Quando dialogare non vuol dire parlare…
Il dialogo genitori-figli è un sistema complesso e articolato che non si nutre solo di informazioni di cronaca, ma esige tempo, pazienza e soprattutto amore. Quando cominciare? Quali condizioni creare? Qualche consiglio utile.
“Non lo capisco più!” mi confida una madre in una lettera che ho ricevuto l’altro giorno. “Da quando mio figlio ha cominciato a frequentare le scuole medie è diventato un’altra persona. Non mi parla più e non fa mai quello che gli dico di fare”. Sono parole dure per un genitore. Ci pensate? Vivere con un figlio che non ti riconosce come guida, come punto di riferimento. Mentre ci rifletto un po’ su, si fa strada dentro di me una parolina nota a molti ma, purtroppo, sconosciuta ai più: dialogo. Molti diranno: “Io parlo spesso con i miei figli!” ma, ahimè, parlare spesso non vuol dire dialogare.
Il dialogo in realtà è un sistema complesso e articolato perché suppone una relazione fatta di fiducia, rispetto e educazione. Se questa relazione manca, perché mio figlio dovrebbe avvertire l’esigenza di parlarmi? Di venire a cercarmi? Spesso il genitore avverte l’esigenza di dialogare con il proprio figlio quando questi è ormai adolescente come nell’esperienza della signora che mi ha scritto, ma è troppo tardi. L’adolescenza è il tempo in cui il figlio rivendica giustamente la propria autonomia. Ha già scelto i suoi modelli di riferimento, per certi versi sa già tutto, o almeno, questo è ciò che crede.
Bisogna dunque ricorrere ai ripari ed ecco che alcuni genitori, per evitare di essere tagliati fuori dai figli, impostano con loro un dialogo di tipo amicale. Diventano compagni, complici, cercano di sapere tutto, di farsi dire tutto ma non si spingono mai un passo oltre. Pur di continuare a restare nel mondo del figlio rinunciano al loro ruolo di guide. Il dialogo è educativo quando la relazione che lega le persone coinvolte è di natura formativa, ovvero ci sono due ruoli ben definiti: un educatore e un educando, un genitore e un figlio. Il nostro compito, cari mamma e papà, non è essere amici dei nostri figli, ma condurli alla verità, alla giustizia e alla rettitudine anche quando questa è la via più scomoda da percorrere.
Ora facciamo un piccolo test: proviamo ad analizzare come i nostri figli vivono il dialogo con noi. Reagiscono con prontezza e determinazione o sono sordi e distratti? Si sentono liberi nel consegnarci le loro avventure? Ci riconoscono come guide, ci chiedono consigli, suggerimenti? Desiderano entrare in relazione con noi? Se le risposte sono affermative possiamo dire di aver posto le premesse per un buon dialogo. Se non è così allora dobbiamo lavorare ancora per creare le condizioni.
A questo punto vi starete chiedendo: quali condizioni dobbiamo creare per parlare adeguatamente con i nostri figli? Innanzitutto accoglierli. Spesso capita che i figli ci cercano, ma trovano la strada chiusa soprattutto quando devono venire a consegnarci fallimenti, problemi, quando sanno che ci recheranno una delusione. Le nostre reazioni li spaventano, quindi evitano di venire da noi e tentano di cavarsela da soli. Apro una piccola parentesi: le parole delusione o fallimento, sono molto frequenti nel nostro vocabolario, ma pesano troppo sulle spalle dei nostri figli. Si fa presto ad arrabbiarsi e a fare uso di terminologie che delineano amarezza, disillusione e finiscono col chiudere la porta al dialogo. Per quanto ci è possibile, è meglio evitare parole pesanti, giudizi di sorta. Tentare di essere autorevoli e non autoritari, questo aiuterà il figlio a cercare il genitore anche quando sa di aver sbagliato.
Il dialogo suppone poi l’uso di un linguaggio comune. Spesso i bambini si sentono lontani dal mondo dei grandi che appare quasi inaccessibile. Il linguaggio degli adulti così diverso dal loro, sembra incomprensibile. Non si sentono capiti e talvolta si inventano amici immaginari, compagni di gioco invisibili che tengono loro compagnia. Quanti ricordano di avere affidato i propri segreti a un orsacchiotto di peluche o a una bambola? Il parlare solitario dei bambini, una sorta di auto-dialogo, può avvenire anche nell’età adulta. Quante volte vediamo persone in macchina, ferme in fila, che parlano da sole? Parlare per rispondere al desiderio di sentire un suono, una presenza, una vibrazione che colmi il senso di vuoto o di solitudine. Il dialogo è quindi la necessità di relazionarsi con se stessi, con gli altri, con il mondo.
Altra condizione importante che prepara il terreno per un’ottima semina è: assicurare al figlio il proprio affetto incrollabile. Spesso diamo per scontato che lo sappia. Che sappia quanto gli vogliamo bene, che saremmo disposti a morire per lui, eppure dirglielo non fa mai male, anzi gli insegna a raccontare i propri sentimenti. Cari genitori, la vita ci mette fretta, ma l’amore ci chiede di fermarci, sostare e donare. I nostri figli sono creature desiderose di certezze e nessuno al mondo potrà offrirgliele meglio di noi.
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