Non restiamo fra i banchi
di Francesco Grasselli
Famiglia, parrocchia e missione: una cosa sola.
Nel II Convegno missionario nazionale, che si tenne a Bellaria nel 1998, Don Bruno Maggioni, noto biblista e appassionato maestro di spiritualità e pastorale missionaria, fece questa affermazione: “La parrocchia così com’è strutturata oggi non può essere missionaria”. La frase – che non venne riportata negli Atti del Convegno, ma risulta dal reportage della Rivista “Missioni Consolata” – ha una forza che direi quasi eversiva! Significa, infatti, che per rendere missionaria una parrocchia non basta aggiungere o togliere qualche cosa a quello che è e che fa oggi. Occorre cambiarla radicalmente: cambiare, come si suol dire, il modello di parrocchia, passando dal modello attuale, che sostanzialmente rimane il modello del Concilio di Trento, a quello che chiameremo “del Vaticano II”.
Ma se il modello tridentino è ben chiaro ai nostri occhi, perché lo abbiamo davanti e lo sperimentiamo ogni giorno, il modello “Vaticano II” è tutto da inventare.
Partire dalle famiglie cristiane…
Io credo che il punto di svolta, la novità qualificante sia il riconoscimento della ecclesialità della famiglia cristiana. Cito da un documento della CEI:
Il mistero della comunione della Chiesa arriva fino a riflettersi e ad essere realmente partecipato, sebbene a suo modo, da quella piccola comunità che è la famiglia cristiana, dal Concilio chiamata «chiesa domestica» (Comunione e comunità nella Chiesa domestica, 1981, n. 3).
Il tema ci interessa soprattutto in ordine alla evangelizzazione nel territorio e nel mondo. Sentiamo allora cosa diceva Giovanni Paolo II agli inizi degli anni ’80: “La famiglia è l’oggetto fondamentale dell’evangelizzazione e della catechesi della Chiesa, ma è anche il suo indispensabile e insostituibile soggetto: il soggetto creativo. Proprio per questo, per essere questo soggetto, non solo per perseverare nella Chiesa e attingere dalle sue risorse spirituali, ma anche per costituire la Chiesa nella sua dimensione fondamentale…, la famiglia deve in modo particolare essere cosciente della missione della Chiesa e della propria partecipazione a questa missione” (Omelia della Messa di apertura del quinto Sinodo dei Vescovi sui compiti della famiglia cristiana nel mondo moderno – 26 settembre 1980).
Questo appassionato testo del defunto Papa dà alcune indicazioni importanti. Dice che la famiglia cristiana è, oltre che un oggetto, un soggetto “indispensabile e insostituibile” dell’evangelizzazione e della catechesi; aggiunge: “il soggetto creativo”. Parola non usata a caso, che fa riferimento all’altro soggetto, quello “istituzionale”: Papa, Vescovi, Presbiteri e Diaconi. C’è nella Chiesa un soggetto che ha prevalentemente il compito della continuità dell’evangelizzazione e della sua fedeltà alle origini, alla fonte da cui scaturisce. Garanzia di verità e di unità. E c’è un soggetto che ha prevalentemente il compito di incarnare il messaggio nel “qui e ora” di ogni momento storico, di far scattare un processo di osmosi tra il Vangelo e la vita: questo soggetto è la famiglia. Se la famiglia cristiana non adempie al suo impegno di “evangelizzazione creativa”, la missione della Chiesa in qualche modo si sclerotizza, il Vangelo si stacca dal mondo, diventa “inattuale” e poco incisivo. È quello, purtroppo, che sta avvenendo nelle Chiese di antica data da alcuni secoli.
… per arrivare a una nuova idea di parrocchia
Non basta vedere nella parrocchia un’articolazione della diocesi e neanche un ente distributore di servizi religiosi e caritativi, occorre vederla come il convergere delle famiglie cristiane verso quell’unità che l’Eucaristia rappresenta e perfeziona.
La parrocchia (parà oikiai = case accanto) è il tessuto ecclesiale formato dalle famiglie di uno stesso territorio, le quali si scambiano i doni della fede e i beni della terra, si edificano a vicenda, e insieme rendono gloria a Dio, proclamando il Vangelo nel loro ambiente con la vita e con la Parola. Ma è allo stesso tempo la mistica presenza del Signore in un determinato posto, garantita dalla successione apostolica del Vescovo attraverso il parroco.
Tra le famiglie che si aprono le une alle altre nel loro ambiente e il ministero di unità e di verità del parroco c’è un richiamo reciproco, per cui non c’è parrocchia senza questo movimento centripeto delle famiglie e non c’è movimento centripeto senza la Presenza che attrae, unifica e re-invia nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.
Una parrocchia così concepita non è più ripiegata su se stessa, concentrata sulla chiesa, la canonica, le opere parrocchiali, ma è sparsa nel territorio, dovunque c’è una famiglia o un gruppo di famiglie cristiane unte fra loro. Essa si fa carico, attraverso le famiglie, non solo della catechesi e dell’educazione religiosa dei giovani, ma anche della scuola, del lavoro, dell’ambiente, della comunità civile, del mondo della comunicazione… È una parrocchia che sta tra la gente, con tutti i suoi problemi, le sue sofferenze, le sue speranze e anche i suoi limiti e i suoi errori. Diventa la disseminazione della Parola e dell’Eucaristia nel territorio.
La parrocchia come comunità che invia
Se la missione nasce dall’Eucaristia, dove si celebra l’Eucaristia si pone anche l’esigenza di un invio verso il mondo. La parrocchia è di per sé stessa una comunità inviante. L’invio sarà guidato dal Vescovo, magari attraverso il Centro missionario diocesano, ma ciò non riguarda la sua essenza, che trova la sua giustificazione e la sua forza dall’Eucaristia.
Notiamo, per inciso, che la famiglia cristiana così come le Associazioni, i Movimenti e le stesse Famiglie religiose possono essere comunità inviate, ma non invianti, perché non sono il luogo proprio dell’Eucaristia. È la parrocchia (e la Diocesi in prima istanza) che manda i suoi “apostoli” (preti, religiosi, laici singoli e famiglie) “fuori di sé”.
L’idea di parrocchia come comunità inviante ha ancora scarso rilievo nelle nostre Chiese. Non ci si preoccupa di portare la testimonianza del Vangelo, come vuole Gesù, fino ai confini della terra.
Anche qui ci chiediamo: da dove partire? Senza nulla togliere al valore, anzi all’urgenza e alla necessità di una consacrazione totale alla missione, penso che la vocazione di famiglie missionarie possa costituire la grande novità del futuro (già adesso è l’unica vocazione che vede i suoi numeri in lenta ma sicura crescita).
Mandato missionario alle famiglie
Se la parrocchia è comunità inviante a chi darà il mandato? Può succedere che lo dia al proprio prete o a qualche religioso/a legata alla comunità parrocchiale. Ma abitualmente sarà consegnato a laici, singoli o famiglie.
Si sa che queste non possono, se non in casi eccezionali, rimanere in servizio missionario all’estero per tutta la vita. Ma le parrocchie e le diocesi possono creare una specie di “va’ e vieni”, di “dare e ricevere”, cosicché da una parte si sviluppi in modo giusto il dinamismo universale delle Chiese locali, dall’altra sia assicurata la continuità e la concretezza dell’impegno missionario nelle Chiese e nei territori in cui vanno gli inviati. Si va così verso una circolarità della missione. Vuol dire che non solo alle famiglie che tornano e riportano qui i doni della missione, altre se ne sostituiscono che intanto la parrocchia ha preparato, ma anche che mentre dalle nostre Chiese alcune famiglie vanno per il Vangelo in Africa, America Latina, Asia o Oceania, altre famiglie di quelle giovani Chiese, sempre per il Vangelo, vengono da noi. Se accogliamo preti e suore, perché non possiamo accogliere, debitamente preparate e mandate dalle loro Chiese, delle famiglie? Sarebbe questo “il dinamismo universale delle Chiese locali”.
Utopia? Fuga in avanti? Metodologia e spiritualità non ancora pronte? Forse. Ma occorre saper cogliere i segni dei tempi e obbedire al soffio dello Spirito, che rinnova la faccia della terra.
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