I conti che non tornano

di Peppe Iannicelli

Arrivare alla fine del mese ormai è una delle imprese che coinvolge la maggior parte degli italiani. Anche la cosidetta “classe media” si trova a dover fare bene i conti per sbarcare il lunario.

E’ tempo di bilanci nelle case ed in Parlamento. La fine dell’anno induce a tirare le somme personali e familiari. A Capodanno, stappando lo spumante, eravamo stati prodighi di buoni proponimenti: perdere qualche chilo, dedicare più tempo ai familiari ed agli amici, smettere di fumare, praticare più sistematicamente uno sport, leggere quei libri da tempo impolverati sul comodino. Cosa saremo riusciti a concretizzare di tante promesse e proponimenti sarà il nostro esame di coscienza a farcelo scoprire.

E’ tempo di bilanci anche per lo Stato e la collettività. La cronache quotidiane narrano di litigi tra ministri, manifestazioni di piazza, tasse annunciate, minacciate, aumentate, diminuite in una sarabanda di cifre sempre più inestricabili. Saranno i prossimi mesi a darci il verdetto sull’efficacia della Finanziaria per il rientro nei parametri europei, il risanamento della finanza pubblica, la ripresa dell’economia e dell’occupazione. Il nuovo Governo è chiamato a risanare una gestione disastrosa dei conti pubblici nel quinquennio precedente. Ma il percorso d’uscita dalla crisi suscita più di una perplessità.

I bilanci familiari e statali s’intersecano in maniera complessa. Lo stato di salute dello Stato condiziona la vita degli individui, delle famiglie e delle aziende. Il momento è difficile. Siamo consapevoli di dover affrontare dei sacrifici ed il pessimismo c’incupisce.

Un indicatore è particolarmente allarmante: nell’ultima settimana del mese diminuiscono, anche del 20%, le spese alimentari. In quei giorni si comprano meno pane e meno latte cercando di arrivare alla fine del mese. Storie di ordinaria e dignitosa sopravvivenza sospese sul filo del rasoio; la lavatrice da cambiare, un paio di scarpe sfondate, la marmitta dell’auto da riparare. Basta un minimo intoppo per sprofondare nella miseria e nella disperazione.

Questo è il Paese reale, quello che lavora con onestà cercando di vivere serenamente. Un Paese nascosto, inascoltato, sconosciuto ai protagonisti della vita pubblica nazionale che si rincorrono nei salotti televisivi a suon di spot e manfrine. I motivi per arrabbiarsi sono tanti, ma quel che più m’indigna è l’assoluta separazione tra il Paese reale e  coloro che il Paese sono chiamati a guidare. Faccio un esempio scegliendo una famiglia monoreddito composta da quattro persone: papà, mamma, un ragazzo universitario ed una ragazzina alle scuole medie. Risiedono in una città media, vivono in un appartamento di ottanta metri quadrati in zona semiperiferica. Il reddito familiare complessivo lordo annuale di questa famiglia ammonta a 40 mila euro.

Scelgo questa cifra poiché numerosi esponenti del Governo ritengono che con una simile cifra a disposizione, nella dichiarazione dei redditi, questa famiglia sia “ricca” e possa esser di conseguenza considerata tale ai fini della tassazione.

A prima vista i quasi 80 milioni del vecchio conio  sembrano una somma di tutto rispetto, ma basta cominciare a studiare le cifre nel dettaglio per accorgersi che non è proprio così. In primo luogo bisogna considerare il reddito disponibile, la metà rispetto all’ammontare lordo comprensivo delle trattenute e delle ritenute eseguite sul lavoro autonomo e dipendente. Siamo già scesi a 20 mila euro annui che divisi per dodici ci portano ad una disponibilità mensile di 1660 euro. A questo patrimonio mensile vanno subito tolti i fondi necessari per l’affitto (o il mutuo) e le spese generali (condominio, acqua, luce, gas, telefono prodotti per la pulizia). Nell’esempio descritto ci vogliono non meno di 800 euro al mese. Ne restano 860 ( duecento e poco più a settimana ) con i quali questa famiglia deve mangiare, comprare scarpe e vestiti, pagare i libri e le tasse scolastiche-universitarie, viaggiare (non verso mete esotiche ma verso i luoghi di lavoro o di studio), pagare la benzina e l’assicurazione di una modesta utilitaria. Di certo questa famiglia non potrà permettersi “lussi” come il cinema, i dvd ed i cd originali, palestre e viaggi, cene in pizzeria o al ristorante, vacanze. E costoro possono esser considerati “ricchi”? E costoro debbono pagare ancora di più?

Questa stima governativa chiarisce quanto sia ampio il fossato che divide la classe media del Paese dalla classe dirigente nazionale abituata a vivere in una bolla protetta con pensioni garantite, super compensi, affitti di lussuose magioni ad equo canone nel cuore dei quartieri residenziali più alla moda. Ed è proprio questa separatezza che inquieta il futuro delle famiglie italiane. Quali prospettive per le giovani coppie di fidanzati desiderosi di metter su casa e famiglia ? Quali servizi per l’infanzia e la donna che lavora? Quali garanzie per il diritto allo studio ed alla crescita culturale? Quali azioni per un riequilibrio fiscale che combatte l’evasione e stabilisca prelievi più coerenti con la realtà? Quali programmi strutturali ed infrastrutturali su energia, trasporti, ricerca che assicurino il futuro economico della nazione ed opportunità imprenditoriali ed occupazionali per i giovani? La Finanziaria lascia in sospeso questo domande ed aumenta il populismo demagogico di coloro che il Paese hanno contribuito ad indebitare.




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