Cattiva maestra
intervista a cura di Giovanna Abbagnara
Luca Borgomeo è presidente dell’AIART e del Consiglio Nazionale degli Utenti (CNU). Usa parole forti quando parla di TV e Famiglia, da anni si batte per una qualità migliore dei programmi televisivi.
E’ un dato certo la presenza della TV nelle case degli italiani, ma essa sta assumendo anche un ruolo più strutturale all’interno delle famiglie, tanto da incidere anche sulle stesse relazioni familiari. Lei cosa ne pensa?
Non è esagerato dire che per certi aspetti la TV è nemica della famiglia, nemica nel senso che la sta soppiantando nella sua attività di educazione. Una volta la famiglia era l’elemento centrale del processo formativo di un giovane e si aggiungeva alla famiglia la scuola. Oggi la televisione la fa da padrona e sta diventando nei fatti la prima agenzia educativa e ritengo che molte volte sia, per i tipi di programmi culturali, informativi, di intrattenimento e di spettacolo, veicolo di messaggi negativi. Lo stereotipo di famiglia che guarda la TV, come si diceva una volta davanti al caminetto, ha fatto il suo tempo, nel senso che se è vero che il 98% delle famiglie ha in casa la televisione è anche vero che il 45% delle famiglie ha più di una televisione e il 13% ne ha più di tre. Il che vuol dire che la TV non riunisce ma separa perché a ciascuno permette di scegliere il programma più gradito in camere separate.
Quale modello di famiglia propone oggi la TV?
Dobbiamo distinguere la famiglia davanti alla TV e la famiglia nella TV. La famiglia davanti alla TV oggetto di informazione negativa, di messaggi culturali sbagliati, di informazioni sciatte, di intrattenimenti pericolosi, volgari, insulsi. Ma c’è anche un altro aspetto, che immagine si ha della famiglia attraverso la televisione italiana? Da un lato c’è l’edulcurazione da famiglia del Mulino Bianco, per intenderci, una famiglia con una mamma bella, un padre aitante, giovane e bello, con due bambini belli, uno maschio e una femmina, in una casa tutta pinta, pulita. Questa è l’immagine al positivo della famiglia che però è una visione falsa, che ha poco riscontro nella realtà. Dall’altro la famiglia è rappresentata secondo alcune mode proponendo modelli sbagliati. Ad esempio in questi giorni ho fatto una critica molto dura a proposito di questo nuovo sceneggiato “Un medico in famiglia” con Lino Banfi, che nella storia proposta prevede l’affetto e la vita in comune di due gay. Questo è molto grave. Premiarli portandoli in TV significa dare l’indicazione di un modello preciso che scalfisce il concetto di famiglia.
In un convegno sui media il Cardinale Tettamanzi ha affermato che la famiglia deve passare da utente a soggetto protagonista scegliendo i programmi, in che modo la sua associazione, l’AIART promuove questo?
Il punto di partenza del nostro lavoro è la crescita della consapevolezza che la TV può far male. Se non c’è questa consapevolezza è difficile adottare misure che servono ad attenuare i danni che l’esposizione eccessiva, acritica e da teledipendenza, la TV può determinare. Quindi il primo punto della nostra azione è che la TV non è in sé buona o cattiva, la TV è uno strumento, ed è l’uso che se ne fa che la rende uno strumento buono o cattivo. Quindi nessuna demonizzazione della TV, né un’attenuazione della valenza delle grandi potenzialità, è una straordinaria risorsa. E’ sicuramente l’uso che se ne fa che ci induce a dire “attenzione la famiglia deve essere un filtro”, perché una persona che ha un certo grado di scolarità, che ha una certa età, che ha una certa esperienza di vita, è in condizione di captare un messaggio, di interpretarlo, di ascoltarlo con atteggiamento critico, ma una persona che non ha studiato, che è giovane, che non ha esperienza, ha necessità diverse e in questo lavoro deve essere aiutato da chi ha maggiore esperienza
Questo è molto difficile da verificare, le statistiche dimostrano che i minori vengono lasciati soli davanti alla TV.
La famiglia è poco attenta a verificare i programmi che i piccoli seguono. Manca questa mediazione. Prima le favole che si raccontavano ai bambini erano sempre piene di drammi, come il lupo che mangiava Cappuccetto Rosso, ma era la mamma o la nonna che leggeva e che immediatamente appena scorgevano negli occhi del bambino la paura per Cappuccetto che era stata mangiata dal lupo subito dicevano che il cacciatore veniva a salvarla. C’era dunque questa azione di “recupero” e una vera e propria operazione pedagogica. Quando questo non c’è, cosa che accade spesso, il bambino è esposto ai messaggi molte volte negativi, a violenze ripetute, a spettacoli drammatici. Un bambino dovrebbe essere educato sempre ai valori del bello, del giusto e del vero e, invece, un bambino davanti alla TV è esposto a quello che noi chiamiamo il sensazionalismo.
Il sensazionalismo secondo gli esperti fa crescere l’audience e quindi le entrate. In questo modo l’utente è visto solo come il consumatore?
Come Consiglio Nazionale degli Utenti siamo molto preoccupati per questo perché se il motore che fa girare quest’ingranaggio risponde solo a logiche di massimizzazione del profitto è difficile pensare che possa farsi strada l’idea che la TV può avere una funzione sociale. La televisione educa al successo, alla bellezza, al sesso, alla violenza, al farsi strada a danno degli altri, al non accettare il diverso, al non accettare la disuguaglianza, a considerare il povero stupido, e potrei continuare. E questi sono disvalori che sono antitetici rispetto ad una scala consolidata di valori.
Tutte queste cose messe insieme impongono la necessità che un genitore stia vicino al bambino, ma se un genitore non ha possibilità per il lavoro o per mille ragioni di vigilare?
I genitori devono prima di tutto acquisire la consapevolezza che il bambino davanti alla TV da solo può farsi male. Io dico sempre, anche in un modo un po’ esasperato alle mamme: “voi mamme siete molte volte incomiabili per l’attenzione che prestate alla maestra dei vostri bambini e poi andate a scuola e volete sapere dove si siede il bambino, come sono i banchetti e, poi volete vedere i servizi perché il bambino è il patrimonio d’affetto che voi affidate alla scuola, perché questa stessa attenzione non la riversate mettendo il bambino davanti alla TV?”. Molti cartoni animati oggi sono pericolosi perché è scientificamente dimostrato che aumentano l’aggressività del bambino. Per esempio quando ho visto l’ultimo dato relativo a quel videogioco che oggi va per la maggiore, nel quale il bambino ruba un’automobile e fa più punti quanti più pedoni investe. È evidente che è solo un gioco, però il bambino si educa a non considerare il pedone una persona.
Lei con la sua associazione sta portando avanti una campagna contro la violenza in TV?
Stiamo raccogliendo firme contro la violenza in TV e siamo già a 150.000. Bisogna prendere atto della realtà, anche il telegiornale per un bambino di tre-quattro anni è molto negativo, perché il giornalista non si rende conto che quel servizio va in onda in un’ora nella quale il bambino è certamente a tavola, davanti alla TV o in giro per casa. Perché insistere con le macchie di sangue? Perché non si pensa che davanti al video c’è un bambino che di fronte ad immagini così forti può avere un trauma? Per non parlare poi delle imitazioni, come nel caso in cui hanno trovato quei ragazzi che firmavano scene di sesso, la prima cosa che hanno risposto è stato “lo abbiamo visto in TV”, e quindi non è che diventa un incentivo, un’istigazione a delinquere, sarebbe eccessivo, però diventa un modello.
Secondo lei dal 90, dall’emanazione del Codice TV e Minori sono stati fatti passi in avanti, o non c’è stato nessun segnale positivo?
Dobbiamo fare una considerazione più oggettiva e dire che questo Codice TV e minori è stato immesso ormai da quindici anni ma oggi la situazione rispetto a quindici anni fa è migliorata oppure è peggiorata? Beh, la situazione è notevolmente peggiorata, forse se non ci fosse stato il codice sarebbe stato ancora peggio, forse si, ma noi riscontriamo i limiti di quest’attività che pur se meritoria, non è riuscita a costringere le emittenti come Rai e Mediaset a cambiare rotta. Perché il Codice TV e minori è finanziato da loro, sono loro che pagano. In questo codice cinque dei quindici rappresentanti sono di queste due aziende, cinque degli utenti e cinque del ministero, quindi sono loro a fare il gioco.
Siete contrari allora a forme di autoregolamentazione?
Noi siamo contrari a forme di autoregolamentazione ma non per un fatto ideologico, ma perchè i fatti ci dicono che la sperimentazione non ha prodotto risultati positivi perché non esiste al mondo che un’emittente condanni se stessa. Noi riteniamo che i codici possano essere utili, ma ci devono essere sanzioni dure per chi viola le regole. Ci sono i codici? Che diventino legge dello Stato e che le sanzioni siano vere e dure. Quando ad un’emittente che manda in onda un film vietato ai minori di 12 anni alle 10 di sera, gli si fa € 512 di multa, l’emittente sa benissimo che con quel film attira qualche telespettatore in più, quindi manda in onda qualche pubblicità in più e le entrate aumentano. Se, invece di € 512 la multa aumenta a € 50.000 e poi magari si oscura il video e si scrive il motivo della sospensione mettendo la legge che è stata violata, una strada si apre.
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