Formare sposi consapevoli

di Giovanna Abbagnara

I vescovi italiani lo hanno chiamato da pochi mesi a guidare uno degli uffici più importanti della CEI: l’Ufficio Famiglia. Un incarico prestigioso che don Paolo Gentili ha accolto con gioia. Reca con sé un’esperienza di lunghi anni in cui ha accompagnato moltissime coppie nel cammino di preparazione al matrimonio. Lo abbiamo intervistato cercando di fare il punto sulla situazione del fidanzamento oggi.

Oggi il tempo del fidanzamento è molto più lungo rispetto al passato. Ma c’è la tendenza ad esaltare il sentimento più che il legame che unisce due persone in una storia nuova. Perché secondo lei?

Io credo che la prima difficoltà consiste nel definire cos’è l’amore. Papa Benedetto nella sua prima enciclica, Deus Caritas est, al numero due afferma che ci sono vari tipi di amore: amor di patria, amore per la professione, amore tra amici, amore per il lavoro, amore tra genitori e figli, tra fratelli e familiari, amore per il prossimo e amore per Dio. E aggiunge “In tutta questa molteplicità di significati, però, l’amore tra uomo e donna, nel quale corpo e anima concorrono inscindibilmente e all’essere umano si schiude una promessa di felicità che sembra irresistibile, emerge come archetipo di amore per eccellenza, al cui confronto, a prima vista, tutti gli altri tipi di amore sbiadiscono”. È proprio questo il punto, è venuto a mancare l’archetipo, per cui oggi si dice “ti amo” molto più facilmente rispetto al passato ma con altrettanta leggerezza ci si lascia il giorno seguente. L’amore non è un sentimento passeggero, ma un coinvolgimento totale di tutta la persona. È una chiamata, una scelta che deve essere vissuta in un’ottica di progettualità.
 

Manca anche chi faccia scoprire tutto questo ai fidanzati. Ci possiamo accontentare dei corsi prematrimoniali fatti più o meno bene?
A mio avviso c’è oggi un grande fermento nella Chiesa rispetto al tema dell’educazione all’amore e sicuramente rispetto al passato ci si accorge che è necessario un cammino graduale e continuo. La Familiaris Consortio al numero 66 parla di tre fasi di preparazione: remota, prossima e immediata. Talvolta anche la stessa preparazione immediata è vissuta come una formalità burocratica e dagli stessi parroci non è avvertita come un’occasione, un nodo pastorale su cui lavorare. In alcune parrocchie per esempio ai parroci sono affiancati dei tutors, cioè coppie di sposi che aiutano i fidanzati a reinserirsi nel tessuto ecclesiale. Tutto questo non basta certamente, ma è un buon inizio.

Qual è la sua esperienza personale?Nel 2005, nel territorio della sua parrocchia a Roselle è sorto il Centro Diocesano di Spiritualità Familiare “Casa delle Beatitudini”, dove, tra le altre attività, ha preparato al Matrimonio circa 150 coppie di fidanzati l’anno.
Credo, alla luce della mia esperienza che devono essere messe in gioco più risorse. La coppia di fidanzati deve essere accompagnata da un’altra coppia di sposi e da un presbitero, o un religioso o una religiosa. In tal modo sono aiutati maggiormente a fare una scelta più consapevole e attenta. A volte, alla fine di questo percorso le coppie si separano perché comprendono che non era questa la loro chiamata. Altro aspetto su cui puntare è il coinvolgimento della comunità ecclesiale che deve essere consapevole che i fidanzati sono le famiglie di domani, il futuro di tutti.

Anche il fidanzamento è un tempo vocazionale. A differenza però del cammino verginale non è scandito da tappe liturgiche o da percorsi veri e propri. Perché?
C’è qualcosa, ma va maggiormente valorizzato. Ad esempio nel benedizionale troviamo la benedizione ai fidanzati. Una formula quasi dimenticata. Alcune diocesi la utilizzano nel giorno di San Valentino cercando di ricollocare questa festa in un contesto di fede. O ancora si può far comprendere ai fidanzati che regalarsi la fedina significa vivere il loro fidanzamento in una progettualità più ampia. Sottolineo però, che quello che più manca è che i fidanzati si sentano accompagnati dalla comunità ecclesiale, sentano di poter contare su qualcuno anche nei primi anni del matrimonio, quelli decisamente più difficili per una coppia.

Lei sottolinea molto la dimensione ecclesiale del fidanzamento. Spesso però anche lo stesso rito del matrimonio viene vissuto in una forma abbastanza privatistica. Ad esempio la scelta della Chiesa è dettata da altri criteri, la bellezza estetica, la vicinanza al locale del ricevimento, piuttosto che dall’ appartenenza alla comunità locale.
Sì è vero. Durante i nostri corsi diciamo ai fidanzati proprio questo, di scegliere non la chiesa più bella bensì quella che percepiscono come la casa in cui vivere e far crescere i propri figli. Vorrei inoltre aggiungere che in questi ultimi anni la Chiesa ha portato agli onori degli altari molti sposi santi: i Beltrame Quattrocchi, Santa Gianna Berretta Molla, i coniugi Martin. Il nuovo rito del matrimonio prevede anche una lunga litania dei Santi sposati. Io penso che queste figure andrebbero maggiormente proposte durante il tempo del fidanzamento.

Le famiglie di origine sembrano le grandi assenti in tutto questo. Perché?
Credo che ci siano delle effettive difficoltà. Spesso le stesse famiglie di origine vivono momenti di crisi all’interno della coppia, altre vivono nell’indifferenza religiosa, altre ancora interferiscono nelle scelte dei figli. Non mancano iniziative diocesane in cui anche i genitori vengono coinvolti nel cammino di preparazione. Tante volte infatti le motivazioni per cui una coppia si separa, specie nei primi anni di matrimonio, sono dovute a questioni irrisolte con le famiglie di origine.

Lei è stato nominato da pochi mesi direttore di uno degli Uffici più importanti e cruciali della CEI. Quali obiettivi ha per il prossimo futuro?
Innanzitutto cercare di sviluppare una sinergia tra i diversi uffici: catechistico, liturgico, vocazionale e di pastorale giovanile. Oggi non è più pensabile una pastorale che non sia integrata, che non lavori insieme. C’è da dire che se è vero che oggi i matrimoni religiosi sono in calo, bisogna però ammettere che chi decide di sposarsi in chiesa ha una maggiore consapevolezza.

In due battute, secondo lei un buon cammino per i fidanzati di cosa deve tener conto?
Deve aiutare la coppia a comprendere che Dio li ha voluti insieme. Quella luce che nel battesimo si è accesa deve fondersi e diventare un’unica luce. E questa luce deve a sua volta essere inserita nel grande fuoco della comunione ecclesiale altrimenti rischia di spegnersi alla prima tempesta.




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