Il bambino ha diritto ad entrambi i genitori

di Marco Giordano

Ha da poco compiuto tre anni la legge che ha rivoluzionato il sistema italiano dell’affidamento dei figli in caso di separazione o divorzio dei genitori. Difatti l’8 febbraio 2006 vedeva la luce la legge n. 54 sull’affidamento condiviso.

In effetti la normativa ha inteso colmare una lacuna esistente nel nostro ordinamento giuridico. In precedenza la modalità maggiormente adottata era quella dell’affidamento del minore ad uno solo dei genitori separati o divorziati. Regola che di fatto escludeva il genitore “non affidatario” (in genere il padre) dai compiti di cura, istruzione, educazione, … con grande sofferenza per il genitore stesso e, soprattutto, per il bambino o ragazzo, che si vedeva spesso completamente privato di tale rapporto.

È importante sottolineare che in Italia questo intervento è arrivato molto in ritardo. Risale a vent’anni fa laConvezione ONU sui diritti del Fanciullo (New York, 1989) nella quale veniva sancito il cosiddetto principio di bi-genitorialità, cioè il diritto dei minori a mantenere i rapporti con entrambi i genitori. Già da tempo la maggioranza degli altri stati europei aveva adottato provvedimenti legislativi miranti a sostenere l’affidamento dei figli ad entrambi i genitori.

L’innovazione introdotta dalla legge del 2006 si basa sul principio secondo il quale il fallimento di due persone come coppia non determina necessariamente anche il loro fallimento come genitori (Piantanida). La legge ha praticamente rovesciato l’ottica dell’affidamento.

L’approvazione della legge è stata preceduta da un acceso dibattito: tra i suoi sostenitori i più ponevano in risalto l’effetto positivo di maggiore coinvolgimento e responsabilizzazione dei padri nella vita dei figli; tra gli oppositori, in larga parte psicologi, veniva messo in evidenza il rischio di applicare in via generale una forma di co-gestione del compito di cura del figlio, possibile solo quando il grado di conflittualità tra i due genitori fosse assente o almeno molto basso (Zanatta).

Ovviamente nei casi in cui la collaborazione tra i due genitori fosse improponibile il giudice, valutato l’interesse del minore, definisce a quale dei genitori assegnare l’affidamento esclusivo.

Anche in tali casi resta in essere l’obbligo, già sancito dalla previgente normativa, di coinvolgere il genitore non affidatario (il quale resta a tutti gli effetti titolare della potestà genitoriale) nelle decisioni di “maggiore interesse” relative all’educazione, all’istruzione ed alla salute del minore. Tali decisioni devono essere assunte di comune accordo, tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli.

Nel caso in cui l’accordo mancasse, la decisione è rimessa al giudice.

Concludiamo citando un effetto che la normativa del 2006 ha avuto sulla dimensione economica delle separazioni. Difatti all’affidamento congiunto corrisponde, salvo diverse disposizioni del giudice, anche il “mantenimento in forma diretta” del minore, cioè la realizzazione delle spese di cura direttamente da ciascuno dei due genitori. Questa ipotesi riduce di molto la questione dell’assegno di mantenimento che non è più la forma principale di contribuzione e che in alcuni casi può addirittura essere non previsto.




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