legge 194/1978 sull’aborto volontario in Italia per l’anno 2016. Gli aborti col metodo “tradizionale” sono stati 84.926 con una diminuzione del 3,1% rispetto al 2015 confermando un trend degli ultimi tre anni. Ma cerchiamo di leggere attentamente i dati presentati e quella che sembrerebbe una buona notizia.

Innanzitutto, rileviamo che sono passati 40 anni per questa legge che, a differenza di altre, non è mai stata ritoccata né rimessa in discussione. La relazione ha ben 129 pagine ma, come è stato fatto notare, non si accenna minimamente alle vittime che sono arrivate, legalmente, alla cifra che lascia senza fiato di 5.830.930. Dietro questo numero ci sono le altre “vittime” che sono le donne.

Si parla del “diritto” della donna a scegliere, della prevalenza del diritto della donna su quella del feto (che la tragica e sbagliata sentenza della Corte Costituzionale del 1975 definì “non ancora persona”) e di “maternità responsabile”. Tuttavia controllando i numeri, si nota che l’aborto è anche usato come “controllo delle nascite”, concetto questo respinto da chi promuove e difende la legge. Il tasso maggiore di abortività volontaria, nettamente superiore a quello totale (6,5/1.000 donne in età fertile) si registra nelle classi di età comprese tra i 20 ed i 34 anni con il massimo nel gruppo di età 25-29 anni. Se a questo aggiungiamo che il 54,8% delle donne che hanno abortito nel 2016 sono nubili, che il 39,4% non ha alcun figlio e che il tasso di fecondità totale (tft) sia sceso a 1,34 figli/donna (1,26/donna italiana e 1,97 per donna straniera) e che l’età media del primo parto nelle italiane è 32,4 anni (28,7 nelle straniere), possiamo affermare che l’aborto volontario entro i 90 giorni è usato come “mezzo per il controllo delle nascite”.

Altri dati della Relazione dicono che il tasso di abortività nelle minorenni sia basso (3,1/1.000 donne). Questo nella stessa Relazione viene associato al maggiore utilizzo delle pillole del/i giorno/i dopo, che nel 2016 – dopo la liberalizzazione della vendita senza ricetta medica – hanno raggiunto le 404.121 confezioni (pag. 13) secondo il Ministero della Salute, e 455.140 secondo altre fonti (200.507 di EllaOne fino al 31 ottobre secondo i dati forniti da Federfarma e HRA Pharma al Corriere della Sera, 27 marzo 2017). Dunque sommando al tasso di abortività volontaria registrato nelle ragazze di età inferiore a 20 anni quello delle pillole da loro utilizzate si passa dal 4,6% alla cifra molto alta di 35,53%.

Ricordiamo che la pillola dei 5 giorni dopo (EllaOne) può essere acquistata senza ricetta medica dopo i 18 anni. Il principio attivo, Ulipristal acetato, è un agonista del progesterone che prende il suo posto nella mucosa dell’endometrio e per questo annulla la prosecuzione della gravidanza con aborto del piccolo embrione umano.

Altri numeri della Relazione vedono la costante crescita degli aborti volontari oltre i 90 giorni, che nel 2016 sono diventati 4.432(5,3% di tutti gli aborti, cioè si sono più che decuplicati rispetto allo 0,5% del 1981). Ma la cifra è sottostimata perché in 2.356 casi (2,8%) l’epoca gestazionale non è stata rilevata. I dati degli aborti dopo i 90 giorni in Sardegna (23,2%), Basilicata (18,8%), Umbria (14,6%), Puglia (10,6%) hanno una percentuale nettamente superiore a quella nazionale, e questo dovrebbe destare preoccupazione.

Dei 2.942 aborti oltre la sedicesima settimana, 1.016 sono avvenuti dopo la 21 settimana. Queste gravidanze inizialmente desiderate vengono interrotte dopo diagnosi prenatale, cui sempre di più si sottopongono le donne anche su spinta “difensiva” degli ostetrici. Quasi mai viene prospettata ai genitori la possibilità di essere aiutati per queste difficili gravidanze da Associazioni di Famiglie (Il Cuore in una goccia; la Quercia millenaria,..), che hanno già vissuto queste esperienze di accompagnamento del feto terminale, che possono testimoniare quanto la scelta dell’aborto volontario non sia la soluzione.

Un cenno meritano gli aborti volontari fatti “in regime di urgenza”. Sono stai 14.418 (17,8% di tutti gli aborti volontari) a cui si aggiungono i 3.985 dati Non Rilevati (4,6%), che in alcune regioni come la Puglia raggiungono il 34,1% (2.542) ed il 7,1% (1.006) in Lombardia. La Relazione Ministeriale cerca di giustificarlo in parte per rendere possibile l’aborto “farmacologico” entro i 49 giorni (con la RU486).

L’art. 5 della legge 194/1978 prevede una pausa di riflessione di 7 giorni dopo il rilascio del certificato… ma tant’è. Da quando l’aborto è diventato un diritto assoluto si chiude un occhio su tutto.




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