Triduo Pasquale
“Io ti ho amato sino alla fine”
di fra Vincenzo Ippolito
Ma perché siamo così lontani dal Cuore di Dio e non riusciamo ad amare come Lui? Qual è il segreto del suo amore per noi? Scopriamo insieme il significato profondo del Triduo Pasquale.
Prossimo al Triduo sacro, nel silenzio della mia cella, cerco una parola, una frase, un versetto della Scrittura che mi guidi in questi giorni verso la Pasqua. Mentre rimugino, cadono sul terreno arido del cuore, come una pioggia inattesa, le parole del Vangelo della Messa vespertina del Giovedì Santo, quello della cena dell’amore, nella notte del tradimento e della consegna: “Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine” (Gv 13,1). Come una goccia di fuoco incandescente, queste parole mi consumano l’anima e, pur volendo, non riesco a proseguire nel ricordare un brano che la continua frequentazione ha ben fissato nella mia memoria. “Lì amò sino alla fine” mi ripeto, mentre, uscito, percorro il corridoio deserto nella notte, cadenzando le sillabe ora con l’incedere dei miei passi ora con i battiti del mio cuore assetato di Dio.
Amare sino alla fine: è questo il segreto della vita di Gesù, una vita consegnata per amore che stride così tanto con la nostra, ferma per il bastone dell’egoismo che impedisce alla ruota del dono di girare libera, che cozza con i pensieri di noi, bloccati nei crocicchi delle strade anguste della mente dove il fratello, lo sposo, l’amico, se non si scansa in fretta, sarà preda del nostro silenzioso desiderio di lapidarlo dentro di noi. Come mi sento piccolo dinanzi al gigante dell’amore vero, Gesù Cristo! Il mio, il nostro è un amore che sa di compromessi, un amore pronto al tradimento, come quello di Giuda, privo del coraggio della confessione, come lo fu l’affetto di Pietro, dinanzi a quel fuoco che divorò, nella fiamma della paura, i suoi tre anni di sequela. L’uomo non è capace di amare sino alla fine, fino alla pienezza, al compimento, sino all’ultima goccia serbata nel calice del cuore. Invece Gesù, Dio e uomo insieme, ama fino alla fine della sua vita, fino all’estenuarsi delle sue forze, fino all’ultima goccia del suo sangue, fino all’ultimo spasimo del suo cuore, ama fino all’ultimo suo gesto, quello di stendere le sue braccia sulla croce, sì, fino all’ultimo sguardo dei suoi occhi, ama. Non c’è profondità nel mio essere che possa dar fondo all’amore di Cristo per me.
“Io ti ho amato fino alla fine!” è la confessione franca del mio Signore consegnato all’abbraccio della croce, dopo che tanti, troppi se ne sono lavati le mani, nel catino dove l’acqua purifica l’esterno, ma non il cuore. Gesù per me non ha più uno sguardo, Gesù per me non ha più una voce, Gesù per me non ha più una fibra del suo corpo e del suo cuore, Gesù per me non ha più una goccia del sangue e dell’acqua che, raccolte nel suo costato, sono divenute sorgente viva dello Spirito che in me è amore fino alla fine. Se riuscissimo a comprendere questo amore, a contenerlo, a serbarlo, come un sacchetto di mirra sul petto (cf. Ct 1,13), a metterlo sul lucerniere della mente, sugli stipiti delle porte dei nostri pensieri! E, invece, quale distanza tra il nostro cuore e il Cuore adorabile del Redentore! I nostri simili più a quello di Adamo, sono granai di zizzania, dove si ammassa la pula del male, concepito e spesso, ahimè attuato, e dove il buon grano del bene è rubato dagli uccelli che altrove si nutrono di quel cibo che ci renderebbe forti nella prova. Ma perché siamo così lontani dal Cuore di Dio e non riusciamo ad amare come Lui? Quale il segreto del suo amore per noi?
È l’evangelista Giovanni – sono parole del beato Paolo VI – a sollevare il velo del mistero e a donarci gli spasimi del Cuore del Diletto. Il segreto della misericordia che Cristo riversa sugli uomini – l’amore non può che venire dall’amore! – è l’amore con cui il Figlio incarnato si sente amato dal Padre. Gesù è capace di andare fino in fondo nell’amore perché è il Figlio amato di cui il Padre si compiace (cf. Lc 3,22). È questa la forza che lo spinge a chiamare “Amico” Giuda che lo sta tradendo con un bacio (Mt 26,50), a guardare con misericordia Pietro, che al canto del gallo, si ricorda della predizione del suo rinnegamento e “uscito fuori, pianse amaramente” (Lc 22,62 ); è questo, solo questo – e non è certo poco perché l’amore riversato dal Padre nel cuore del Figlio Gesù è amore eterno, divino, infinito! – che conduce Gesù a non pensare a sé sulla croce e a traghettare – in ogni occasione opportuna e non opportuna, come san Paolo chiede a Timoteo di fare (cf. 2Tim 4,2) – il suo compagno di sventura, il ladrone buono, assicurandogli il Paradiso (cf. Lc 23,43).
Com’è grande il cuore di Gesù! Un cuore che accoglie i nostri tradimenti, perdona i nostri rinnegamenti, commisera la nostra incapacità di stare con Lui nell’Orto del Getsemani e di seguirlo lungo la strada del Golgota, incuranti di fare la sua stessa ignobile ed ingloriosa sorte agli occhi del mondo, ma non certo del Padre suo e nostro. Gesù è il Dio che ci ama, non solo negli ultimi giorni della sua vita, ma sempre, ama nei miracoli, ama nella predicazione, ama guarendo i peccatori e riconciliandoli, ama stendendo la mano e risuscitando i morti. Gesù ama sempre e non riesce a non amare perché se l’uomo è fatto per amare – e Gesù è uomo – Egli è Dio, della stessa sostanza del Padre che è amore per essenza, tenerezza per natura, misericordia per struttura costitutiva del suo essere. Nello scorrere delle sue trentatré primavere, Gesù giunge al dono, con la gradualità che è propria della natura umana che mai fa salti, condotto dalle mani di Maria e di Giuseppe, dal soffio dello Spirito sceso su di Lui nel battesimo. È l’amore che lo sostiene, l’amore che lo spinge, l’amore che lo conduce, l’amore che lo fa parlare e operare meraviglie, l’amore che lo fa vivere e morire per gli uomini così da manifestare che “non c’è amore più grande di chi dona la vita per gli amici” (Gv 15,13).
Dobbiamo guardare a Gesù per accogliere l’amore, altrimenti non riusciremo mai e poi mai ad amare. Esiste, infatti, una connaturalità nell’amare. Non posso amare per legge, non me lo posso imporre. L’amore lo trovo in me, lo scopro come dono di Dio e lo offro con la stessa gratuità che mi è stata usata. Se poi non amo più – quante volte si dice che l’amore è finito in un matrimonio o nella vita religiosa e sacerdotale o anche nelle amicizie – è solo perché l’amore non lo accolgo più, non lo voglio ricevere, mi sono chiuso nel dolore per situazioni che mi hanno ferito, impedendo il fluire in me dell’Acqua viva dalla fonte cristallina dell’amore, perché lo Spirito mai si estingue, ma sempre zampilla in coloro che lo ricercano con ansia, lo chiedono con perseveranza, lo attendono con speranza.
In questi giorni voglio – sono stato educato a usare poco questo verbo, perché mi si diceva da bambino che l’erba voglio non nasce neppure nei giardini del re, ma alla scuola di Francesco di Assisi, che diceva “Questo voglio, questo chiedo, questo bramo di fare con tutto il cuore”, lo posso ora usare per le cose sante e buone – bramo, voglio e chiedo di andare alla fonte del Cuore di Cristo per attingere l’amore. Egli lo ha promesso: “Chi ha sete venga a me e beva chi crede in me. Come sta scritto fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo seno” (Gv 7,38) e ancora “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora dentro di lui” (Gv 14,23), la sua promessa non può ingannare, la sua parola non può sbagliare. Solo lo Spirito Amore effuso dal Risorto può darci forza per amare come Lui (cf. Gv 15) fino alla fine, può darla ai consacrati perché siano specchio della gratuità e della totalità dell’amore, ai presbiteri perché comunichino nel Corpo di Cristo che è la Chiesa, attraverso la Parola e i Sacramenti, la potenza dell’amore, agli sposi perché siano il segno nella carne della fecondità dell’amore. È questo il segreto della Pasqua di Gesù che diviene la nostra pasqua.
Ora posso andare a letto, mi dico mentre spengo le poche luci e mi avvio in camera. Ho messo a dimora nel terreno del cuore il seme di Dio, il suo Figlio Gesù consegnato, crocifisso e risorto, la sorgente viva dello Spirito Amore che in me grida “Abbà, Padre!”.
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