Emozioni

Gioia, tristezza, paura da “Inside Out” al divano di casa: come insegnare le emozioni?

di Giulia Palombo, psicologa e psicoterapeuta

Cosa succede nella mente dei bambini quando vengono esposti ad immagini o situazioni che generano forti stati emotivi di terrore e paura? Come si difendono e come gestiscono tali vissuti?

Qualche giorno fa mi sono ritrovata, come mamma, ad affrontare una questione che mi piace condividere perché offre molti spunti di riflessione e permette di sfatare alcuni falsi miti. In un giorno di chiusura della scuola inizia sulla chat di gruppo dei genitori della classe di mia figlia (9 anni) una lunga e articolata discussione. Tutto parte da una mamma che aveva notato da qualche giorno comportamenti strani nella figlia, paure insolite, sonno agitato, la tendenza a stare appiccicata alla mamma, sempre iper-vigile e col timore che potesse accadere qualcosa di brutto da un momento all’altro. Dunque, questa mamma chiedeva agli altri genitori se fosse successo qualcosa in classe, perché i comportamenti della figlia le sembravano troppo insoliti. Dopo questo primo messaggio ne sono susseguiti altri, nei quali diversi genitori raccontavano di aver osservato comportamenti molto simili nei propri figli.

Dopo l’allarme generale, naturalmente legato al terrore dei genitori che fosse accaduto qualcosa di brutto in classe, sono seguiti dei momenti di confronto e di ascolto dei bambini e si è potuto ricostruire quanto era accaduto nei giorni precedenti. Durante la merenda e nel cambio d’ora, alcuni bambini avevano preso l’abitudine di fermarsi a parlare di film dell’orrore, bambole assassine e altri racconti spaventosi, generando un clima generale di terrore che via via stava coinvolgendo sempre più bambini. La razione dei genitori? Innanzitutto è iniziata una grande caccia al colpevole: da chi è partita questa storia? Chi ne parla di più? E come fare ad impedire che ciò accada? D’altro canto c’era poi chi non si sentiva coinvolto perché il proprio figlio aveva dichiarato di non avere paura.

Proviamo insieme a fare un po’ di ordine. Innanzitutto dobbiamo chiederci se davvero in questi casi si può dire che c’è un colpevole, e in tal caso, come nel migliore dei gialli, dobbiamo dire che non è mai il principale sospettato! Cosa succede nella mente dei bambini quando vengono esposti ad immagini o situazioni che generano forti stati emotivi di terrore e paura? Come si difendono e come gestiscono tali vissuti?

Le recenti ricerche sulla mente umana ci dicono che il cervello risponde a una forte emozione attivando dei comportamenti automatici e istintivi, alcuni innati come la fuga o l’attacco, altri appresi durante l’esperienza. Spesso la reazione del bambino di fronte alla paura è il pianto, che ha la funzione di attivare il sistema di accudimento negli adulti che gli stanno intorno. È istintivo cercare di tranquillizzare e consolare un bambino che piange.

Può capitare invece che di fronte alla forte paura, il bambino si senta ancora più debole e in pericolo e dunque piuttosto che chiedere aiuto può arrabbiarsi, sentirsi in colpa o avere vergogna, scappare, o sentire che deve difendersi anche dalle persone che in realtà potrebbero aiutarlo.

Quante volte ci siamo ritrovati a dire ad un bambino: “Sei grande, non devi avere paura!” oppure “Devi essere forte”? E quante volte di fronte ad una brutta cosa accaduta cerchiamo di cambiare argomento, spinti dall’idea che se non ne parliamo possiamo soffrire di meno? I bambini imparano da tali atteggiamenti, e possono registrare nella loro mente l’informazione che è meglio non parlare di ciò che stanno vivendo, provando a dimenticarlo, a fare finta che non sia accaduto o a tenerlo per sé. L’evento che spaventa però, non viene affatto cancellato dalla mente, anzi viene registrato e immagazzinato nella memoria con l’insieme dei pensieri e delle emozioni che lo accompagnano, emergendo poi in modo automatico, senza che la persona voglia ripensarci. Ad esempio può capitare che ritorni nei sogni sotto forma di incubi, oppure sotto forma di immagini o pensieri che insorgono all’improvviso mentre si sta facendo altro, anche se c’è uno sforzo attivo di non pensarci.

È come se la mente volesse liberarsi di quel contenuto angosciante, ma non ci riesce, allora fa diversi e ripetuti tentativi, determinando ogni volta lo stesso vissuto negativo.

Dunque, per tornare all’episodio di cui sopra, non bisogna andare a cercare un colpevole. Se in classe c’è un bambino che spaventa tutti con i suoi racconti, diventa chiaro che è semplicemente un modo per “digerire” qualcosa di troppo ingombrante che ha nella mente. Un tentativo di condividerlo con chi non gli dirà di non avere paura, perché è più spaventato di lui. Nella classe in questione è servito spiegare che tutti hanno paura, anche i genitori. E dopo la domanda esterrefatta di una bambina, che con gli occhi sbarrati chiedeva: “Davvero anche papà ha paura?”, il clima sembra essersi rasserenato.

Proviamo quindi a trarre da questa esperienza alcuni suggerimenti e consigli per i genitori:

Alfabetizzazione emotiva: è importante conoscere e riconoscere dentro di sé le emozioni. Tutti proviamo emozioni, perché il nostro corpo è programmato per questo. Prima proviamo le emozioni e poi pensiamo. Spesso infatti, le nostre emozioni guidano il comportamento prima che abbiamo avuto il tempo di riflettere su quale sia la cosa migliore da fare. Pensiamo a chi ha paura dei cani e scappa anche di fronte ad un piccolo cagnolino: la paura ci dice di scappare prima che la ragione ci possa dire che si tratta di cagnolino troppo piccolo per farci male. È fondamentale aiutare i bambini fin da piccoli a riconoscere le proprie emozioni, a dare loro un nome e un significato, oltre che a spiegare che le emozioni ci spingono ad avere alcuni comportamenti invece che altri. Per fare questo con i bambini, possiamo farci aiutare da libri o film sull’argomento. Ad esempio si può vedere insieme il film “Inside Out” in cui le diverse emozioni della protagonista diventano dei personaggi interni alla sua mente, ciascuno con le proprie caratteristiche e, cosa importantissima, ciascuno con la propria funzione. La gioia aiuta a stare bene con se stessi e con gli altri e a ricercare esperienze positive e gratificanti. La rabbia ci aiuta a far capire agli altri cosa ci dà fastidio. La paura ci tiene lontani dal pericolo. La tristezza ci permette di chiedere aiuto agli altri, e così via…

Tenere aperti canali comunicativi: è sempre importante ritornare su questo argomento. A volte si confonde il parlare tanto con i figli con il dialogo vero e autentico. Spesso passiamo tanto tempo a spiegare loro cosa devono fare o come devono farlo, ma non siamo abituati a chiedere come stanno e cosa provano, oppure ad ascoltarli se aprono certi argomenti. Questo naturalmente non avviene per disattenzione o scarso impegno, ma perché noi stessi ci difendiamo dall’imbarazzo di dover stare su argomenti “scottanti” o scomodi. “Mettere in parole” i propri vissuti è il primo passo per organizzare in modo corretto le informazioni nella nostra mente, dando il giusto peso ai vari elementi e aumentando l’autoconsapevolezza. In famiglia si può provare a creare occasioni in cui condividere sentimenti e riflessioni personali, ad esempio guardare dei film insieme e alla fine discutere sui personaggi, sulle storie, sui temi trattati, oppure utilizzare come spunto per il dialogo e il confronto fatti di cronaca o semplicemente le esperienze di persone vicine. Ancora è utile raccontare per creare significati condivisi. Per i ragazzi ascoltare le storie dei genitori, magari relative a quando avevano la loro età e vivevano gli stessi “drammi”, non è soltanto un modo per sentirli più vicini, ma soprattutto un modo per conoscere la propria storia e le proprie radici. Un modo per dare senso e legittimità a ciò che si prova ed, infine, creare uno spazio nella relazione per l’espressione e l’identificazione di vissuti ed emozioni.

Accesso ad internet: infine è importante fare un riferimento al fatto che bambini e ragazzi oggi hanno la possibilità di accedere con enorme facilità, tramite internet, a contenuti di ogni genere e natura. Come abbiamo visto a volte i bambini fanno gli spavaldi per esorcizzare la paura, o non ne parlano con i genitori perché sperimentano senso di colpa o vergogna, ma ciò non significa che non siano turbati. Per questo è di fondamentale importanza che i bambini non vengano lasciati mai da soli davanti a computer, tablet o cellulari, e purtroppo non basta neanche e semplicemente vietare. Serve fermarsi accanto ai figli e chiedere loro: “Cosa stai facendo? Cosa vuol dire questa immagine? Che storia è quella che stai vedendo? Con chi stai chattando?”. Ciò permette di dimostrare interesse, di entrare nel loro mondo e aprirsi la strada per insegnare una corretta gestione di questi strumenti, orientando i figli verso contenuti e abitudini d’uso positive.




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