Divorziati risposati
Il papa sui divorziati risposati: “Integrare nella Chiesa non significa fare la comunione”
Interpellato dai giornalisti, nel briefing sul volo di ritorno dal viaggio in Messico, papa Francesco sulla questione dei divorziati risposati ha chiarito: “La parola-chiave che usò il Sinodo – e io la riprenderò – è integrare nella vita della Chiesa le famiglie ferite, le famiglie di risposati”.
Papa Francesco ha ben chiarito che cosa intende quando parla di integrazione: “Io conosco cattolici risposati che vanno in chiesa una volta l’anno, due volte: ‘Ma, io voglio fare la comunione!’, come se la comunione fosse un’onorificenza. Un lavoro di integrazione … tutte le porte sono aperte. Ma non si può dire, di qui in più, ‘possono fare la comunione’. Questo sarebbe una ferita anche ai matrimoni, alla coppia, perché non farà compiere loro quella strada di integrazione”. E annunciando che il documento post-sinodale uscirà prima di Pasqua: “Sulla famiglia – ha ricordato – hanno parlato due Sinodi e il Papa ha parlato tutto l’anno nelle catechesi del mercoledì. Nel documento post-sinodale che uscirà – forse prima di Pasqua – si riprende tutto quello che il Sinodo ha detto sui conflitti o sulle famiglie ferite, e la pastorale delle famiglie ferite … È una delle preoccupazioni”. Un’altra è la preparazione al matrimonio, che per il Papa è “molto importante”: “Per diventare prete ci sono otto anni di studio, di preparazione, e poi, dopo un certo tempo, se non ce la fai, chiedi la dispensa e te ne vai, ed è tutto a posto. Invece, per fare un sacramento che è per tutta la vita, tre-quattro conferenze”. “Alcuni anni fa, nella mia patria – ha raccontato Francesco – c’era l’abitudine di sposarsi di fretta perché viene il bambino. Lì, non erano liberi, e tante volte questi matrimoni sono nulli. E io, come vescovo, ho proibito di fare questo ai sacerdoti… Che venga il bambino, che continuino fidanzati, e quando si sentono di farlo per tutta la vita, che vadano avanti. Ma c’è una mancanza del matrimonio”. Poi l’educazione dei figli, “vittime” spesso del “bisogno del lavoro” dei loro genitori, che non hanno “tempo libero di parlare con i figli”, di giocare con loro.
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