Diritto a una famiglia 24 ore su 24
di don Oreste Benzi
Il 26 giugno 2007, pochi mesi prima di morire, don Oreste Benzi, intervenendo ad una seduta della Commissione parlamentare per l’infanzia, ha con il suo modo schietto e sincero, così definito il significato di casa famiglia, sottolineando la caratteristica di stabilità di relazioni che solo la permanenza di figure genitoriali può assicurare.
Ci preme moltissimo sottolineare un punto: si parla tanto di case-famiglia o di comunità familiari. Si tratta, in realtà, di uno degli inganni commessi a danno dei bambini: la comunità è familiare solo se vi sono figure genitoriali permanenti; non si può attribuire la denominazione di casa famiglia ad un posto solo perchè ha un numero ridotto di creature e un ambiente più piccolo.
I bambini, infatti, rimangono sempre senza la figura paterna e materna; non hanno nemmeno una delle due, dato che, come prevede giustamente la legge, anche un singolo può benissimo creare relazioni. Permettetemi di ribadire il concetto di partenza: la procreazione biologica non fa essere padre, ma esige che lo si diventi; la paternità è frutto di una rigenerazione continua dell’amore, in un dialogo ininterrotto che dura tutta la vita. Parimenti, la procreazione biologica non fa diventare madre, ma esige che chi ha procreato lo diventi: come si può vedere chiaramente nell’ambito del divorzio, sempre più dilagante, spesso prevale il comportamento del padre o della madre che si separa sui veri bisogni dei figli.
È la rigenerazione continua nell’amore, che non termina mai, a creare l’equilibrio: qui sta la prevenzione dalla droga, non con metodi esterni alla persona (che è giusto attuare, ma a cui non si può certamente affidare la liberazione dell’individuo); qui sta il legame profondo. Pertanto, poichè la denominazione di casa famiglia – che non so da chi sia stata determinata – ha ingenerato una confusione enorme, sosteniamo allora che le vere case famiglia debbano essere caratterizzate dalle figure genitoriali permanenti, tutti i giorni della settimana, tutte le settimane del mese e tutti i mesi degli anni della vita. Così, anche se la creatura vi rimane un giorno solo, il suo sarà un modo d’essere permanente, caratterizzato, cioè, da dedizione totale: praticamente, non si può rimanere sul versante dell’assistenza, ma si deve entrare nelle leggi della vita. Vi preghiamo pertanto di stabilire che possano essere definite vere case-famiglia solamente quelle costituite da figure genitoriali permanenti; altrimenti, si parlerà di miniappartamenti, alloggi, gruppi, ma non di vere case famiglia, perchè non lo sono.
La figura genitoriale permanente diventa base sicura, non prende ferie per sé separatamente dai propri figli, non ha tante altre forme che indicano che si tratta praticamente di un’assistenza, ma non invece di una donazione totale di sé. La vera casa famiglia, cioè, dev’essere caratterizzata dalla condivisione diretta, la quale suppone che il tu diventi un noi, che il mio e il tuo diventi il nostro e che vi siano una comune sorte, un unico cammino ed un modo di essere insieme.
Come vi può essere una casa famiglia con persone – pure degnissime – che però operano sei o otto ore al giorno? Com’è possibile che tali persone prendano le ferie per conto proprio? Una ragazza occupata in un istituto ha raccontato che va in crisi quando i bambini, al termine della sua giornata lavorativa, le prendono le mani e le chiedono perchè non li porta a casa propria. Questo, infatti, sarebbe logico e giusto: altrimenti, ai loro occhi, per quale motivo ella va nell’istituto e poi, se li ama, perchè li lascia lì e se ne va? In quante occasioni abbiamo già visto soffrire tante di queste creature?
Eliminiamo, allora, questo errore madornale che causa tanto dolore. Nella vera casa famiglia vogliamo sapere chi rappresenta la figura genitoriale, se è permanente e se, nel suo modo di essere, è oblativa, totalmente dedicata. In questo modo potremo creare un rapporto davvero valido; diversamente, ipotizziamo soltanto soluzioni temporanee che non servono alle creature.
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