Una battaglia persa?

di Silvio Longobardi

La dolorosa vicenda di Eluana non si è conclusa con la sua morte, è diventata una linea di demarcazione che divide e oppone un diverso approccio culturale. Da una parte quelli che ritengono la vita un bene prezioso e indisponibile. Sempre e comunque. Dall’altra, quelli che considerano inutile un’esistenza gravata dalla sofferenza. Eluana non è dietro di noi ma dentro di noi, appartiene ormai ad un universo culturale con il quale dobbiamo fare i conti.

Nei mesi passati la Chiesa italiana ha seguito con crescente preoccupazione l’intera vicenda ed è intervenuta con decisione e tempestività nelle varie tappe. Il cardinale Bagnasco ha parlato più volte su questo argomento. Il Papa ha accompagnato con discrezione ma senza far mancare la sua parola, soprattutto negli ultimi giorni del drammatico epilogo. Molti altri vescovi sono intervenuti e tante diocesi hanno promosso iniziative di solidarietà e di sensibilizzazione. Il quotidiano Avvenire ha fatto uno splendido lavoro, mostrando ancora una volta di essere un laboratorio culturale attorno al quale si raccoglie non solo il mondo cattolico ma anche il più ampio e variegato popolo della vita.

Il mondo cattolico non è stato a guardare, non è si è lasciato stordire dai riflettori di una campagna orchestrata con raffinata eleganza. Tanti hanno fatto sentire la propria voce, difendendo con calore la vita di Eluana. Hanno compreso che in quella vicenda si giocava una partita che avrebbe avuto riflessi sull’intera società. È mancato però quel coraggio e quell’intraprendenza di cui oggi c’è più che mai bisogno per stare sulla scena. Sì, sulla scena. Non per motivi di apparenza ma per testimoniare una verità che altrimenti rischia di scomparire nei gorghi di una cronaca mediatica univoca.

La vicenda di Eluana insegna che non basta pregare. Dobbiamo intervenire in tutte le forme possibili. Attraverso dichiarazioni, incontri, convegni, manifestazioni. È questo il modo più semplice di fare cultura. Insomma, dobbiamo tornare ad essere protagonisti. Questa mentalità non ci appartiene, la maggioranza delle parrocchie non si mobilita, non aiuta la gente a elaborare giudizi e non comunica una passione per quello che accade. Con il rischio di perpetuare l’idea, già molto diffusa, che la fede sia solo un fatto privato, qualcosa che rimane fuori dalla vita reale, dai problemi di tutti i giorni.

La vicenda di Eluana tocca un elemento fondamentale del nostro presente e del nostro futuro. Tanta gente si pone le nostre stesse domande e guarda con perplessità e preoccupazione quello che accade. Ma non esce allo scoperto. Ha paura di andare controcorrente. Dobbiamo essere presenti anche per loro, per questa maggioranza silenziosa che vuole capire e decidere seguendo la propria coscienza e non i diktat di una cultura che in nome della libertà impone nuovi dogmi.

Allora, è stato inutile? Ha detto uno dei giovani che ha fatto 850 km per andare a Udine e testimoniare l’amore per la vita. No, non è stato inutile. Le uniche battaglie che si perdono, sono quelle che non si combattono. La morte di Eluana è un triste presagio che ci obbliga ad essere presenti in tutti i segmenti della vita sociale per seminare ragioni di vita e di speranza.




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