Voglio cantare la vita
di Antonietta Abete
Mimmo Bonagura, un testimone del nostro tempo.
“Diario di un uomo in missione:
la storia della mia vita”.
Così Domenico Bonagura ha titolato uno scritto nel quale desiderava raccontare il suo amore per l’evangelizzazione: annunciare Cristo a quanti non lo hanno ancora incontrato era uno dei suoi desideri più ardenti.
“Sono nato nel 1957, in un paesino agricolo, chiamato Poggiomarino, in provincia di Napoli – scrive di suo pugno – La mia famiglia era composta da cinque figli; mio padre tirava avanti faticosamente con una piccola macelleria, mia madre era casalinga. Abitavamo proprio vicino alla parrocchia di Sant’Antonio di Padova, a fianco c’era la congrega. Passavo le mie giornate, dopo la scuola, a giocare e a servire la messa. All’età di sette anni ero già il primo chierichetto, avevo preso talmente a cuore l’Eucarestia che la recitavo a memoria in latino (…) Ricordo la mia prima Comunione. Il giorno prima mi dovetti confessare tre volte, perché avevo paura che i mie piccoli peccati non fossero stati cancellati”.
Con questa bella immagine della sua “purezza” di bambino, il diario si interrompe, lasciando a chi lo ha conosciuto e amato il compito, difficile, – come raccontare la vita di un uomo senza correre il rischio di essere parziali, di tralasciare cose importanti, di non usare le parole adatte? – di completarlo.
L’esperienza di fede
A 16 anni Mimmo si imbarca come marinaio. Il padre è negoziante, un buon lavoro ma non sufficiente per sostenere una famiglia numerosa. E poi, l’idea di viaggiare e conoscere luoghi nuovi, ha sempre affascinato i giovani. In marina la sua vita non risplende di valori cristiani. Di temperamento allegro e socievole, non fatica a conquistare donne e a vivere senza farsi mancare il facile divertimento.
Ma il Signore ha in serbo altro per lui. Un giorno – ha 20 anni – è costretto a tornare a casa in treno. Ha avuto una colica renale e deve riposare. In stazione legge di un concorso musicale per “Voci nuove”, lui che ha sempre amato la musica e che in seguito ne farà uno strumento per annunciare a tutti la gioia della fede, immediatamente si iscrive. Ad organizzare il concorso è il fratello di Rosaria. Così Mimmo conosce una splendida ragazzina di 16 anni, con i capelli rossi e gli occhi da cerbiatta, destinata a diventare la compagna della sua vita, la madre dei suoi figli, la donna con cui ha camminato, mano nella mano, lungo la via della fede.
Dopo 4 anni di fidanzamento, arriva il primo incontro con il Signore. Mimmo e Rosaria sono invitati dal parroco, don Bruno Montanaro, a partecipare a degli incontri organizzati dal Cammino Neocatecumenale presso la loro parrocchia. “Quando abbiamo fatto il primo ritiro – ricorda Rosaria – Mimmo ha rievocato la sua tenera fede di bambino, ha rammentato che abitava vicino alla parrocchia, che faceva il chierichetto e “giocava a celebrare la messa”. Dopo un anno di cammino neocatecumenale, nella nostra vita, è entrata una terza Persona. Non ci confrontavamo più da soli, perché adesso c’era anche Dio”.
Ma il Signore aveva altro in serbo per questi due giovani fidanzati. Per svariati motivi il percorso di Mimmo e Rosaria si interrompe. Nel 1988 Mimmo e Rosaria arrivano finalmente là dove il Signore da anni li sta conducendo: incontrano don Silvio Longobardi, fondatore della Fraternità di Emmaus. “Ho conosciuto Mimmo e Rosaria nella primavera del 1988 – ricorda don Silvio – quando il parroco di sant’Antonio, don Bruno Montanaro, mi invitò a conoscere e a seguire un gruppo di sposi che da poco era nato nella sua parrocchia. Erano poche coppie ma tutte desiderose di fare un cammino di fede. Il primo ritiro che facemmo a Bracigliano (settembre 1989) fu un’esperienza fondamentale, un evento di grazia che incise fortemente nella vita di ciascuna coppia”.
In famiglia
Durante gli anni del fidanzamento, quando il lavoro non arrivava e non c’era stato ancora l’incontro con Dio, la sua sensibilità, quella che da piccolo lo fece confessare tre volte per ricevere la Prima Eucaristia, si scontra con un quotidiano dai contorni troppo diversi rispetto ai desideri grandi che porta nel cuore e che, all’epoca, non era in grado né riconoscere né di chiamare per nome. Inizia a giocare a carte, per passare un po’ di tempo con gli amici, per distrarsi, per dimenticare qualche preoccupazione. C’era sempre un buon motivo per continuare a farlo. Accumula anche qualche debito. Questa situazione va avanti anche dopo il matrimonio, procurando non poche ferite all’unione coniugale. Non sono anni semplici, Rosaria è dura, cerca di smuoverlo, prega molto.
“Nonostante fossimo in cammino già da qualche anno – continua Rosaria – la vera conversione di Mimmo è avvenuta al capezzale del padre. Quando nel ’96 muore il suo papà, Mimmo comprende che l’uomo è “limitato” e che la vita ha un termine: o ti dai da fare, oppure sei perso!”. Nasce in lui il desiderio di diventare ministro straordinario dell’Eucaristia. Frequenta il corso e si verifica interiormente. È a quel punto che il gioco, che lo aveva attanagliato per molti anni, è definitivamente sconfitto. “Queste mani – afferma Mimmo – non possono portare il Corpo di Cristo e contemporaneamente toccare le carte”. Per lo stesso motivo decide di rinunciare alla pistola d’ordinanza. Sapeva di perdere un’indennità sullo stipendio e sapeva pure che non l’avrebbe mai usata. Ma l’ha fatto per testimoniare una verità più grande del benessere materiale.
Al lavoro
Mimmo vive con grande passione e spirito di servizio il suo lavoro. Un collega, Alfonso Dell’Isola, lo ricorda così: “Nel nostro lavoro si incontrano quotidianamente problemi e intoppi di varia natura. In ogni occasione Mimmo sfoggiava la sua giovialità, l’allegria e la grande pacatezza. Non si lamentava mai. Quando abbiamo incontrato qualcuno che aveva delle necessità, ci siamo sempre attivati. Quante volte Mimmo ha anche messo mano alla tasca quando ce n’era bisogno. Si occupava di tutti e di tutto, non era capace di stare fermo”.
In Fraternità
Come catechista Mimmo non si limitava a spiegare la Parola di Dio, s’impegnava ad incarnarla, prendendo a cuore le diverse situazioni, investiva tempo ed energie per aiutare chi aveva bisogno a risolvere qualsiasi tipo di problema, dai più semplici e banali, a quelli più impegnativi e complessi, come testimoniano Angelo e Nicoletta Nappo: “Fin dal primo incontro, abbiamo compreso che Mimmo e Rosaria erano persone sincere e leali con le quali poter costruire un vero rapporto di amicizia. Il loro pregio più bello era l’ospitalità. Erano sempre pronti ad accoglierci, di giorno e di notte, per ascoltare e condividere le nostre riflessioni”.
Un padre attento e premuroso
Mimmo ha amato molto i suoi figli, tutti desiderati e attesi con trepidazione. “Quando il 30 agosto del 1984 ci siamo sposati – ricorda Rosaria – siamo rimasti da soli soltanto 9 mesi. Infatti, esattamente 9 mesi dopo (il 23 maggio 1985) è arrivata Maria Grazia a farci compagnia”.
Dopo venti mesi dalla nascita di Maria Grazia arriva Luigi, l’unico maschio di casa Bonagura e Mimmo tocca il cielo con un dito. A 40 giorni il bambino si ammala di bronchiolite, è ricoverato in ospedale. Lì un altro bimbo ricoverato per la stessa patologia muore. “Questo evento – ricorda Rosaria – ci ha indotti ad essere sempre molto premurosi nei suoi confronti. Anche se, quando c’era da redarguirlo, Mimmo con ci pensava due volte”.
Olga, la terzogenita, (14 dicembre 1991) assomiglia molto al padre da cui ha ereditato il bel colore rosso dei capelli. Benedetta è l’ultima arrivata. È nata il 22 luglio del ’99, quando in casa ormai c’era molta più serenità. “Vi era stata la conversione totale del cuore e la sua nascita ha rappresentato un sigillo per la nostra storia”.
L’ansia missionaria
Aveva un particolare amore per la missione. Annunciare il Vangelo era per lui una dimensione essenziale. Per questo, insieme a Rosaria, è sempre stato in prima fila anche nell’avventura missionaria partecipando attivamente a tutte le esperienze, a cominciare da quella vissuta in Trentino all’inizio del 2000. Negli anni successivi è stato a Prato, in Toscana, Perito, Nocera Inferiore e Maiori. Ovunque ha portato la gioia della fede. Angelo Montone, l’amico con cui Mimmo e Rosaria hanno condiviso maggiormente l’esperienza missionaria, lo ricorda così: “Per me Mimmo era ed è una certezza, ero e sono certo del suo apporto per la causa dell’evangelizzazione”.
L’offerta della sofferenza
La chiamata più importante a cui Mimmo ha risposto, con la docilità di un “agnello condotto al macello”, si è manifestata sotto forma di un neo sul braccio destro, scambiato negli anni per una verruca. Nel 2004 il neo inizia a cambiare aspetto, diventa più grande e circondato da un alone di un colore diverso. Il 4 ottobre Mimmo si sottopone ad una visita dermatologica presso l’ospedale Andrea Tortora di Pagani. Il responso è netto: bisogna asportare il neo e fare un esame istologico. L’intervento è fissato per il 15 ottobre (Santa Teresa D’Avila). Sono necessari 13 punti di sutura. Il giorno dopo, Mimmo ritorna insieme agli amici di comunità a Cicalesi dove è in corso la missione popolare, ospiti del complesso parrocchiale San Giovanni Battista. “Eppure – chiarisce Rosaria – quello è l’inizio della strada dolorosa che Dio, nella sua imperscrutabile volontà, ha scelto per chiamarlo a sé. E Mimmo lo intuisce. In quel periodo, infatti, prende forma quel desiderio di partecipare a Messa tutti i giorni che non riusciva a concretizzarsi perché non cambiava la situazione lavorativa (Mimmo aveva chiesto di esser trasferito al Comune per lavorare sempre di mattina). Non era mutata la situazione lavorativa, era lui che era cambiato”.
Il risultato dell’esame istologico non lascia dubbi: si tratta di un melanoma. Mimmo è seguito all’ospedale Pascale di Napoli. E la vita riprende, intervallata da controlli periodici, prima ogni tre mesi, poi ogni sei mesi. Mimmo si sente bene e non manifesta in quegli anni nessun tipo di disturbo.
Il 23 marzo del 2006 accade qualcosa di terribile. Mimmo si trova a Montoro, insieme a Rosaria mette a posto la casa dopo un cenacolo. È al telefono quando di colpo la gamba non gli risponde più e inizia a manifestare un fastidio agli occhi. Non è in grado di guidare, così chiamano un’autoambulanza che li accompagna all’ospedale di Solofra. I medici avrebbero voluto ricoverarlo per fare delle indagini più approfondite, ma a casa ci sono i figli che non sanno nulla, così lo dimettono consigliando un controllo neurologico. “Mi sta venendo un’ischemia com’è capitato a mio padre!” pensa Mimmo. Il neurologo che lo visita quel pomeriggio stesso nota una mancanza di sensibilità all’addome e consiglia una TAC, prenotata immediatamente per le 13 del giorno successivo all’ospedale di San Giuseppe Vesuviano.
Ma il mattino seguente, di buon ora, arriva don Silvio Longobardi che, preoccupato, consiglia di andare immediatamente all’ospedale Umberto I di Nocera Inferiore per fare subito l’indagine consigliata. “Non so perché – ricorda Rosaria – ma ho avuto la sensazione che don Silvio avesse intuito la gravità della situazione. I medici non uscivano dalla Radiologia. Dalla porta sono riuscita a vedere delle lastre, sembravano una cartina geografica. Ho sperato che non fossero quelle di Mimmo, ma non mi sono fatta molte illusioni!”. Rosaria infatti aveva visto tante volte le radiografie di Giorgio, un amico che lottava contro un male simile. “Ho capito immediatamente. Ci hanno consigliato di andare via. La settimana successiva eravamo già a Verona. Il giorno della partenza abbiamo dato appuntamento a tanti amici presso i Santi Sposi. Insieme abbiamo recitato il Rosario, la preghiera preferita di Mimmo, affidandolo alla Vergine”.
Dopo 40 giorni di radioterapia Mimmo finalmente ritorna a casa, per vivere il poco tempo che gli è rimasto. A Verona infatti il primario confida a Rosaria che quella operazione serve solo a donargli un anno in più. E non si è sbagliato. Il 29 marzo del 2007, dopo indicibili sofferenze, offerte con amore per la Chiesa e per la Fraternità di Emmaus, Mimmo ha concluso la “sua corsa”.
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stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).
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