I Miserabili

È spingendosi oltre la paura che si diventa donne altrimenti si resta femmine

di Michela Giordano

Un produttore cinematografico di Hollywood è accusato di stupro da decine di attrici. Quante di queste, però, avevano accettato il compromesso pur di fare carriera?

Ho esitato a lungo, prima di scrivere. Di solito scelgo l’argomento da trattare e, in un pomeriggio, butto giù la mia riflessione. Stavolta no. Ho tentennato, accennato qualcosa e poi cancellato il file, spaventata dal timore di finire fuori dal “politicamente corretto”, perché è lì, sulla strada poco battuta del “ma guarda questa scema che dice” che, son certa, mi porterà il pezzo di oggi.

Ma tant’è: sono o non sono quella che invoca “via l’ipocrisia”? Allora niente autocensura. Sarò franca: da donna, non mi sento solidale con l’esercito di starlette che, da un paio di settimane a questa parte, invade tutti i mezzi di comunicazione con accuse gravissime nei confronti del più noto produttore cinematografico di Hollywood.

Sia chiaro: non penso che se le siano inventate le molestie. Non ho dubbi sul putridume di quel tipo di uomo, che considero feccia. Il problema è che, pur nella consapevolezza che siano state “oggetto”, fatico a considerarle “vittime”. Quante, tra quelle starlette (non tutte, per carità, ma la maggior parte) sul quel putridume ha costruito, o almeno tentato, di costruire una carriera? Ma come, quello ti ha stuprata e tu, per anni, successivamente, ti ci sei fatta fotografare assieme, avvinghiati come polipi, sorridenti e felici?

“Avevamo paura”, “non dobbiamo giudicare”, mi sento ripetere in continuazione. Eh no, qua non si tratta di giudicare, ma di bandire l’ipocrisia: mi stupri, ti denuncio. Mi fai del male, ti sto lontana, se posso scegliere, possibilmente avvisando del pericolo le giovani donne che potrebbero incontrarti. Non girerò più un film per questo motivo? Pazienza…e, vi prego, non chiamiamo in causa la solidarietà femminile, troppo spesso tirata in ballo come totem ideologico dietro il quale combattere battaglie non sempre migliorative della nostra società. Io sono solidale quando è giusto, non per partito preso. Sarò l’unica, ma mi è capitato spesso, durante il mio corso di studi, ma anche sul lavoro, che delle donne mi siano passate davanti, o abbiano superato colleghi maschi più preparati, per aver fatto ricorso alle sottili armi della seduzione femminile o per aver ceduto alle libidini del “potente” di turno. Che solidarietà avrei dovuto esprimere in quei casi? Io sono dalla parte delle donne, le considero “un passo avanti”, ma non quando alla violenza rispondono con un ricatto “se non mi fai lavorare, ti denuncio”.

Che, poi, a pensarci bene, non è che gli ometti d’oltre Oceano ne escano meglio, dalla vicenda Weistein. Tutti, o quasi sapevano, ma hanno taciuto per il timore di non lavorar più. Siamo a posto! Se mia figlia fosse oggetto di attenzioni morbose, dovrei fare ricorso a tutto il mio autocontrollo per non cedere alla violenza fisica verso l’orco. Mai e poi mai mi passerebbe per la testa di proporgli “sai che c’è, tu falla lavorare, così ce lo teniamo per noi”. Mi dispiace, non ci sto. Il confine tra donna e femmina è sottile, ma sostanziale. Prendiamoci il mondo, ma con merito. Scaliamo le vette più alte, ma con competenza. Quell’individuo ti ha fatto del male? Dammi la mano e, insieme, buttiamolo giù dalla sua torre di ignoranza e violenza dalla quale crede di poter disporre di tutto e tutti. Hai paura? Anche io, quasi sempre, ma è spingendosi oltre la paura che diventiamo donne, altrimenti si resta femmine.




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