Siamo noi, la ragione

di Silvio Longobardi

S’intitola Emmaus l’ultimo romanzo di Alessandro Baricco. Narra la vicenda di un gruppo di adolescenti che frequenta la parrocchia e scopre poco alla volta quanto sia ipocrita e sostanzialmente lontana dalla realtà l’educazione alla fede che hanno ricevuto. In realtà quello che emerge nelle pagine del libro è una feroce caricatura dell’esperienza cristiana. L’unico prete di cui si parla ha una relazione sessuale con una donna, dalla quale nasce una figlia; più tardi, vinto dal rimorso, si ammazza. Il più “cattolico di quei quattro ragazzi – non acaso chiamato sempre “Il Santo” e mai per nome – quello che quando prega “cade in ginocchio” e quando parla incanta, quello che vuole convertire gli altri, si scopre alla fine che va a donne e uccide un travestito. Il cristianesimo è il mondo dell’ipocrisia.

La trama è intrigante, la scrittura precisa e stringente, il linguaggio accattivante. È un libro che si fa leggere. Impossibile negarlo. Ma lascia anche tanta amarezza. Lo scrittore dà voce a quel nichilismo oggi sempre più diffuso, soprattutto nel mondo giovanile, per il quale la vita non ha nulla di straordinario; e la fede cristiana è solo il raffinato prodotto di un istinto che tenta di sottrarre l’esistenza alla sua naturale insignificanza. Il cristianesimovuole dare valore agli eventi, cercando messaggi ma non ci sono per la semplice (e scontata) verità che non c’è nessun segreto da svelare. La vicenda umana scorre come l’acqua di un fiume, siamo solo spettatori.

Vivere significa seguire le voci dell’istinto, far emergere le emozioni. Non ci sono regole a cui obbedire né tanto meno chiese a cui dare ascolto. E in fondo neppure una coscienza. Basta fare ciò che piace. L’estetica è separata dall’etica; e l’etica dalla ragione. Bobby, uno degli amici del gruppo, risponde così a chi gli domanda perché s’è messo a suonare con una ragazza: “Dato che non c’è nessuno scopo, solo io che suono, e lei che balla, non c’è una vera ragione per farlo, se non che lo vogliamo fare, che ci piace farlo. Siamo noi, la ragione”. La frase contiene l’idea che attraversa tutto il libro.

Una nuova coscienza si fa strada nella cultura contemporanea. Lo cantava Giorgio Gaber, qualche anno fa, con la sua voce, insieme dolente e ironica: “È come se la vecchia morale non ci bastasse più. In compenso se ne sta diffondendo una nuova che consiste nel prendere in considerazione più che altro i doveri degli altri … verso di noi. Sembrerà strano ma sta diventando fortemente morale tutto ciò che ci conviene. Praticamente un affare”.

Una volta c’erano i maestri del sospetto, quelli che chiedevano di passare al setaccio la tradizione, a partire da quella religiosa e morale, per verificare l’effettiva consistenza delle verità proclamate come assolute. La ragione sfidava la fede. Quelli di oggi, invece, sono maestri del nulla, non lanciano più sfide, anzi cercano di addormentare la ragione, vogliono convincere che non c’è nulla da cercare, nulla per cui vale la pena impegnarsi. Non abbiamo più bisogno di una coscienza che si affanni a cercare ciò che è giusto. L’unica cosa che resta da fare è vivere, senza troppo penare, lasciandoci guidare dalle emozioni. “Siamo vivi malgrado la nostra apparenza”, canta Gaber.

In questo contesto culturale l’impegno educativo diventa più difficile e più urgente che mai. Guai a rinunciare, lasciando campo libero al nichilismo, che rende tutto ugualmente inutile. Sarebbe l’inizio della decadenza.




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