Diventare madre

Concediamoci il tempo per diventare madri!

di Giovanna Pauciulo

Come la Vergine Maria, come santa Gianna anche noi siamo capaci di un amore assoluto e pieno che non conosce limiti. È necessario però imparare a fare scelte che comportano anche delle rinunce e che trovano la loro gratificazione nell’amore gratuito e nel dono di sé.

Ricordo come se fosse ieri la mia reazione alla prima gravidanza. Non volevo rinunciare a nulla. Superata la gravidanza, immediatamente dopo la nascita della mia bambina, volevo tornare subito al lavoro. Volevo riprendere gli impegni, la routine quotidiana come se la gravidanza e la nascita di mia figlia, fossero state solo una parentesi. Che illusione! Un figlio è una presenza che ti cambia la vita. È meglio non illudersi: la maternità è una responsabilità. Dal momento in cui c’è un figlio, generato nella carne o accolto dalla Provvidenza, la madre non vive più per se stessa. È un esodo che la donna deve compiere, uscire da se stessa per donarsi al bambino e talvolta non bastano nove mesi di attesa per generare una madre.

Il dono totale e gratuito di sé trova in santa Gianna Berretta Molla un’icona e un esempio. Lei, una donna tra tante altre, che non ha esitato ad offrire la propria vita per accogliere quella della creatura che portava in grembo. Che ha saputo sfidare la malattia pur di mettere al mondo la sua bambina. Una madre coraggio, come ce ne sono tante di cui forse non sentiremo mai parlare dai media.

L’amore di una madre non si arrende, non conosce delusione, è sempre pronto a ricominciare, ad offrirsi per generare ancora vita: questo fa di una donna, una madre. Anche sul letto di morte, dopo una vita consumata nel sacrificio e nel nascondimento, la madre continua a donare la vita.

Se c’è un’esperienza in cui ogni madre si riconosce è quella della sofferenza. Soffrire per e con i figli. Quando una madre vede che il figlio soffre, sente ciò che egli prova. Vive nella sua carne quel dolore. La madre di Gesù ce lo insegna. Ai piedi della croce la Vergine Maria accetta di vivere la stessa sofferenza del Figlio. Sanguina come il Figlio, tutte le ferite di Gesù sono le sue ferite, tutti gli aculei della corona di spine di Gesù trafiggono la sua testa, la straziano. Maria è arsa dall’amarezza dell’aceto che offrono a Gesù. La Vergine Madre compatisce, nel senso che prende parte alla passione del Figlio. Non soffre per il Figlio, soffre con il Figlio.

Forse nemmeno lei avrebbe mai voluto quella sofferenza, né per il Figlio né per se stessa, ma l’ha accettata ed è rimasta coraggiosamente in piedi davanti alla croce. Non è un passaggio facile e nemmeno scontato: quante madri piuttosto che compatire preferiscono sopprimere la vita che portano in grembo. Quante donne non trovano il coraggio di restare ai piedi del croce, di prendere parte alla passione del proprio figlio e preferiscono rinunciare, fuggire, difendersi.

È un meccanismo umanamente comprensibile. Dipendesse da noi eviteremmo ogni forma di sofferenza ai nostri figli, e quando essa si manifesta ci ribelliamo. Talvolta è così ostinato il rifiuto del dolore o della malattia, che una madre può arrivare a sopprimere la vita del figlio. Cosa succede però dopo? Quella disabilità che abbiamo cercato di fuggire, si avventa su di noi e ci rende deboli, insicure, depresse, addolorate.

È difficile sondare il mistero della maternità. Nella donazione gratuita di una madre al proprio figlio, c’è quella che definirei, la sintesi dell’amore di Dio per l’uomo. Un legame sottile, ma estremamente forte che genera le vita e la rigenera fino alla morte. Un amore capace di accettare tutto il bene o il male che ne deriva. È un legame che non si spezza, non si sostituisce, non si compra e non si può nemmeno spiegare. Un legame che richiede il coraggio di viverlo fino in fondo, costi quel che costi, senza ma e senza se.

Care amiche, concediamoci dunque il tempo per diventare madri! Lasciamoci generare e plasmare dall’amore per i nostri figli. Ricominciamo ad interpellare la nostra femminilità, che è naturalmente disposta alla maternità. Anche noi, come la Vergine Maria, come santa Gianna siamo capaci di un amore assoluto e pieno che non conosce limiti. È necessario però imparare a rivalutare la maternità alla luce del sacrificio, della dedizione assoluta, che non significa negazione di sé o annichilimento quanto piuttosto valorizzazione e compimento della propria femminilità. Fare scelte che comportano anche delle rinunce e che trovano la loro gratificazione nell’amore gratuito, nel dono di sé, è caparra di eternità.




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