Il prete che ascolta ’A voce d’ ‘è creature

di Giovanna Abbagnara

La cronaca riporta spesso notizie su don Luigi Merola, disegnato come il prete anti-camorra. Una definizione che non piace al presbitero napoletano. Da anni lavora accanto ai bambini e alle loro famiglie. Da Forcella, il quartiere dove è partito il suo impegno, ripercorriamo insieme a lui una storia fatta di risposte, di sorrisi e di accoglienza verso i bambini e di sostegno alle loro famiglie.

È un caldo pomeriggio di ottobre quando mi reco a Pompei presso una delle sedi della Fondazione “’A voce d’ ‘è creature”. E in effetti appena arrivo, accompagnata da Marianna, la responsabile della sede, la prima cosa che mi raggiunge, già dalle scale di un modesto edificio posto tra uno dei quartieri più difficili, al confine tra Pompei e Castellammare, è proprio la voce dei bambini. Sono arrivati da poco, accompagnati da Mauro, uno dei collaboratori, nell’appartamento dove tre volte la settimana i volontari li accolgono per vivere insieme ore di studio ma anche laboratori di teatro o di musica o semplicemente dove trovano un computer per navigare in Internet. I volontari sono mamme, ragazze, giovani armati di pazienza e con un grande sorriso. Mentre aspetto di poter incontrare don Luigi, di ritorno da Roma, non posso fare a meno di notare Luigi. Ha otto anni, sta cercando buffamente di comprendere come funziona il registratore per poter fare l’esercizio di inglese. Mi avvicino per aiutarlo, riusciamo a far partire la voce, e tutto concentrato affronta con serietà il suo compito, contento che qualcuno assista alla sua prova con la lingua straniera. Arrivano anche genitori, per lo più trascinati dai figli. Il passaparola tra i ragazzi è veloce. L’ambiente è sereno, si fanno nuove amicizie, si ride. Piuttosto che stare in strada, si passa del tempo insieme. Noto che c’è una richiesta di attenzioni da parte di alcuni, entrano ed escono dalla segreteria
per chiedere le cose più banali: un bicchiere d’acqua, un foglio, una penna, la password per accedere ad internet. Sono i più terribili, i discoli, quelli sicuramente che richiedono più amore. Il più grandicello di lì a poco afferma con spavalderia: “Io vengo un altro mese e poi non vengo più, mi scoccio, ho da fare”. Manifesta così un desiderio che qualcuno raccolga il suo bisogno d’amore, che lo inviti a restare per non essere costretto ad andare perché fedele alla corazza di bullo che ha indossato per difendersi dalle sue paure. Ragazzi e bambini cresciuti in fretta, cresciuti per strada. Per loro, per i loro nocchi impauriti, per le domande inespresse nche esplodono nel loro cuore, don Luigi ha iniziato la sua battaglia, la sua avventura di uomo e di prete. Mandato aForcella a fare il parroco a 24 anni presso uno dei quartieri più diseredati di Napoli, don Luigi ha trovato negli occhi di quei bambini della sua parrocchia, innanzitutto una sete di amore. “I ragazzi avevano bisogno di comprensione,ma soprattutto di un punto di riferimento – mi dice – nel quartiere di Forcella, dove sono stato mandato, non c’era neppure una scuola. La scuola è il simbolo per eccellenza della sicurezza, della legalità, della crescita”. Nonostante la giovane età don Luigi dimostra subito la sua voglia di cambiamento, di non scendere più a compromessi con l’ipocrisia, la connivenza e l’omertà della gente. Al suo arrivo nella parrocchia di San Giorgio ai Mannesi, nel cuore di Napoli viene perquisito dai pali del clan che presiedono il quartiere. La sua attività pastorale deve fare i conti con una realtà particolare. Ma non si scoraggia: “Il prete è prete se è pastore, cioè guida le sue pecore; ma è anche pescatore se cerca di farsi prossimo, di indossare il grembiule del servizio come ci suggeriva don Tonino Bello”. E don Luigi indossa il grembiule, tutti i pomeriggi scende in strada a raccogliere i suoi bambini e con loro comincia attività ricreative, giochi e sorrisi che possano insegnare a tutti  una vita degna di essere vissuta. Attraverso i bambini don Luigi arriva alle famiglie. Nell’immaginario popolare le famiglie di Forcella vivono sotto la repressione della paura, del timore, della camorra. Ma come è davvero la realtà, gli chiedo, vista dal di dentro? “A Forcella ci sono tante famiglie operaie, brave famiglie, persone che lavorano onestamente -mi risponde- ma c’è anche una parte che stenta a vivere o meglio a sopravvivere e vive nell’illegalità più diffusa. Io ho visto all’interno delle case, il nonno che taglia la droga, il figlio che la divide o la spezza, l’altro nipotino piccolo scende giù e la va a vendere, insomma una catena di montaggio. In queste famiglie tu ti rendi conto che manca tutto. Ricordo un giorno in cui nel quartiere arrestarono 200 persone. I miei bambini arrivarono in parrocchia gridando: “Hanno arrestato il nonno, la nonna, mamma, papà. Tutti quanti. Noi adesso cosa dobbiamo fare?”. Questa domanda lo mette in crisi, si rende conto che non esiste in quel quartiere nessuna istituzione capace di dare risposte. “Nel quartiere di Forcella il 70% degli abitanti ha la quinta elementare. Non ci sono scuole, non ci sono servizi. Quando si dice la camorra è l’anti-Stato, non è vero! La camorra in alcuni casi è lo Stato, dà i servizi; quello che dovrebbe fare lo Stato lo fa la camorra. Compra l’omertà della gente offrendo servizi, per questo molte volte in tv vediamo scene di famiglie che si ribellano alle forze dell’ordine quando i boss vengono arrestati perché sanno che in questo modo perdono la protezione. Ti paga la bolletta, paga il fitto. Don Luigi comprende che deve cercare di rompere proprio questa dipendenza, e offre un’alternativa: “La parrocchia vi pagherà il fitto, la bolletta. Voi non dovete far più riferimento al boss”. Don Luigi sa che bisogna ricostruire tutto un tessuto sociale. In nome di questo desiderio, si iscrive anche a Sociologia conseguendo una specializzazione sui Servizi Sociali rispetto ai bisogni di un quartiere. Don Luigi è per una chiesa preparata che sa stare accanto alla famiglia. Piuttosto che offrire forme di assistenzialismo che non aiutano né servono a fare un percorso di crescita, egli preferisce trovare forme nuove di riscatto sociale. Organizza allora un corso di formazione per i giovani, per insegnare loro a fare da guide per i turisti che vogliono visitare il quartiere di Forcella, pieno di storia e di arte. “Bisogna dare gli strumenti per uscire da questa condizione di degrado. L’assistenzialismo non serve a niente. L’uomo, come ci insegna la Chiesa nella dottrina sociale deve essere il cuore della promozione sociale e pastorale”. Oggi don Luigi cerca di tradurre questa sua esperienza anche in altre parti d’Italia, vive ancora sotto scorta perché minacciato. A distanza di alcuni anni come interpreta questo percorso? “Il Signore si è servito e si serve di ciascuno di noi come strumento nelle sue mani. Madre Teresa di Calcutta diceva che dobbiamo essere una matita nelle sue mani, che può essere un po’ appuntita o meno appuntita ma bisogna scrivere il quinto vangelo con la nostra vita. Dobbiamo fare in modo che il bene faccia rumore”. Siamo alla fine del nostro incontro, c’è una domanda che ancora non gli ho rivolto: “Don Luigi, è convinto che si possa spezzare questo giogo della criminalità?”. Mi risponde deciso: “Ci dobbiamo convincere che come le organizzazioni umane nascono, crescono e muoiono.. anche la camorra è nata, cresciuta e morirà. Dunque noi facciamo in modo di avere tutti gli strumenti idonei come Chiesa, come famiglia, come scuola, come istituzioni perché la lotta non è né di destra né di sinistra, è per il bene del nostro territorio”. È per il sorriso dei suoi bambini.




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