aborto
Intervista esclusiva a Gianna Jessen, sopravvissuta ad un aborto salino
di Ida Giangrande
A colloquio con Gianna Jessen, la voce del bambino abortito: “Se l’aborto era esclusivamente un diritto di mia madre, dov’era il mio diritto quel giorno? Lo so che ai benpensanti non piace parlare di Gesù Cristo, ma io sono viva grazie a Lui e se non fosse così non avrei nulla da raccontare”.
Avevo raccontato la sua storia talmente tante volte che mi sembrava di conoscerla da sempre, ma quando sono entrata in quel camerino, e l’ho trovata seduta su una sedia con quel sorriso dolcissimo sulle labbra e l’aria di chi ti sta aspettando anche senza conoscerti, ho capito che forse ne avevo parlato troppo poco. Perché Gianna Jessen è un miracolo, la possibilità di ascoltare la voce del bambino abortito.
La mia mente ripercorre all’infinito ogni istante di quella serata e mi permette di rivivere ogni cosa: fuori ci sono centinaia di persone ad aspettarla. La sala del cinema Duel di Caserta che ospita la conferenza, è piena, sono evangelici e cattolici, uniti al di là di ogni divergenza, nel segno della vita. Per il momento però Gianna è solo per me e io sono pronta ad assorbire ogni istante di quell’incontro. Mi piego sulle ginocchia accanto a lei e mentre il traduttore le spiega chi sono e cosa voglio da lei, io le consegno Ti ho visto nel buio il libro che ho scritto e in cui oltre alle storie di tante donne che hanno coraggiosamente accolto la vita, racconto anche la sua di storia. Mi ringrazia e non c’è bisogno della traduzione, ascolto i suoi occhi prima della sua voce.
Non ricordo più cosa devo domandarle. Ho solo pochi minuti prima che mi chiedano di lasciarla. Uno sguardo veloce al mio taccuino e inizio: “Cosa direbbe alle donne che domani andranno ad abortire?”. Non ci pensa su che pochi secondi e dice: “Le inviterei a venire a casa mia”. Non mi basta, lei lo sa e continua: “Chi programma un aborto spesso è spinto dalla disperazione. Io vorrei dire che non esiste disperazione che non può essere spenta e non ci sono ferite che non possono essere medicate. Perciò le inviterei a venire da me, per medicare le loro ferite e per parlare al loro cuore di madre”. “Cosa sentirebbe di dire alle donne che vivono l’aborto come una conquista sociale?”. “È una bugia! – risponde a bruciapelo – la mia vita ne è una dimostrazione. L’aborto non è una questione che riguarda solo la madre, la donna, ma anche e soprattutto il bambino. È della sua vita che stiamo parlando. Dopo 16 giorni si sente già il battito del suo cuore. È un’altra persona, ha i suoi diritti e vanno rispettati come quelli di qualsiasi altro individuo. Quante volte ripenso al giorno della mia nascita e spesso mi chiedo: se l’aborto era esclusivamente un diritto di mia madre, dov’era il mio diritto?”. Dovrei fare qualche altra domanda, ma non parlo, perché ascoltarla è disarmante. La semplicità con cui si esprime mi disorienta. Provo a mettermi nei suoi panni e non riesco a spiegarmi la lucida ragionevolezza con cui affronta il dolore più grande che una persona può subire: la consapevolezza di essere stata abortita dalla propria madre.
“Ha ragione quando dice che l’aborto è spesso vissuto come una conquista sociale – aggiunge – la ragione è che alle donne viene spesso nascosto quello che vivranno dopo, a cose fatte, quando si accorgeranno di non poter più tornare indietro. Ho conosciuto donne che hanno tentato il suicidio perché solo dopo, hanno realizzato di aver ucciso il proprio figlio. La televisione non lo dice, i titoli dei giornali non ne parlano, il post aborto non è un argomento da talk show. Nonostante questo, a quelle che lo hanno fatto dico di non lasciarsi abbattere dalla disperazione. Ogni peccato può essere consegnato a Gesù e Lui saprà distruggerlo”.
“E a chi non crede? Come giustificherebbe la sua vita agli occhi di chi non crede in Dio?” domando, rispondendo di pancia ad un impulso del cuore. Lei sorride ancora, si umetta le labbra e subito dopo riprende: “Io racconto semplicemente la mia vita. Sono nata in seguito a un aborto per soluzione salina. Forse chi non sa che cosa significa non può capire. Una soluzione di sale viene iniettata nell’utero della madre, il bambino la ingerisce e viene bruciato dall’interno, fino a morire asfissiato. Ma io sono nata viva e sono sopravvissuta solo perché il medico incaricato di soffocarmi, non era ancora in servizio. Lo so che ai benpensanti non piace parlare di Gesù Cristo, ma io sono viva grazie a Lui e se non fosse così non avrei nulla da raccontare. Dio è contrario all’aborto e con il tempo ho capito che mi ha incaricato di dirlo al mondo, anche se questo volesse dire viaggiare in lungo e in largo su due gambe che non mi reggono più. È la strada che mi condurrà in Paradiso ed io ci arriverò, anche gattonando, ci arriverò”. Fuori dalla porta l’atmosfera si scalda, la musica del coro gospel ci raggiunge e mi ricorda che tra pochi minuti verranno a dirmi di uscire. Così azzardo un’ultima domanda: “Maternità surrogata o gestazione per altri, una pratica aberrante che commercializza sia la madre che il bambino, cosa può dirci in merito?”. Stringe le labbra, strizza gli occhi, scuote la testa, so che sta cercando le parole giuste e attendo pazientemente che le trovi. Dopo qualche istante mi guarda negli occhi e dice: “Avrei voluto tanti figli anch’io. So cosa si prova a desiderare di avere un figlio. Posso comprendere umanamente cosa prova una donna o una coppia che non può generare la vita. Ma Dio è Dio. La vita gli appartiene e noi non abbiamo l’autorità e nemmeno il diritto di interferire”. È arrivato il momento, qualcuno apre la porta, il traduttore mi chiede di lasciarla, ma io e lei ci osserviamo ancora per qualche istante, è un dialogo silenzioso che dà risposta a tutte le altre domande che avrei voluto farle e che non sono riuscita ad esprimerle. La vedo mentre sale sul palco, appoggiata alle braccia dei due organizzatori della serata: si sforza di mettere un piede dietro l’altro, barcolla, fa difficoltà. Per un attimo mi sembra di vedere in lei la caducità di un bambino appena nato, conservata intatta nelle menomazioni provocate dalla soluzione salina che doveva ucciderla. Alzo gli occhi al cielo e sospiro di gioia, ringraziando per il mio lavoro, perché mi permette di toccare con mano la grandezza di un Dio che non si è ancora stancato di noi e che continua a mostrarci la sua forza attraverso le debolezze dell’uomo.
Ti ho visto nel buio
Editore: Editrice Punto Famiglia
Autore: Ida Giangrande
Pagine: 100
Collana: Voci e volti
Per info clicca sul link che segue: http://www.famiglia.store/prodotto/ti-ho-visto-nel-buio/
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2 risposte su “Intervista esclusiva a Gianna Jessen, sopravvissuta ad un aborto salino”
«L’aborto non è una questione che riguarda solo la madre […], ma anche e soprattutto il bambino. È della sua vita che stiamo parlando. Dopo 16 giorni si sente già il battito del suo cuore. È un’altra persona, ha i suoi diritti e vanno rispettati come quelli di qualsiasi altro individuo. […] Se l’aborto era esclusivamente un diritto di mia madre, dov’era il mio diritto?». Queste sono solo alcune delle meravigliose parole espresse da Gianna Jessen, una donna sopravvissuta ad un aborto salino, oggi in grado di sostenere chiunque voglia mettere in atto un’azione terribile come l’aborto, così da far comprendere quanto tale scelta, nonostante la propria disperazione, sia errata e quanto sia, invece, necessario capire quanto la vita che ogni donna porta in grembo sia speciale e quanto quel piccolo cuoricino che batte meriti di vivere. La sua storia è raccontata in un libro intitolato “Ti ho visto nel buio”, di Ida Giangrande, un libro che raccoglie tante storie meravigliose come quella di Gianna. Deve essere stato davvero emozionante poter conversare con una donna come lei, fiduciosa in Dio, fedele a Lui, sincera, amante della vita, in grado di comprendere i diritti di tutti, compresi quelli dei bambini in attesa della nascita, e di sostenere qualsiasi donna in difficoltà, così da permettere a chi le chiede aiuto di superare paure e disperazione, per lasciare spazio a fede, speranza ed amore per la vita; lo stesso amore che lei avrebbe voluto tanto trasmettere ad un figlio, ma ha accettato questa assenza, comprendendo come la sua impossibilità di generare vita sia una scelta di Dio, di fronte alla quale noi esseri umani non possiamo fare nulla, poiché «la vita gli appartiene e noi non abbiamo l’autorità e nemmeno il diritto di interferire». In parole più semplici, proprio perché lei è l’essenza della semplicità in tutti i suoi concetti ed in tutte le sue parole, quando si osserva e si ascolta una donna come lei, è possibile osservare un vero e proprio miracolo ed ascoltare una voce che altrimenti non avrebbe possibilità di esprimersi: quella dei bambini che hanno perso la vita a causa dell’aborto. Probabilmente la sua semplicità ed il suo “potere” di esprimere tali voci derivano da una triste ma, allo stesso tempo, rafforzante consapevolezza: quella di essere stata abortita dalla propria madre. Proprio da questa certezza nasce il suo desiderio di ringraziare Dio per la sua nascita, poiché è grazie a Lui se ora lei ha la possibilità di vivere, e quello di diffondere nel mondo il suo pensiero, dato che ora sente di dover compiere questa missione, nonostante le gambe non la sostengano più. Ida Giangrande racconta quanto sia speciale ed ispiratrice già la sua sola presenza, che, in aggiunta alle sue parole, permette di migliorare le persone che la circondano, tanto da scrivere di lei nel suo articolo: «La vedo mentre sale sul palco, appoggiata alle braccia dei due organizzatori […]: si sforza di mettere un piede dietro l’altro, barcolla, fa difficoltà. Per un attimo mi sembra di vedere in lei la caducità di un bambino appena nato, conservata intatta nelle menomazioni provocate dalla soluzione salina che doveva ucciderla. Alzo gli occhi al cielo e sospiro di gioia, ringraziando per il mio lavoro, perché mi permette di toccare con mano la grandezza di un Dio che […] continua a mostrarci la sua forza attraverso le debolezze dell’uomo».
L’ aborto impedisce la nascita dei bambini ma incrementa la nascita degli assassini perchè non si può abortire senza diventare assassini, la legge italiana dice di no mentre quelli che credono come me dicono di si.