infanticidio femminile

Vietato nascere femmina in Cina e Asia!

neonato

di Ida Giangrande

Cina e India sono tra le nazioni in vetta alla classifica mondiale per l’infanticidio femminile, a riportarlo è l’ultimo rapporto del Centro Asiatico per i Diritti Umani (Achr). Una piaga questa che alimenta il grande mercato della tratta delle donne e dell’aborto.

La preferenza per il figlio maschio è una caratteristica diffusa in tutto il mondo, ma dall’ultimo rapporto del Centro Asiatico per i Diritti Umani (Achr) è emerso che Cina e India sono in vetta alla classifica mondiale in quanto a infanticidi femminili. Tale tipo di problematica è causa di un milione e mezzo di aborti, e contribuisce anche a generare la piaga della tratta di donne in Asia. Sulla questione si è espresso Andrea Iacomini, portavoce di Unicef Italia: “Il problema è di natura culturale, investe alcuni Paesi e sfere del mondo, e colpisce le donne, che purtroppo sono vittime. Sono donne che, anche laddove abbiano la possibilità di continuare a vivere – già questo è un dato tristissimo – sono costrette a matrimoni precoci e vittime di mutilazioni genitali. Queste donne sono vittime di ghettizzazione e di culture che purtroppo le mettono ai margini”. Un fenomeno troppo poco denunciato secondo Iacomini, che merita le attenzioni di tutte le agenzie umanitarie. Cosa si può fare dunque per arginare il problema? Secondo Iacomini bisogna iniziare dal settore dell’istruzione. “Investimenti nell’educazione e nel dialogo con le culture, con l’obiettivo di far comprendere, soprattutto alle nuove generazioni, i danni derivanti da queste pratiche. E cercare di far capire loro, soprattutto, le opportunità che una vita sana tra uomo e donna possano far sorgere: tutto ciò è alla base dell’azione che si deve pensare di portare avanti”. “Oggi, ancora una volta, investire nell’istruzione è la cosa più importante – prosegue Iacomini –  Il secondo punto fondamentale,  secondo me  è cercare di non fermarsi nel dialogo: in tutte le realtà in cui ci troviamo in un Paese come l’India ad esempio, cerchiamo di mettere in piedi dei sistemi dove le donne riescano a confrontarsi con gli uomini; a trovare però al tempo stesso delle forme di collaborazione tra loro; a scambiarsi delle buone pratiche e veramente ad unirsi per cercare di cambiare la situazione. E questo obiettivo può essere raggiunto soltanto se i nostri operatori, insieme ai governi, riusciranno ad entrare in tutte le realtà locali, nelle tribù, per riuscire a cambiare la mentalità”.




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