Verso una parrocchia dal volto missionario

di Marco Ragaini

Una comunità parrocchiale può scoprirsi profondamente missionaria. Ascoltare e accogliere chi ci sta accanto è sicuramente il primo passo da fare, ma ognuno su questa strada può scoprire una propria e particolare vocazione missionaria.

Questo articolo si propone di fornire alcune suggestioni su quale possa essere oggi il volto missionario di una parrocchia; esse nascono soprattutto dalla riflessione sull’esperienza e dal confronto con diversi agenti pastorali, laici, religiosi e preti. Se è vero, infatti, che documenti autorevoli dell’episcopato richiamano all’importanza di una nuova evangelizzazione e alla dimensione missionaria della stessa parrocchia, è necessario forse proporre alcune piste che consentano di tradurre in azioni pastorali queste indicazioni.

Queste note non hanno la pretesa di essere esaustive, ma semmai di aprire un dibattito e un confronto, poiché – è bene dirlo subito – non esiste una “ricetta” che renda missionaria una parrocchia!

La parrocchia è missione

Una prima considerazione mi pare necessaria. Se ci fermiamo a riflettere sul volto missionario della parrocchia, non è per dire che oggi essa è divenuta opaca, insignificante, ripiegata su se stessa. La parrocchia è già missione, poiché incarna quella dimensione di prossimità, di attenzione alle persone, di “bassa soglia” che consente a tutti di entrare in contatto con la Chiesa e con il Vangelo. Molti cammini della vita delle persone passano attraverso la parrocchia. Semmai, allora, il primo passo è riscoprire e valorizzare tutto il bene che già esiste.

Occorre compiere però un cambiamento di prospettiva. Se domandassimo “chi è la parrocchia?” forse molti risponderebbero enumerando strutture e attività. E molte di queste risultano, in effetti, stanche e inadeguate. Ma se chiedessimo di elencare i modi in cui i cristiani che abitano il territorio sono capaci di testimoniare e di annunciare il Vangelo attraverso la loro vita, scopriremmo un tesoro nascosto fatto di persone che con generosità, coraggio, fedeltà… rivelano al prossimo il volto di Cristo. Troveremmo una rete di legami e solidarietà di grande valore. Probabilmente molti di questi anonimi apostoli non hanno coscienza di agire per conto della comunità cristiana e non si sentono valorizzati e riconosciuti in questa loro attività silenziosa. Occorre in questo senso recuperarne la valenza ecclesiale. Ma questa è la parrocchia; o almeno, anche questa: tutto ciò che di significativo i cristiani fanno in nome del Vangelo in un determinato territorio.

La parrocchia fuori dalla parrocchia

Quanto detto permette già di intuire che, per parlare del volto missionario della parrocchia, occorre porci il problema dei suoi confini. Non quelli giuridici, naturalmente, ma quelli mentali. Siamo forse ancora troppo legati all’idea di parrocchia come “attività che si svolgono nelle sue mura”. Se invece, come abbiamo visto, la parrocchia è anche la vita dei cristiani nei loro ambiti, occorre spostare il confine (mentale) della nostra riflessione a quanto succede fuori dalla parrocchia. È questo il nostro ambito di interesse.

Potremmo pensare alla parabola della pecora smarrita e delle 99 rimaste, se non fosse che oggi la proporzione si è (quasi) ribaltata! Credo che questa dovrebbe essere la prima preoccupazione di una parrocchia: conoscere la sua gente, ascoltarla in profondità, visitarla, sostenerla. Accoglierla, certo, ma anche farsi accogliere. Se una volta bastava convocare, oggi occorre andare e incontrare. Abbiamo bisogno di riscoprire il vissuto delle persone, le loro storie, gioie e preoccupazioni. Di farci interrogare, prima di proporre incontri, attività, riunioni…

Molti possono essere i modi per esercitare questo ascolto: le visite del parroco in occasione delle benedizioni, ma anche delle catechiste alle famiglie dei loro ragazzi, di coppie in occasione del battesimo dei bambini. Occorre però che via sia un luogo in cui queste voci trovino poi ascolto e rielaborazione. Ma di questo parleremo in conclusione a proposito del consiglio pastorale.

Convocati per essere inviati

Fondamentale, in una parrocchia che si vuole missionaria, è quale coscienza della comunità hanno le persone che vi partecipano più assiduamente, la cosiddetta “comunità eucaristica”. Ci può infatti essere il rischio che la comunità più ristretta veda se stessa come la vera “proprietaria” della parrocchia, quasi un circolo privato. Spesso inoltre, vista la ristrettezza di forze attive, questo (piccolo) gruppo può cadere nel rischio del lamento e del giudizio verso chi frequenta la comunità solo saltuariamente.

Se, invece, la comunità cristiana si concepisce come un gruppo convocato dal Signore in vista del Regno di Dio, convocato, cioè, per essere inviato, la prospettiva cambia radicalmente. L’accento non è più messo sull’intra, ma sull’extra; non sulle preoccupazioni “di campanile” ma su quelle legate alla vita delle persone; non sulla Chiesa, ma sul Regno di Dio. È precisamente questo, il Regno, l’orizzonte che deve guidare una comunità: cogliere, accudire, rilanciare, sostenere i segni della presenza del Regno, che già sono presenti nel territorio e nella gente che lo abita. Questa apertura, poi, potrà dilatarsi fino ai confini del mondo, includendo una preoccupazione missionaria ad extra che ne amplierà gli orizzonti. La missione ad gentes, allora, non sarà più un settore della pastorale, magari dedicato soprattutto al sostegno materiale di questo o quel missionario, ma prospettiva che anima in modo trasversale tutta la vita della comunità.

Una comunità di questo tipo sarà più libera dalle preoccupazioni del potere e dalle diatribe interne, testimonierà una vita cristiana più gioiosa e liberante, capace di essere attraente per molti.

Una comunità tutta ministeriale

A questo punto non stupirà l’affermazione che il centro della comunità non è… il parroco, ma Gesù Cristo che raduna e invia. Ognuno, qualunque sia il suo stato di vita e la sua condizione è inviato e chiamato e, più ancora, può compiere un servizio in vista del Regno che viene. I ministeri o servizi, però, non sono solo quelli più noti, spesso legati alla gestione della parrocchia: catechisti, lettori, cantori… Essi riguardano tutta la vita della comunità e dei suoi membri. Ci potrebbero essere così persone incaricate di visitare le famiglie del quartiere, di accompagnare le giovani coppie o i giovani lavoratori. Spingendoci un poco oltre, immaginiamo, per esempio,  una persona che assiste un parente malato in casa; egli è per questa persona non solo un conforto ma il volto amabile della Chiesa. Non un fatto privato, ma un vero servizio ecclesiale. E lo stesso si dovrebbe dire di quei cristiani che si impegnano secondo il Vangelo nella scuola, nel sindacato, in politica…

Una piccola annotazione riguardo al ruolo del parroco. In una comunità tutta ministeriale, il parroco non resta… disoccupato! Se molte persone fanno molte cose, il suo ruolo è ugualmente fondamentale. Egli non sarà, però, per così dire, “la sintesi di tutti i carismi”, cioè colui che bene o male può fare un po’ di tutto, ma “il carisma della sintesi”. Al parroco sarà richiesto di svolgere un servizio di comunione per condurre le persone a Cristo e per farle essere vera comunità. Dovrà stimolare, suscitare e riconoscere carismi; formare, sostenere e promuovere miniseri.

I ministeri laicali, il più possibile decentrati e delegati a persone competenti e preparate, cambiano anche il volto di una comunità. Un laico che si trova a presentare un sacramento ai genitori del catechismo, per esempio, sarà forse capace di trovare parole ed espressioni più vicine alla sensibilità di quegli adulti in tutto simili a lui. Inoltre, per dei genitori, vedere un loro coetaneo, padre o madre di famiglia, che si assume un impegno non di semplice supporto ma di responsabilità, è certamente una testimonianza che non lo lascerà indifferente.

Un punto di partenza: il consiglio pastorale parrocchiale

Mi permetto, in conclusione, di lanciare una piccola proposta, perché talora, anche se animati dalle migliori intenzioni, è difficile trovare il bandolo della matassa, il punto di partenza per far crescere la comunità.

Il “motore” del cambiamento sopra accennato dovrebbe essere, a mio avviso, il consiglio pastorale parrocchiale, una comunità nella comunità (o, meglio per la comunità), capace di relazioni fraterne, di stima reciproca e soprattutto di discernimento. Per questo è importante che il consiglio divenga un luogo di reale confronto sulla vita della comunità alla luce della Parola. Potrebbe prendere in esame i luoghi, i contesti e le situazioni che la comunità incontra (p. es. il quartiere, la scuola, i migranti stranieri, i giovani, gli anziani, le coppie in difficoltà… l’elenco è infinito!) e analizzare queste situazioni, “leggendole” poi alla luce della Parola per tradurle in scelte pastorali. Un tale metodo presenta alcuni vantaggi: rende protagoniste le persone, poiché è necessario il contributo di tutti; aiuta a conoscere la realtà; permette di non chiudersi in problematiche interne e sterili, apre cioè gli orizzonti della riflessione; restituisce la Bibbia al popolo di Dio, che si trova materialmente a leggerla, a cercare i brani più illuminanti.

Si tratta solo di un primo passo, capace però di far crescere e maturare la comunità cristiana affinché in tutti di consolidi la coscienza di essere missionari.

mragaini@emi.it




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