Solidarietà Desideravo solo che Albert sorridesse. Io non ci sono riuscito, la nuova scuola forse sì Autore articolo Di PUNTO FAMIGLIA Data dell'articolo 14 Marzo 2017 Nessun commento su Desideravo solo che Albert sorridesse. Io non ci sono riuscito, la nuova scuola forse sì di Salvatore Guerriero La storia del piccolo Albert ci arriva dal Burkina Faso, una delle zone più povere del continente africano. È una storia di povertà e di degrado, ma anche di amore e di solidarietà, raccontata dalla passione di un missionario. Era la prima volta che mettevo piede in Africa. La mia prima sera nell’Oasi Santa Teresa di Koupela, in Burkina Faso, la nostra casa africana. Il bel giardino interno che tanto strideva con l’aridità e la miseria delle strade fuori da quelle mura, brulicava di bambini allegri e festosi. Eravamo arrivati noi, gli occidentali carichi di doni, i “nasara” come ci chiamano lì. Quella per i bambini del circondario, sarebbe stata una serata speciale, avrebbero festeggiato tutto ciò che durante l’anno gli veniva negato per la povertà e la fatica di vivere. I bambini sapevano che stavano per ricevere regali e cibo in abbondanza. È stato lì che l’ho conosciuto. Tra tanti occhi vivaci e sorrisi bianchissimi, lui se ne stava in silenzio, lo sguardo triste, il bel viso imbronciato. Si chiamava Albert. Poteva avere due anni, forse tre, un viso paffutello da bambolotto nero, che contrastava con la magrezza del suo corpicino. L’ho preso in braccio. Lui mi ha lasciato fare senza mai perdere di vista la sua bussola, la sua sorellina, non molto più grande, che badava a lui. Gli ho accarezzato le manine, gli ho donato un bon bon, l’ho preso sulle spalle e l’ho fatto correre per il giardino. In cambio gli chiedevo solo la gioia di vederlo sorridere. Non lo ha fatto. Nei giorni successivi ho chiesto di lui a Elodie, una giovane del Centro: Albert aveva un padre alcolista che aveva abbandonato la madre e i suoi quattro figli. Si ricordava di lei solo per abusarne sessualmente e per lasciarla di nuovo incinta. Al momento era il più piccolo. Viveva insieme alla sua famiglia in una casa poco distante dal Centro e trascorreva l’intera giornata senza i genitori. Il padre assente, la madre in cerca di qualcosa per sbarcare il lunario. Unico amico, un bimbo più piccolo di lui, Charles. I loro giochi: pietre, pezzetti di legno da scagliare. Indosso solo vestiti laceri, coperti di terra rossa e urina. Era il febbraio del 2013, da allora sono tornato altre due volte a Koupela. Albert era una ferita aperta nel mio cuore, avrei voluto portarlo via, regalargli una vita normale, fatta di cose normali, ma è stato impossibile adottarlo, impossibile portarlo via da quella realtà e forse non sarebbe stato nemmeno giusto. Ho cercato di fare del mio meglio per assisterlo, di far recapitare alla sua famiglia un po’ di riso, dell’olio, cose scontate per noi e invece costose e inaccessibili per loro. Durante il mio secondo viaggio ho deciso che avrei conosciuto i genitori di Albert, non mi bastava più fargli ricevere dei doni. Così insieme a Elodie, sono andato a trovarli. La loro casa è difficile da raggiungere, le strade sono spesso impraticabili e non illuminate. Quando siamo arrivati ho scoperto con mio grande sconcerto che la famiglia viveva al buio. Elodie nella melodiosa lingua moore ci ha annunciati e il padre di Albert si è fatto avanti e si è presentato. Gli occhi liquidi, tipici di chi beve di professione. Lo sguardo smarrito di chi non ha altra via che la disperazione. La madre non stava meglio, aveva partorito un altro figlio. Un’altra bocca da sfamare. A gennaio 2015 sono ritornato a Koupela per la terza volta e un pensiero angoscioso si è fatto largo con prepotenza dentro di me: “Albert era ancora vivo? Ce l’aveva fatta a superare un altro anno di stenti e di abbandono?”. Per fortuna Albert c’era, ma vedendolo da lontano ho subito capito che non stava bene: era smagrito, aveva le occhiaie, la pancia più gonfia del solito. Mi sono avvicinato a lui, mi sono inginocchiato, i miei occhi hanno incontrato i suoi. Mi ha riconosciuto subito, e anche senza sorridere, mi ha preso per mano. Era il suo modo per dirmi che era felice di rivedermi. Ho chiesto spiegazioni a Elodie sul perché era così emaciato. Mi ha risposto che aveva avuto un grave attacco di malaria, ma ora le cose andavano meglio. Grazie alla donazione di un’insegnate italiana, la signora Ciancio, l’Oasi ha potuto aprire un piccolo asilo in cui accogliere i bambini provenienti da famiglie difficili. Albert era tra loro e ora indossava uno splendido grembiulino rosa. Mi sorrideva e mi sembrava quasi più sereno. Se provavo a giocare con altri bambini si infastidiva, mi metteva il broncio e andava a nascondersi. Gli stenti gli hanno insegnato ad affinare i sensi, Albert aveva riconosciuto il mio leale affetto, il mio profondo desiderio che lui sorridesse. Aiutaci a continuare la nostra missione: contagiare la famiglia della buona notizia Cari lettori di Punto Famiglia, stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11). CONTINUA A LEGGERE Tag Burkina Faso ANNUNCIO Lascia un commento Annulla rispostaIl tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *Commento Nome * Email * Sito web Per commentare bisogna accettare l'informativa sulla privacy. Ho letto e accettato la Privacy Policy * Ti potrebbe interessare: “Life skills”: strumento per combattere e prevenire le dipendenze nei giovani Papa Francesco: “La Madonna ci fa vedere Gesù. Lei ci apre le porte, sempre!” Famiglia con undici figli insultata sui social: “Dovete avere dei disturbi psicologici!” Lo Spirito Santo “non resiste” alla preghiera: noi preghiamo, Lui viene. Parola del Papa Dilexit nos: perché il Papa ci incoraggia a tornare al Cuore di Gesù? Papa Francesco: come fare perché la Cresima non doventi “l’estrema unzione”? La maternità surrogata reato universale. No, affittare l’utero non è come donare un rene Più vita e più famiglia contro la solitudine, una primavera demografica per ritrovare la speranza 15 ottobre, giornata internazionale della consapevolezza del lutto prenatale «Sanità e santità»: un binomio da approfondire e da curare Cambia impostazioni cookie Close GDPR Cookie Settings Panoramica privacy Cookie strettamente necessari Cookie funzionali (player di Youtube e Spotify) Powered by GDPR Cookie Compliance Panoramica privacy Questo sito web utilizza i cookie per offrirti la migliore esperienza utente possibile. Le informazioni sui cookie vengono memorizzate nel tuo browser e svolgono funzioni come riconoscerti quando ritorni sul nostro sito web e aiutare il nostro team a capire quali sezioni del sito web trovi più interessanti e utili. Per ulteriori informazioni sui cookie utilizzati su questo sito leggi L'INFORMATIVA COOKIE Cookie strettamente necessari I cookie strettamente necessari dovrebbero essere sempre attivati per poter salvare le tue preferenze per le impostazioni dei cookie. Abilita o Disabilita i Cookie Se disabiliti questo cookie, non saremo in grado di salvare le tue preferenze. Ciò significa che ogni volta che visiti questo sito web dovrai abilitare o disabilitare nuovamente i cookie. Cookie funzionali (player di Youtube e Spotify) Questo sito Web utilizza i seguenti cookie aggiuntivi: (Elenca i cookie che stai utilizzando sul sito web qui.) Abilita o Disabilita i Cookie Attiva i cookie strettamente necessari così da poter salvare le tue preferenze!