Stepchild adoption

Melita Cavallo, ex presidente del Tribunale dei Minori di Roma: “Se una donna si offre di portare un bambino in grembo sa bene che non è suo, si tratta solo di chiarire tutto prima”

gravidanza

di Gabriele Soliani

Dietro ad una sentenza, di fatto incostituzionale, che riconosce ad una coppia omosessuale la possibilità di adottare il figlio del compagno, c’è un’idea decisamente poco chiara della maternità surrogata.

La recente sentenza di Roma che ha riconosciuto la «stepchild adoption» per una «coppia di papà che vogliono adottare il figlio» tira di nuovo in ballo la vera questione della legge sulle unioni civili. L’ex presidente del Tribunale dei Minori di Roma, Melita Cavallo (che nel frattempo è andata in pensione poiché la sentenza è del dicembre scorso), ha risposto convinta: «Mi sono limitata ad applicare la legge e basta».

La tesi di Melita Cavallo è che la domanda presentata nel giugno 2015 rientri nei “casi speciali” previsti dall’articolo 44 della legge 184 del 1983 sulle adozioni, e che fosse suo dovere individuare nel «permanere della situazione data» l’interesse del minore coinvolto, considerata anche l’affidabilità economica e affettiva della coppia. È la prima volta che viene emessa una sentenza del genere «per una coppia di papà» e non viene appellata dalla Procura.

Ma quale legge avrebbe applicato l’ex giudice Cavallo?

Il giurista Alberto Gambino dice che le “adozioni speciali” tirate in ballo  riguarderebbero solo situazioni di “abbandono”, e cioè «presuppongono che un genitore non vi sia, mentre qui la madre c’è». E poi qui c’è l’utero in affitto!

Il giudice infatti, «nell’interesse superiore del bambino», ha ritenuto di dover chiudere gli occhi davanti al particolare che i due avessero ottenuto il figlio attraverso la maternità surrogata, pratica illegale e sanzionata in Italia. La vera risposta a questa strana sentenza la possiamo ritrovare in un’intervista che la ex giudice Cavallo ha dato al quotidiano Repubblica il 31 gennaio: «Maternità surrogata? Non mi sconvolge l’idea. Sono cattolica, mi sforzo di essere osservante, però, mi chiedo, per quale ragione, se posso dare il mio rene ad un’amica che ne ha bisogno, non posso invece usare il mio utero per mettere al mondo un bambino di un’amica o di un amico? Non capisco perché ci si possa privare di una parte del corpo ma non se ne possa utilizzarne un’altra. Se una donna si offre di portare un bambino in grembo sa bene che non è suo, si tratta solo di chiarire tutto prima». Incredibile risposta e posizione di un … giudice, che, tra l’altro, parla di un figlio come un rene da “donare” per … contratto. Oltre ovviamente alla totale confusione sull’essere cattolica.




Aiutaci a continuare la nostra missione: contagiare la famiglia della buona notizia

Cari lettori di Punto Famiglia,
stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).

CONTINUA A LEGGERE



ANNUNCIO


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Per commentare bisogna accettare l'informativa sulla privacy.