Voglia di famiglia

di Giorgio Marcello

Forza e debolezza dell’accoglienza in famiglia.

La crescita progressiva della percentuale di separazioni e l’abbassamento drastico (anche nelle regioni meridionali) del tasso di natalità sono tra gli indicatori più eloquenti dell’indebolimento della struttura familiare. La precarizzazione familiare colpisce sia l’ambito delle relazioni che quello delle condizioni materiali di vita.

Se è vero, inoltre, che si va riducendo la funzione di ammortizzazione sociale della famiglia – proprio per l’indebolimento dei legami tra i suoi componenti – al tempo stesso continua a gravare su di essa il maggior peso della cura delle persone più deboli (che vivono al suo interno). È per questo che si parla di “famiglie sotto stress”. Accanto allo stress delle famiglie che realizzano di essere oberate e sole, c’è il disorientamento di quelle che vivono in contesti sociali – e culturali – deresponsabilizzanti.

Come Rete Bambini, ragazzi e famiglie al sud, al convegno di Paestum ci siamo chiesti quale può essere il riverbero di questa situazione sulle nostre esperienze e sulla ricerca che ormai da tempo andiamo condividendo.

Per anni abbiamo vissuto e proposto l’accoglienza come dimensione da integrare nella normalità dell’esperienza familiare. Il fatto è che si ha sempre di più l’impressione che la condizione normale delle famiglie in Italia sia quella che coincide con l’ esposizione di un numero crescente di esse al rischio della vulnerabilità.

La vulnerabilità, inoltre, ha a che fare con le nostre stesse esperienze di accoglienza. In più occasioni, abbiamo riflettuto sul fatto che l’affido familiare è una esperienza di vulnerabilità condivisa. Non c’è la forza di chi accoglie e la debolezza di chi è accolto. Anche chi accoglie si scopre vulnerabile. Si trova a fare i conti, prima o poi, con i propri limiti.

Un altro spunto di riflessione sviluppato in occasione del convegno ha riguardato la frammentazione delle forme di accoglienza. Nei territori con le percentuali di istituzionalizzazione più alte, si mettono in atto percorsi di deistituzionalizzazione apparente, che in realtà sono funzionali ad una riconversione solo parziale dei vecchi istituti educativo-assistenziali, dichiarati illegittimi dalla legge n.149.

La pratica dell’affidamento familiare viene incoraggiata sempre di meno, anche nei territori in cui essa appariva ben radicata.

Riteniamo che le nuove forme di accoglienza, rappresentate dall’affido professionale e dall’adozione mite, possono essere una opportunità per tanti bambini e adolescenti in difficoltà. Però abbiamo anche l’impressione che esse pongano seri problemi, su cui urge riflettere insieme. Siamo infatti convinti che ricalibrare le modalità di accoglienza – andando verso la standardizzazione delle risposte e l’accentuazione dei profili di competenza – senza tener presente la necessità di fare comunità intorno alle famiglie più in crisi significa mettere in atto percorsi di accoglienza senza prospettiva di futuro, senza progetto; percorsi fondamentalmente neoistituzionalizzanti.

Il convegno di Paestum, del 16-17 marzo 2007, ha rappresentato una importante occasione per impostare e proseguire la ricerca della Rete su alcune questioni di fondo. Ci siamo chiesti qual è il cammino che stiamo facendo sull’affido al sud, e quali scenari si intravedono nelle nostre regioni.

La due giorni di formazione ha ruotato attorno ad una idea di fondo precisa: quella per cui non possiamo riflettere sulle prospettive dell’affido, e dell’accoglienza in generale, senza affrontare la questione della famiglia, come vocazione specifica, nel coro della città.

Proprio per approfondire quest’ultimo aspetto, abbiamo ritenuto che fosse utile avviare una riflessione sui valori, i significati e i punti di crisi connessi alle dimensioni della paternità e della maternità, tenendo presente una duplice prospettiva: quella biblica e quella delle scienze sociali. Tutto ciò, senza trascurare di tenere presente sullo sfondo l’accoglienza e le sue trasformazioni.




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