Iniziare alla fede oggi

di Giovanna Abbagnara

A colloquio con Fratel Enzo Biemmi, sul ripensamento del cammino di iniziazione cristiana e il suo rapporto sinergico con la famiglia. 

Il rinnovamento della catechesi dal 1970 ad oggi ha modificato profondamente la prassi catechistica, ne ha rinnovato i contenuti e il metodo, ma sembra però non abbia cambiato il modello. Da dove ripartire?

È necessario ripartire da un impianto di iniziazione centrato sui piccoli e sacramentalizzato, a un processo di iniziazione che ha come perno gli adulti e non è finalizzato ai sacramenti, ma alla vita cristiana. L’aumento in Italia di persone provenienti da altre culture e di genitori che non fanno battezzare i bambini porta verso la necessità di incrementare un impianto iniziatico centrato sull’adulto. Oltre ad essere una necessità di fatto, questa diviene anche una scelta di campo. In questo senso il ricupero del modello catecumenale dei primi secoli, che richiede una conversione di vita e si rivolge alla persona adulta, ritorna ad essere un punto di riferimento importante.

Sono stati fatti passi in avanti in questo senso?

Direi di sì. Anche la catechesi, poco per volta, è chiamata ad abbandonare il presupposto che la abita (ben indicato dall’espressione “catechismo per la vita cristiana”) e a ricuperare un annuncio finalizzato a proporre in senso forte la fede. Parliamo per questo di “primo annuncio” o di “proposta della fede”.

Le comunità parrocchiali si lasciano coinvolgere da questo processo?

Le esperienze in atto hanno capito la lezione e hanno individuato il grande obiettivo che costituisce l’unica possibilità di uscire dall’impasse attuale. Hanno capito che non si tratta di un problema di strategie e di metodi per migliorare la situazione all’interno del modello attuale, ma che si tratta di restituire alla Chiesa la sua capacità originaria di generare alla fede, di essere madre nella fede. Il suo grembo generatore, infatti, sembra diventato sterile. Quando parliamo di Chiesa nella sua capacità di generare, si intende la comunità cristiana adulta, che genera nella misura in cui è lei adulta nella fede, cioè appassionata e fedele al suo Signore.

E la famiglia viene coinvolta?

Si tende a superare la delega della educazione alla fede ai catechisti e, in misure diverse, di renderne partecipi i genitori. Dopo i primi tentativi, ora le nuove esperienze stanno imparando che il coinvolgimento dei genitori deve essere graduale, perché gli adulti si trovano a disagio a trasmettere una fede di cui essi stessi non sono consapevoli fino in fondo, e che sentono la necessità di rivedere completamente. Vengono attuate allora scelte diverse, che vanno da un coinvolgimento diretto ed esigente a forme di collaborazione più graduali e intermedie. Alcune parrocchie formano i genitori perché siano in grado di fare la catechesi ai loro figli, nelle loro case, fornendo loro un assistenza per questo compito. Abbiamo esperienze che coinvolgono i genitori presentando chiaramente loro il percorso e chiedendo una libera adesione, con la possibilità di una seconda modalità più tradizionale (una specie di doppio binario). Alcune proposte fanno leva sulla preparazione della liturgia affidata ai bambini e ai loro genitori.

A patto che i genitori vogliono essere coinvolti…

Infatti, alcune esperienze hanno “sopravvalutato” la famiglia, chiedendo ad essa un livello di coinvolgimento fuori portata rispetto a due aspetti: non hanno tenuto conto del tempo reale che i genitori hanno; non hanno tenuto conto della loro reale situazione rispetto alla fede. Al centro dell’età adulta gli adulti hanno molte esigenze formative, ma pochissimo tempo da dedicarvi. Inoltre, una domanda “alta” nei loro confronti rischia di essere fatta a partire ancora da “pretese ecclesiali” proprie di una società di cristianità. Occorre dunque tenere conto degli adulti reali, di storie e processi precisi.

Ma in questo modo non si corre il rischio di passare da una delega dell’iniziazione cristiana ai catechisti, ad una delega ai genitori?

È  importante una proposta complementare: una parte del percorso continua ad essere assolto dai catechisti, un’altra, più o meno importante, dai genitori. Occorre anche che i genitori siano contattati come adulti, per i loro bisogni personali, indipendentemente dai loro figli, con proposte “gratuite”. È da immaginare quindi un lavoro concordato tra preti, catechisti e genitori. Il compito prioritario dei genitori è quella testimonianza di fede ordinaria che possiamo definire “domestica”. La fede non è mai nata da lezioni di catechismo, ma da relazioni vissute nell’orizzonte della testimonianza.

In che modo essi trasmettono la fede?

La fede passa dai rapporti, dai fatti di ogni giorno letti in ottica di grazia e di gratitudine, dagli eventi familiari gioiosi e dolorosi interpretati come eventi abitati dalla presenza del Signore, dal modo di leggere quello che succede nel mondo, dalla logica con la quale ci si relaziona, si utilizzano le risorse, ci si relaziona con chi è diverso, si maturano atteggiamenti di solidarietà.

Ciò è primario ed essenziale. Ma la famiglia può anche divenire un luogo nel quale i genitori danno esplicitamente parole alla fede e creano momenti formativi per la famiglia. Su questo punto la famiglia e la parrocchia possono trovare un terreno di reciproco sostegno e il compito della catechesi tradizionale può diventare di assistenza ai genitori stessi senza delegare in toto ad essi il compito esplicitamente catechistico.

Parrocchia e famiglia dunque in piena sinergia?

Le nuove esperienze vanno in questa direzione. Questo duplice livello di educazione alla fede dovrà essere salvaguardato, sapendo che il livello esplicitamente catechistico non può reggere se non è sostenuto, preceduto ed accompagnato da un’iniziazione alla fede quotidiana e familiare. È questa la strada perché comunità e famiglia ridiventino, senza confondersi, i due grembi privilegiati dell’iniziazione alla fede.




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