Santità familiare
Gianna Beretta Molla: la santa delle mogli che amano teneramente i loro mariti e delle madri che danno la vita per i propri figli
di don Silvio Longobardi
Il 28 aprile 1962 si congedava da questo mondo una donna e una madre straordinaria che ha vissuto una santità feriale coltivata nel contesto di una normale vita familiare: Gianna Beretta Molla. Punto Famiglia vuole ricordare il dies natalis di questa madre eccezionale.
Non è facile raccontare la santità, soprattutto quando abbiamo a che fare con una vita ordinaria. È la stessa perplessità che ha avuto anche il marito, Pietro Molla, quando mons. Carlo Colombo, il famoso teologo di Paolo VI, come era chiamato, gli disse che era desiderio del Papa iniziare la causa di beatificazione della moglie Gianna, morta 8 anni prima: “Sentivo una certa ritrosia all’avvio del tuo processo di beatificazione, perché mi pareva di non aver notato in te segni straordinari”. Così scrive in una lettera indirizzata alla moglie nel 2004, a canonizzazione ormai avvenuta. Era ben convinto.
Il Vescovo lo rassicurò spiegandogli che può esistere una vera santità anche in una vita tessuta di eventi ordinari. Raccontare la santità di una religiosa che ha fondato una comunità religiosa, è assai più facile, la scelta della vita consacrata fa subito pensare a una particolare luce di Dio, l’intuizione carismatica è un ulteriore e visibile segno della grazia. Possiamo anche trovare sposi che si sono distinti nelle opere di carità attraverso iniziative di particolare valore. In questo caso è più facile santità in una donna la cui vita è stata consumata all’interno del matrimonio? La vita di Gianna è caratterizzata da una grande semplicità, in apparenza uguale a quella di tante altre donne. Senza quel gesto conclusivo, che ha suscitato stupore e commozione in quelli che l’hanno conosciuta, forse anche la santità di Gianna sarebbe rimasta nascosta sotto il velo di un’apparente ordinarietà. Il cardinale Tettamanzi, all’indomani della canonizzazione (2004), ha ricordato che Gianna è la prima santa riconosciuta della diocesi di Milano dai tempi di san Carlo Borromeo (1538-1584), superando in volata tanti altri personaggi, certamente più noti, e tra questi preti e vescovi. Santa Gianna raccoglie e amplifica la santità semplice ed eroica di tutte quelle donne che hanno teneramente amato il marito e di tutte quelle mamme che hanno dato la vita per far crescere i figli. Con Gianna la santità veste l’abito feriale: in lei tutto è vissuto all’ombra di una fede semplice e gioiosa. Un’amica d’infanzia di Gianna, con popolare schiettezza dice in un’intervista: “È possibile che sugli altari vanno sempre le suore e i frati. […] Lei rappresenta tutte le mamme”. Quando viene a sapere della morte della sorella, dal Brasile fra Alberto scrive a Pietro che non avrebbe celebrato la Messa di suffragio ma quella degli Angeli perché riteneva che Gianna fosse già in Paradiso. E aggiunge: “Ha lasciato per tutte le mamme, specialmente per quelle che non vogliono collaborare con Dio nell’opera della creazione, conforme ai suoi disegni”.
La santità s’impara in famiglia
Gianna vive in una famiglia sana e ricca di fede, decima di tredici figli. La testimonianza dei genitori segna il cammino di tutti i figli, non a caso alcuni di loro scelgono la vita consacrata. Gianna cresce in un ambiente dove la fede è come il sale che insaporisce tutti i cibi. Alberto e Maria De Micheli, i genitori di santa Gianna, sono terziari Francescani, un’appartenenza sentita e vissuta con intensa partecipazione per tutto il corso della loro esistenza. Si sposano nel 1908, hanno 13 figli: la prima nasce nel 1909,l’ultima nel 1927. Cinque figli sono morti prima di arrivare alla maggiore età, Amalia, la maggiore, morì a 28 anni di tubercolosi. Tra i figli sbocciarono tre vocazioni alla vita consacrata: Enrico divenne frate cappuccino e prese il nome di Alberto; Giuseppe scelse la via del sacerdozio diocesano, Virginia abbracciò la vita religiosa delle Canossiane. Milano fu la prima residenza della famiglia Beretta (1908-1925), qui conobbero la spiritualità francescana, qui nacque la maggior parte dei figli, tra cui anche Gianna. I genitori furono i primi testimoni della fede: Messa quotidiana, ogni giorno il Rosario in famiglia, una vita ispirata al Vangelo. Fu la mamma a preparare Gianna alla Prima Comunione: si è accostata all’Eucaristia il 4 aprile 1928, aveva solo cinque anni e mezzo. E tuttavia questo appuntamento segna un momento importante perché dà inizio ad un’assidua frequenza all’Eucaristia, che diviene sostegno e luce della sua fanciullezza, adolescenza e giovinezza.
L’opera educativa della Chiesa
La famiglia più santa non basta per trasmettere la fede, c’è bisogno di inserire i figli nella comunità ecclesiale. La famiglia Beretta era inserita nella vita ecclesiale. I diversi luoghi in cui Gianna è vissuta hanno arricchito la sua vita spirituale: a Bergamo ha ricevuto l’Eucaristia (1928) e la Confermazione (1930), nel periodo trascorso a Genova, ha trovato in Mons. Righetti, esperto della liturgia, un’attenta guida spirituale; più tardi, a Magenta, diocesi di Milano, ha fatto l’esperienza dell’Azione Cattolica. L’opera educativa della famiglia ha bisogno di intrecciarsi con quella della Chiesa. Oggi più che mai perché la cesura generazionale aumenta la naturale conflittualità tra genitori e figli rende questi ultimi meno disponibili ad accettare consigli e insegnamenti da parte dei genitori. L’esperienza ecclesiale perciò si rivela essenziale e insostituibile, a partire dalla pre-adolescenza, quando emerge il bisogno di autonomia. Tale esperienza apre una finestra nuova, permette ai figli di stringere amicizie con i coetanei e di riconoscere e accettare insegnamenti e consigli sul piano spirituale. Durante i pochi anni vissuti a Genova (1937-1942) Gianna fece l’esperienza fondamentale della sua vita: un corso di esercizi spirituali predicato dal gesuita padre Michele Avedano (16-18 marzo 1937). Aveva 15 anni! E tuttavia quell’esperienza fu un passaggio di Dio nella sua vita, come il vento dello Spirito a Pentecoste. Scrisse un quaderno di trenta paginette in cui annotò i suoi propositi.
Preghiera e servizio
Se l’ambiente e la vita ecclesiale sono il terreno in cui germoglia e cresce la santità, preghiera e servizio sono i due sentieri privilegiati. Nella lettera postuma che Pietro scrive alla moglie dopo la canonizzazione, commosso e grato, leggiamo questo ritratto: “Le tue corone del Rosario, i tuoi Messalini quotidiani, le tue lettere, sono reliquie per noi. […] Queste reliquie ci parlano della tua pietà profonda, della tua vita eucaristica, della tua devozione alla Mamma celeste, della tua gioia di vivere e della tua fiducia nella divina Provvidenza”. A partire da queste parole possiamo tentare di descrivere l’esperienza di preghiera vissuta da santa Gianna. L’esperienza eucaristica inizia nella fanciullezza, seguendo la mamma e le sorelle. Tra le indicazioni che dava alle ragazze della Gioventù Femminile di AC affidata alle sue cure, troviamo una chiara impronta eucaristica: Santa Messa, santa Comunione, visita al SS. Sacramento. Gianna non si risparmia, da giovane era fortemente impegnata sia nell’Azione Cattolica sia nella san Vincenzo, annuncio e carità sono due vie complementari. Alle ragazze adolescenti trasmetteva la convinzione di una fede matura, ai bisognosi la consolazione della carità. A tutti regalava un sorriso “pieno di dolcezza e di calma, riflesso della gioia serena e profonda dell’anima in pace”, come testimonia una sua compagna di liceo. Il desiderio del bene accompagnò tutta la sua vita.
La via della coniugalità
La santità di una sposa trova nella vita di coppia una sua essenziale e decisiva espressione. Questo aspetto perciò dovrebbe essere indagato più degli altri. Gianna intavola fin dall’inizio con Pietro una fitta corrispondenza epistolare, dieci lettere prima delle nozze, 62 durante i sette anni di matrimonio. In totale più di settanta lettere. Questi documenti permettono di entrare nel mondo interiore di Gianna ed offrono un quadro semplice della vita familiare. Gianna vive il fidanzamento con l’intima certezza di aver ricevuto da Dio il dono tanto atteso, come rivela a Pietro: «Il Signore proprio mi ha voluto bene. Tu sei l’uomo che desideravo incontrare, ma non ti nego che più volte mi chiedo: “sarò io degna di lui?” Sì, di te, Pietro, perché mi sento proprio un nulla … E allora prego così il Signore: “Signore, tu che vedi i miei sentimenti e la mia buona volontà, rimediaci tu ed aiutami… » (11 marzo 1955). Il dialogo che non è fatto solo delle parole che gli sposi si rivolgono tra loro ma anche – e vorrei dire soprattutto – delle parole che entrambi, da soli, rivolgono a Dio, pregando l’uno per l’altro. I continui viaggi di Pietro alimentano un dialogo orante. Tre mesi dopo le nozze Pietro parte per un viaggio di lavoro, il 13 dicembre scrive da Zurigo: “Ieri sera, ad ogni mistero gaudioso del santo Rosario ho avuto una particolare preghiera per te e per la nostra nuova famiglia”. Gianna risponde due giorni dopo: “Stamattina ho ascoltato la Messa e fatta la S. Comunione nella nostra chiesetta [la chiesa vicina alla loro abitazione] ed ho pregato la bella Madonnina per te, Pietro, perché ti aiuti e ti protegga”.
Morte e vita
Nel settembre 1961, verso il termine del secondo mese di gravidanza, è raggiunta dalla sofferenza e dal mistero del dolore: insorge un voluminoso fibroma all’utero. Quando scoprì la malattia, la gravidanza era già iniziata. Non ha mai pensato di sacrificare il figlio. Il sacrificio più grande di Gianna non era quello di donare la propria vita ma di lasciare tre figli piccoli e ancora bisognosi di tutto. Si è fidata di Dio, ha tutto affidato nelle sue mani: la sua vita e quella dei figli. È giusto, per salvare una creatura, abbandonarne altre tre? Risponde così la sorella: “Per capire bisogna credere, come Gianna, nella Provvidenza. Gianna era sicurissima che Dio avrebbe provveduto ai suoi bambini, e di quella vita che ormai era in arrivo, che portava in seno, lei ha avuto tutto il rispetto”. Ma non è stato facile per Gianna offrire la sua vita. Qualche giorno prima di morire, all’arrivo della sorella suora (veniva dall’India) disse: “Sapessi cosa vuol dire morire lasciando soli quattro bambini”. Gianna entra in ospedale per partorire la sua quarta bambina in condizioni già critiche, a causa del tumore che devasta il suo corpo. Era il 20 aprile 1962, Venerdì Santo. Il giorno dopo, alle undici del mattino, proprio quando le campane suonavano il Gloria come annuncio pasquale, nasce Gianna Emanuela. Le condizioni di salute della santa si aggravano, muore il 28 aprile, durante la Settimana in Albis.
Una missione che continua
Santa Gianna oggi aiuta dal cielo quelle mamme che vivono con particolare ansia la loro gravidanza, come quella di Elisabetta che nei primi mesi del 2000, quando aveva già tre figli, si trova a vivere una quarta gravidanza in estrema difficoltà. Al terzo mese la donna perde completamente il liquido amniotico. In queste situazioni un bambino, privato della sua naturale protezione, morirebbe in pochissimi giorni. La gravidanza di Elisabetta invece va avanti. Sorprendentemente il cuoricino non smette mai di battere, il 31 maggio nasce una bellissima bambina cui i genitori hanno dato il nome di Gianna Maria. In questi ultimi decenni il suo esempio è stato seguito da tante altre mamme che hanno avuto il coraggio di mettere a rischio la propria vita per custodire quella del figlio. Una di queste storie viene da Perugia, la donna si chiama Lucia ed ha 31 anni: “Ho scoperto solo al quinto mese di gravidanza – ricorda con semplicità e commozione – di avere un problema cardiaco molto grave: una dissecazione aortica, forse conseguenza di un incidente stradale avuto tre anni fa. Poiché non era possibile essere operata in gravidanza e che le mie condizioni erano davvero a rischio sia effettuando un parto naturale sia con il cesareo, il consiglio fu di abortire. Consiglio che non ho preso in considerazione nemmeno per un minuto: ho quindi deciso di portare avanti la gravidanza il più a lungo possibile per il bene del mio bambino. Solo dopo la sua nascita mi sarei operata” (Avvenire, 30 dicembre 2003). Il suo coraggio è stato premiato. Dopo la nascita di Paolo, si è sottoposta ad un delicato intervento chirurgico, eseguito con successo. Nell’omelia di canonizzazione il 16 maggio 2004 Giovanni Paolo II indicava nella fedeltà alla vocazione coniugale la leva della santità di Gianna: “Sull’esempio di Cristo, che “avendo amato i suoi… li amò sino alla fine” (Gv 13,1), questa santa madre di famiglia si mantenne eroicamente fedele all’impegno assunto il giorno del matrimonio. Il sacrificio estremo che suggellò la sua vita testimonia come solo chi ha il coraggio di donarsi totalmente a Dio e ai fratelli realizzi se stesso”.
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